Il labirinto dell’identità Scritti politici, Abraham B. Yehoshua
Traduzione di Alessandra Shomroni
Einaudi Euro 11
Il volume di scritti politici di Abraham .B. Yehoshua che la casa editrice Einaudi manda in libreria in questi giorni si intitola “Il labirinto dell’identità” e riunisce sette saggi, la maggior parte dei quali si riferisce a interventi che lo scrittore ha tenuto nel corso di varie conferenze sia in America, che in Israele. Assai stimato in patria e all’estero dove è conosciuto per il suo impegno in favore della pace fra arabi e israeliani, dotato di una ricca vena creativa e di uno stile narrativo permeato da una poetica molto personale, Yehoshua è autore di pièces teatrali, di racconti e di numerosi romanzi fra i quali l’ultimo pubblicato da Einaudi nel 2008 intitolato “Fuoco amico”. In questa raccolta di scritti politici appena pubblicati lo scrittore israeliano si pone interrogativi di estrema rilevanza sulla natura dell’identità ebraica, sulle sue caratteristiche e componenti, nonché sui mutamenti ai quali è andata incontro nella patria del popolo ebraico rispetto a quella consolidatasi durante la Diaspora. Partendo dalla domanda se esiste un’unica radice all’odio per gli ebrei, definito “antisemitismo” per la prima volta da Wilhelm Marr nel 1882, l’autore si sofferma nell’analisi del Libro di Ester, un testo databile tra il IV e il II secolo a.C., nel quale appare, ancor prima dell’avvento dell’islam, del cristianesimo, del nazismo e del conflitto mediorientale, la parola “sterminio” nelle parole del perfido Haman ben Hamdata; e prosegue mettendo in luce la teoria di Leo Pinsker secondo la quale “all’origine dell’antisemitismo è la paura nei confronti degli ebrei”. Inoltre per lo scrittore israeliano “ogni ricerca che si rispetti sulla struttura dell’identità ebraica deve concentrarsi su un elemento distintivo degli ebrei: lo stretto e particolare vincolo, o ancor meglio, identificazione tra religione e nazionalità”. Un’identificazione che si è delineata nella coscienza ebraica attraverso tre momenti salienti: il sacrificio di Isacco, la consegna delle tavole della legge sul monte Sinai e l’esilio babilonese. Un capitolo di estremo interesse è quello che Yehoshua dedica alla “rivoluzione sionista” nel quale dopo una disamina delle due componenti fondamentali riscontrabili nel concetto di rivoluzione – la prima una trasformazione radicale dei modi di vita, dei valori e dell’ideologia sociale, la seconda riconducibile all’esistenza di un programma - si interroga se questo movimento sia degno di fregiarsi di tale titolo. Per Yehoshua il sionismo “non è di per sé un’ideologia ma una piattaforma comune a ideologie diverse e talvolta contraddittorie” ; inoltre non proponeva un programma innovativo ma “il ritorno ad una realtà storica antica e la normalizzazione della vita degli ebrei nella loro madrepatria con la rinascita della loro lingua così come era stato per secoli in passato”. Induce a riflessioni anche il saggio intitolato “Ebrei nella diaspora, ebrei in Israele” in precedenza pubblicato il 12 maggio 2006 sul quotidiano Haaretz a seguito dell’intervento dello scrittore al convegno del Comitato ebraico americano a Washington nel quale, preso atto che i principi di base del sionismo si sono disgregati fino ad essere irriconoscibili nella normalità di un’esistenza sovrana, traccia un confine preciso tra l’identità degli ebrei di Israele e quelli della Diaspora evidenziando altresì come il profondo e naturale senso di identificazione di molti ebrei americani con Israele si sia andato affievolendo nel corso degli anni. Nel discorso tenuto nel 1996 all’università di Tel Aviv in occasione del conferimento della laurea honoris causa, Yehoshua invece si chiede se l’espressione “luce per i popoli” abbia ancora un significato. E se sia sufficiente essere “una sorta di lume statico, per cui il solo fatto di esistere è già di per sé un donare, o qualcosa di molto più attivo e concreto”. Yehoshua non ha dubbi: poiché uno dei “pericoli” della pace è la scomparsa delle fondamenta di solidarietà che si erano instaurate fra israeliani e palestinesi durante il conflitto è oltremodo importante “tentare di sostituirle con valori nuovi, con l’impegno sociale, con un senso di missione, con l’aspirazione a raggiungere una meta, sia all’interno del paese che all’estero”. Il saggio pubblicato nel 1998 nella rivista “Alpayim” chiude questa raccolta di scritti politici con un’analisi accurata della società israeliana nella quale è possibile ravvisare la presenza di due gruppi fra gli ebrei giunti in Israele dall’inizio del sionismo: il primo, composto da chi è arrivato nella Terra promessa dopo essere scampato a persecuzioni, all’Olocausto, ai regimi totalitari dell’Europa dell’est, oppure ai regimi oppressivi di paesi arabi come l’Irak, l’Egitto o lo Yemen; il secondo gruppo, meno numeroso, costituito da ebrei convinti sionisti per i quali Israele ha rappresentato una libera scelta. Per entrambi questi gruppi il processo di integrazione, costellato da inevitabili difficoltà, è stato accettato “con relativa rassegnazione”. Esiste però, secondo Yehoshua, un terzo gruppo , a tutt’oggi smarrito e disorientato, ancora incapace di assimilarsi nel tessuto sociale israeliano: sono gli ebrei del Maghreb arrivati in Israele dopo il 1948, e in particolare quelli del Marocco. La richiesta di perdono rivolta da Ehud Barak alla comunità sefardita nel corso del congresso del partito laburista nel settembre del 1997 è una decisione lodevole per lo scrittore israeliano nonostante le reazioni negative che ha suscitato in ambienti diversi , sia da rappresentanti del Likud che da esponenti della sinistra moderata, in quanto riconosce gli errori compiuti dai governi laburisti che hanno preteso dai nuovi immigrati sefarditi un duplice sforzo: non solo rinnegare la diaspora per trasformarsi in ebrei nuovi ma abbandonare le tradizioni orientali per accettare quelle occidentali: perché era evidente che l’infrastruttura del nuovo stato d’Israele avrebbe dovuto essere “di stampo occidentale”. Con questa raccolta di saggi Abraham B. Yehoshua, che si rivela ancora una volta profondo conoscitore e osservatore della società israeliana, si conferma coscienza critica dell’Israele contemporaneo oltre che una figura di intellettuale a tutto campo capace “di accendere un piccolo lume per illuminare i meandri e le tortuosità di tale dedalo e forse, grazie alla sua debole luce, segnalare una via d’uscita senza tuttavia intaccare il nocciolo di questa identità”.
Giorgia Greco
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Contratto con Dio. La trilogia Will Eisner
Traduzione di Francesco Pacifico e Veronica Raimo
Fandango Euro 28
Questa scheda è dedicata a un libro curioso. Per gli americani “graphic novel”, in italiano potremmo dire “romanzo a fumetti”. Titolo, Contratto con Dio. La Trilogia, autore Will Eisner. L’editrice Fandango lo manda in libreria con una scelta sicuramente eccentrica, ma altrettanto giusta. Confesso che non conoscevo Eisner (1917-2005); si trattava di una lacuna deplorevole dal momento che è considerato quasi un a leggenda. L’artista si presenta infatti con due facce. Da una parte, è un disegnatore di enorme talento; dall’altra, un notevolissimo narratore. Questo libro, che conta poco meno di cinquecento pagine, raccoglie alcune delle sue storie migliori che si svolgono tutte a New York e sono tutte di ambientazione ebraica, a cominciare da quella che dà il titolo alla raccolta, nella quale, quasi senza parere, si solleva un problema enorme. C’è un ragazzo buono di cuore che si prodiga per gli altri e cerca di fare solo il bene. Fa un contratto con Dio: io sarò sempre buono, promette, tu però proteggimi dal male. La sua vita va in tutt’altro modo, allora si rivolge a dei saggi rabbini perché studino per suo conto una formula contrattuale più efficace. Tralascio il resto e l’amaro finale. Ho detto New York, si tratta più precisamente del Bronx, uno dei boroughs più degradati. Le storie fanno tutte centro sul n. 55 di Dropsie Avenue. To drop in inglese ha vari significati, tutti legati al concetto di “cadere”. In italiano potremmo dire Viale dei Derelitti. In quel quartiere, in quella strada, con quei “derelitti” Eisner ha trascorso la giovinezza negli anni terribili della depressione, dopo il 1929. Ci sono quelli che perdono il lavoro e devono inventarsi da un giorno all’altro qualcosa, qualunque cosa, per sopravvivere; le povere vacanze della piccola borghesia ebraica sui monti del Catskill nel Nord dello Stato di new York; la presenza minacciosa della Mano nera siciliana; i monelli di strada e i cortili con i panni stesi; i tenori dilettanti che cantano per strada aspettando qualche soldino. La New York di Eisner è un immenso contenitore di storie che hanno il gusto della verità. Chi conosce i romanzi di Isaac Bashevis Singer o di Bernard Malamud ritroverà lo stesso straordinario talento, la capacità di toccare con piccole vicende d’ogni giorno il senso profondo dell’esistenza.
Corrado Augias
Il Venerdì di Repubblica