Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Iran, 9 anni bastano per la pena di morte L'analisi di Pierluigi Battista
Testata: Corriere della Sera Data: 04 maggio 2009 Pagina: 28 Autore: Pierluigi Battista Titolo: «Iran, 9 anni bastano per la pena di morte»
Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 04/05/2009, a pag. 28, l'analisi di Pierluigi Battista dal titolo " Iran, 9 anni bastano per la pena di morte ":
Hanno impiccato Delara Darabi in Iran. Prima di lei, dall’inizio di quest’anno, il boia ha stretto il cappio altre 140 volte. Sono in attesa di esecuzione altri 150 condannati. Le autorità di Teheran amano esibire le forche da cui pendono i corpi senza vita dei criminali: chiamano i fotografi e le telecamere per rivendicare un castigo cui il mondo occidentale assiste con raccapriccio, ma con fatalistica rassegnazione. Delara Darabi aveva 17 anni quando ha commesso il crimine di cui è stata giudicata colpevole. È vero che formalmente l’Iran aderisce alla Convenzione Onu per i diritti dell’infanzia il cui articolo 49 vieta espressamente la pena capitale per chi ha commesso reati quando era minorenne. Ma per le ragazze iraniane la maggiore età scatta a soli nove anni (a 15 per i ragazzi), una soglia d’età molto bassa che consente di dare veste legale alla sopraffazione del matrimonio coatto, quando le donne vengono consegnate al nuovo marito padrone senza il loro consenso. In Iran molte ragazze maggiorenni (ma anche i ragazzi, stavolta) sono peraltro rinchiuse in carcere per futili motivi. Senza arrivare all’impiccagione che ha spezzato la vita di Delara Darabi, molte ragazze sono quotidianamente fustigate e lapidate se il loro comportamento non si è dimostrato conforme alle occhiute direttive racchiuse nella sharia. A Teheran non esiste distinzione tra peccato e reato, tra diritto e morale, tra legge e precetti religiosi. I processi assomigliano a farse grottesche, dove il diritto alla difesa dell’imputato è praticamente inesistente, e il giudice è molto spesso la stessa persona che svolge attività di polizia e di indagine. Se a Teheran finisci nelle grinfie della giustizia degli ayatollah, la tirannia politico-religiosa può fare qualunque cosa di te, violando impunemente ogni genere di trattato internazionale. Nelle prigioni iraniane gli aguzzini praticano con successo la tecnica degli interrogatori pesanti per estorcere alle vittime la confessione di reati mai commessi. «Tutti confessano — ha detto la dissidente Marina Nermat, arrestata a 16 anni «per attività rivoluzionaria» — nella speranza che l’incubo finisca e le torture terminino». Le torture colpiscono con eguale spietatezza maggiorenni e minorenni. E del resto che differenza fa, se si contano a migliaia i minorenni che, infervorati nell’attesa del martirio, negli anni Ottanta vennero mandati al massacro nella guerra santa contro Saddam? Nei bracci della morte delle galere iraniane, sostiene Amnesty International, ci sono tantissimi condannati, «tra i quali prigionieri politici, detenuti per reati d’opinione, omosessuali, adultere e adulteri». La comunità internazionale è perfettamente al corrente, sin nei minimi dettagli, dei modi con cui la tirannia teocratica di Teheran tratta i suoi sudditi, e non si può certo dire che la sua linea di condotta sia chiara e univoca: non far niente per soccorrere chi sta per essere consegnato al boia. Si indigna giustamente per Guantanamo ma non riesce ad accendersi con pari veemenza per le violazioni dei diritti umani e civili in Iran. In compenso l’Onu stila i testi delle sue convenzioni, sapendo che non verranno mai onorati. E basta.
Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante