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Il Foglio Rassegna Stampa
05.05.2009 L'Islam ai tempi di Conan Doyle
L'analisi di Christian Rocca

Testata: Il Foglio
Data: 05 maggio 2009
Pagina: 7
Autore: Christian Rocca
Titolo: «L'Islam ai tempi di Doyle»

Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 05/05/2009, a pag. III, il brillante articolo di Christian Rocca dal titolo "L'Islam ai tempi di Doyle " :

Elementare, Watson! Nei libri di Arthur Conan Doyle (1859–1930), il grande scrittore scozzese della saga di Sherlock Holmes, la mitica frase con cui il detective spiega, con una certa sufficienza, la soluzione di un caso all’amico e collaboratore Watson in realtà non c’è (è una trovata dell’adattamento televisivo, spiega Wikipedia). Cosa c’è, invece, è la più attuale e precisa analisi dello scontro di civiltà di cui il mondo moderno discute dalla mattina degli attacchi islamisti a New York e Washington dell’11 settembre 2001. Nel poco conosciuto romanzo “La tragedia del Korosko”, uscito nel 1898 e ripubblicato dalle Edizioni Medusa di Milano nel 2003 con traduzione di Maria Elisabetta Craveri, Conan Doyle racconta, come avrebbe fatto con Watson, cioè nel modo più elementare possibile, la natura religiosa della battaglia tra islam e occidente, e anche le divisioni ideologiche all’interno del mondo occidentale. Scritto oltre un secolo fa, questo libro stupisce pagina dopo pagina. In Korosko c’è tutto: il jihadismo, Bin Laden, i pirati, l’imperialismo (britannico), l’opposizione fumosa dei francesi, l’invasione di un paese islamico, il dibattito sul ritiro delle truppe, il ruolo da poliziotto internazionale che una grande potenza si è autossegnato, la dietrologia di chi pensa sia tutto un complotto, finanche il Darfur. Il romanzo racconta un viaggio lungo il Nilo del piroscafo Korosko, “a ruota poppiera a pale, con carena arcuata, un pescaggio di trenta pollici e l’aspetto di un ferro da stiro”. La storia ruota intorno a un gruppo di turisti occidentali – inglesi, americani, francesi, irlandesi, italiani – che durante un’escursione viene catturato da una cellula jihadista di “dervisci”, il nome con cui all’epoca di Conan Doyle venivano chiamati gli integralisti islamici sudanesi seguaci del Madhi. Il Korosko viene saccheggiato dai pirati. I jihadisti uccidono e decapitano alcuni ostaggi, pretendono di convertirne altri, pena la morte istantanea, e pensano a riscatti o a vendere come schiavi al mercato di Khartoum le donne e i più in salute dei turisti. Le prime pagine del romanzo, con un francese e un inglese che chiacchierano a bordo del Korosko, ricordano le discussioni post 11 settembre nei talk show televisivi sull’esistenza o meno del nemico e al Consiglio di sicurezza dell’Onu sull’imperialismo americano: “Dervisci, signor Headingly!”, disse, nel suo suo eccellente inglese, ma separando le sillabe come fanno i francesi. “Non ci sono dervisci. Non esistono”. “Ma credevo che i boschi ne fossero pieni”, disse l’americano. (...) “Le ripeto che non ci sono dervisci. Sono stati inventati da Lord Cromer nel 1885”. “Ma non mi dica!”, esclamò Headingly. “A Parigi lo sanno tutti, e la notizia è stata pubblicata su La Patrie e su altri nostri giornali ben informati”. “Ma è incredibile” disse Headingly. “Lei vuol farmi intendere, signor Fardet, che l’assedio di Khartoum, la morte di Gordon e tutto il resto sono stati soltanto una grande montatura?”. “Non voglio negare che ci sia stata una rivolta, ma si è trattato di un fatto locale, capisce, e ora da tempo dimenticato. Da allora in Sudan regna la pace”. “Ma ho sentito parlare di incursioni, signor Fardet, e ho anche letto che si è combattuto quando gli arabi hanno tentato di invadere l’Egitto. Soltanto due giorni fa, nei pressi di Toski, l’interprete ci ha detto che lì c’era stata una battaglia. E’ una montatura pure questa?”. “Amico mio, lei non conosce gli inglesi. Lei li guarda e li vede con le loro pipe e le loro facce soddisfatte e pensa che in fin dei conti sono brave persone, gente semplice che non farebbe male a nessuno. Ma loro non fanno che pensare e osservare e tramare. ‘Bene, l’Egitto è debole’, esclamano. ‘Allons!’ ed eccoli allora che si avventano sulla preda come un gabbiano su un pezzo di pane. ‘Non avete il diritto di stare lì’, dice il mondo. ‘Andatevene!’. Ma l’Inghilterra si è già messa a riordinare le cose. ‘Tornatevene a casa!’, dice il mondo. ‘Certo’, dice l’Inghilterra, ‘aspettate un momento, però, fino a quando avrò messo tutto a posto’. Allora il mondo aspetta per uno o due anni, e poi dice nuovamente ‘Andatevene’. ‘Aspettate un momento’, dice l’Inghilterra, ‘ci sono dei problemi a Khartoum, e quando avrò messo le cose a posto sarò felicissima di andarmene’. Perciò il mondo aspetta che tutto sia finito, e di nuovo dice, ‘Andatevene’. ‘Ma come faccio ad andarmene’, dice l’Inghilterra, ‘se ci sono ancora disordini e rivolte un po’ ovunque? Se dovessimo andarcene, l’Egitto sarebbe travolto dal caos’. ‘Ma non ci sono disordini’, dice il mondo. ‘Ah, no?’, dice l’Inghilterra, ed ecco che, nel giro di una settimana, i giornali sono pieni di notizie di qualche incursione da parte dei dervisci. Non siamo tutti ciechi, signor Headingly. Sappiamo molto bene come funzionano queste cose. Qualche beduino, una piccola mancia, un po’ di cartucce a salve ed ecco – una rivolta!”. Il turista americano chiede al francese che cosa ci guadagna l’Inghilterra da tutto ciò, ricordando al lettore d’oggi la polemica sulla guerra fatta per il petrolio. E il francese, senza pensarci, risponde che “si prende il paese, monsieur”. “Capisco. Vuole dire, per esempio, che esiste una tariffa di favore per le merci inglesi?”. “No, monsieur, la tariffa è uguale per tutti”. “Beh, allora l’Inghilterra concederà i contratti soltanto a cittadini britannici, vero?”. “Esattamente, monsieur”. “Per esempio, la ferrovia che stanno costruendo attraverso il paese, quella che corre costeggiando il fiume, è certamente un contratto di grande valore per gli inglesi, no?”. Il signor Fardet era un uomo onesto, se non proprio di grande immaginazione. “E’ una compagnia francese, monsieur, che detiene il contratto per la ferrovia”, disse. L’americano rimase interdetto. “Non sembra che ci stiano guadagnando molto per il loro disturbo”, disse. “Ma di sicuro dovrà esserci un qualche vantaggio indiretto da qualche parte. Per esempio, indubbiamente l’Egitto dovrà pagare per mantenere tutti quei soldati al Cairo”. “L’Egitto, monsieur? No, sono pagati dall’Inghilterra”. Conan Doyle si diverte con la tesi dei negazionisti, in buona parte francesi anche oggi. E quando i guerriglieri musulmani catturano il gruppo di occidentali, fa urlare al francese “Vive le Khalifa! Vive le Mahdi”, senza però suscitare una particolare reazione da parte del guerrasantiero, che con “un colpo da dietro con il calcio di un Remington lo ridusse al silenzio”. Il francese non si dà per vinto e davanti al feroce capo islamista Ali Wad Ibrahim prova a spiegare la divisione interna all’occidente: “Digli che sono un francese, interprete Digli che sono un amico del Califfo. Digli che i miei compratrioti non hanno mai avuto da ridire con lui, ma che i suoi nemici sono anche i nostri”. “Il capo chiede in quale religione credete”, disse Mansur. “Il Califfo, dice, non ha bisogno dell’amicizia di infedeli e miscredenti”. “Digli che in Francia consideriamo buone tutte le religioni”. “Il capo dice che nessuno eccetto un cane blasfemo direbbe che tutte le religioni sono buone allo stesso modo. Egli dice che se lei è in verità un amico del Califfo. Lei accetta il Corano e diventa subito un vero credente. Se lei fa questo, egli promette da parte sua di mandarla sano e salvo a Khartoum”. “Altrimenti?”. “Farà la stessa fine degli altri”. (...) “Egli dice che se parla ancora la farà diventare carne per cani”. “La tragedia del Korosko” si addentra anche nel dibattito su realpolitik, idealismo e tendenze isolazioniste. Uno degli inglesi si chiede se alla Gran Bretagna, l’America di allora, valga la pena fare “i poliziotti del mondo” nelle zone arabe, visto che nessuno poi riconosce il merito. “Prima pattugliavamo i mari per combattere pirati e schiavisti. Ora pattugliamo la terra per cacciare dervisci e briganti e tutto ciò che possa mettere in ginocchio la civiltà. Non appena un sacerdote fanatico o uno stregone o un qualunque facinoroso del pianeta decide di farsi notare spara al più vicino ufficiale britannico. A un certo punto ci si stanca di tutto ciò. Se un curdo compie un atto inconsulto in Asia minore il mondo vuole sapere perché la Gran Bretagna non lo riconduce all’ordine. Se scoppia un ammutinamento militare in Egitto o una jihad in Sudan è ancora la Gran Bretagna che deve rimettere le cose a posto. E tutto ciò con un accompagnamento di maledizioni quasi fossimo poliziotti che catturano un delinquente in mezzo ai suoi compari in un quartiere malfamato. Ci prendiamo le botte e nessun ringraziamento, perché dovremmo farlo? Che l’Europa faccia da sé il lavoro sporco”. All’inglese realista e di tendenza isolazionista, Conan Doyle fa rispondere l’idealista capitano Cochrane, l’eroe del romanzo: “Io credo che dietro agli interessi nazionali, alla diplomazia e a tutto il resto vi sia una grande forza ispiratrice – di fatto, una Provvidenza – che trae sempre il meglio da ogni nazione e se ne serve per il bene collettivo. Quando una nazione cessa di rispondere in modo adeguato è giunto il momento che vada in ospedale per qualche secolo, come la Spagna e la Grecia – la virtù l’ha abbandonata. Un uomo, come una nazione, non è posto su questa terra per fare soltanto ciò che gli aggrada o va a suo vantaggio”. Conan Doyle spiega la natura religiosa della battaglia jihadista in modo esemplare. “Dobbiamo sempre tenere a mente che le loro motivazioni non sono quelle della gente comune – dice uno dei personaggi – Molti di loro sono ansiosi di incontrare la morte, e tutti credono in modo assoluto e irremovibile nel destino. Esistono come reductio ad absurdum di ogni integralismo – una prova di quanto esso possa condurre alla più totale barbarie”. E a chi dubita che la minaccia islamista sia davvero pericolosa, risponde con le parole del colonnello Cochrane: “Non è possibile prevedere cosa potrebbero fare. Non esiste peggior iconoclasta di un maomettiano estremista. L’ultima volta che invasero questo paese bruciarono la Biblioteca di Alessandria. Lei sa che ogni rappresentazione delle fattezze umane va contro i precetti del Corano. Una statua è sempre un oggetto sacrilego ai loro occhi. Che cosa importa a questi signori dei sentimenti dell’Europa?”. L’inventore di Sherlock Holmes coglie la straordinaria forza del movimento islamista e la descrive raccontando uno straordinario tramonto nel deserto, con un grande sole rosso che scivola dietro l’orizzonte. “Una civiltà più antica e più erudita – scrive Conan Doyle – aveva indirizzato il proprio sguardo verso il magnifico oggetto che riempiva il cielo in lontananza e l’aveva adorato. Ma questi selvaggi figli del deserto davano più valore all’essenza rispetto ai raffinati persiani. Per loro l’ideale era più importante della materia, ed essi pregavano con la schiena al sole e il viso rivolto verso il principale santuario della loro religione. E come pregavano, questi fanatici musulmani! Rapiti, assorti, con occhi ardenti e volti accesi, alzandosi e poi piegandosi di nuovo in avanti, mentre la loro fronte toccava i tappeti di preghiera. Chi avrebbe potuto dubitare, osservando la loro strenua, coraggiosa devozione, che nel mondo esistesse un’enorme potenza vivente, reazionaria ma tremenda, composta da innumerevoli milioni, uniti da un medesimo credo da Capo Jubi sino ai confini della Cina? Se un impulso comune li travolgesse, se un grande condottiero o una guida carismatica si levasse in mezzo a loro e si servisse del materiale eccezionale a sua disposizione, chi potrà affermare che non sarà proprio questo lo strumento con il quale la Provvidenza spazzerà via il corrotto, decadente, apatico meridione d’Europa, come fece migliaia di anni fa, per fare spazio a una stirpe migliore?”. E, ancora, a proposito di uno dei capi islamisti, l’emiro Abderrahman – “un vecchio dalla barba grigia, dal volto segnato, ascetico, con un naso imponente, brusco e feroce nei modi, marziale nel portamento. Mostro di crudeltà e di estremismo, un musulmano fanatico, fedele alla vecchia e combattiva religione che non esitava mai a portare le feroci dottrine del Corano alle più estreme conseguenze” – Conan Doyle scrive: “Il fuoco che bruciava nel suo sguardo arrogante tornava a lui riflesso in centinaia di altri occhi. Era in questo che si potevano leggere la forza e il pericolo del movimento mahdista; qui, in questi volti convulsi, nel muro di mani che si agitavano, in questi spiriti ebbri e infiammati che non chiedevano altro che una morte sanguinosa dopo essersi intrisi a loro volta le mani di sangue”. A un certo punto i turisti occidentali del Korosko sono costretti a scegliere tra il taglio della gola con scimitarra e la conversione all’islam. Un mullah, con un occhio solo, pone per terra due bastoncini a formare “il simbolo sciocco e superstizioso del vostro antico credo” e vuole che gli occidentali lo calpestino come segno di rinuncia. Pretende anche che bacino il Corano: “Non insuperbitevi per lo sciocco sapere dell’occidente, e comprendete che esiste soltanto una saggezza che consiste nel seguire le vie di Allah come il suo Profeta le ha esposte per noi in questo libro”. Gli occidentali, molti dei quali non particolarmente religiosi, rifiutano. E poi arrivano gli inglesi a salvarli. “Hurrah, hurrah! Merveilleusement bien! Vivent les Anglais! Vivent les Anglais!”, ha urlato il francese che fino a poco prima pensava che i jihadisti fossero un’invenzione dell’imperialismo britannico. Il gruppo jihadista è sconfitto dagli occidentali. “Il XIX secolo – conclude Conan Doyle – si era preso la sua rivincita sul VII”.

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