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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
29.04.2009 Auschwitz: trovato un messaggio in una bottiglia
Contiene una lista di nomi di internati

Testata: Corriere della Sera
Data: 29 aprile 2009
Pagina: 19
Autore: Danilo Taino
Titolo: «Messaggio in bottiglia 65 anni dopo Auschwitz»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/04/2009, a pag. 19, l'articolo di Danilo Taino dal titolo " Messaggio in bottiglia 65 anni dopo Auschwitz  ".

BERLINO — Qualche picco­la perla di vita esce ancora dal silenzio immobile di Au­schwitz, 65 anni dopo. Un mes­saggio in una bottiglia, abban­donato un giorno del 1944 nel mare dell’orrore, è riemerso pochi giorni fa. E, ieri, uno dei prigionieri del lager simbolo dell’Olocausto ha detto che sì, lui era uno dei sette uomini il cui nome appare su quel pezzo di sacco di cemento, uno dei naufraghi della storia del No­vecento che cercò di lasciare la prova della sua esistenza al caso. Anche il numero di regi­strazione sul messaggio corri­sponde: è lo stesso 12063 che Albert Veissid, 85 anni, ancora oggi ha sul braccio.
Nei giorni scorsi, i muratori hanno demolito un muro in una scuola di Oswiecim, il vil­laggio polacco che dal 1940 i tedeschi iniziarono a rendere famoso come Auschwitz. Il 20 aprile, durante i lavori — a po­che centinaia di metri dal cam­po di concentramento —, han­no scoperto una bottiglia e, dentro, arrotolato, un pezzo di carta con un messaggio scritto a matita e sette nomi a ognu­no dei quali corrisponde un numero di registrazione. I re­sponsabili del Memoriale che oggi ricorda quegli anni han­no verificato l’autenticità del documento (del quale non si conosce il testo completo) e hanno ricostruito i fatti in que­sto modo: «Nel 1944, dei pri­gionieri edificarono un rifugio per i soldati, nelle vicinanze del lager, e devono avere mes­so la bottiglia nel muro a cui stavano lavorando».
Non un grido di aiuto, che nessuno in un muro avrebbe trovato per chissà quanto tem­po, dunque. Ma, probabilmen­te, un ponte verso il futuro che vedevano svanire attorno a loro ogni giorno. Forse il de­siderio di fare sapere, a vent’anni, comunque fosse fi­nita, che erano passati da que­sta terra ma gli era stato reso impossibile lasciare un segno diverso dalle poche parole su un pezzo di sacco di cemento che essi stessi, lavoratori schia­vi, avevano portato sulle spal­le.
Un paio di giorni fa, le auto­rità che gestiscono il Memoria­le- Museo di Auschwitz-Birke­nau hanno reso noti i nomi dei sette prigionieri — sei po­lacchi e un francese — che mi­sero le loro speranze nella bot­tiglia: sapevano che almeno due erano usciti vivi dal cam­po di concentramento. Letta la notizia, un uomo del Nord del­la Polonia, attraverso Google, ha rintracciato Veissid a Marsi­glia. L’ex internato non ricor­da della bottiglia ma, dice og­gi, «quelli sul messaggio sono assolutamente il mio nome e il mio numero di registrazio­ne ». Le autorità polacche del Mausoleo cercano anche noti­zie su eventuali altri sopravvis­suti, tra coloro che firmarono il messaggio. Oltre a Veissid, sono: Bronislaw Jankowiak di
Poznan, numero 121313; Stani­slaw Dubla di Laskowice, nu­mero 130208; Jan Jasik di Ra­doma, numero 131491; Waclaw Sobczak di Konina, numero 145664; Karol Czekal­ski di Lodz, numero 151090; Waldemar Bialobrzeski di Ostroleka, numero 157582. Si­curamente, i signori Czekalski e Sobczak sopravvissero al campo di sterminio.
Il complesso di campi di la­voro e di sterminio di Au­schwitz-
Birkenau fu il luogo dove il maggior numero di ebrei, prigionieri polacchi e Rom furono sterminati: più di un milione. Aperto nel 1940, dopo l’occupazione della Polo­nia, inizialmente con scopi mi­litari e di produzione, nel 1942 divenne il lager principale nel quale si realizzò la «soluzione finale» della questione ebraica decisa dai nazisti. Era gestito dalle SS e, sulla base delle esi­genze belliche, destinava un certo numero di internati al la­voro, in media il 25 per cento, mentre il resto, la parte più de­bole dei prigionieri, era invia­to alle camere a gas. Il 27 gen­naio 1945, arrivò l’Armata Ros­sa sovietica e almeno tre dei ra­gazzi che avevano scritto il lo­ro nome su quel pezzo di carta furono liberi.
Un altro messaggio in una bottiglia fu trovato nel 2003, sempre in un muro ma questa volta nel lager di Sachsenhau­sen, non lontano da Berlino. Era stato scritto nell’aprile del 1944 da uno studente polacco, Tadeusz Witkowski, e da un comunista tedesco, Anton E., il quale annotava: «Voglio an­dare a casa. Quando vedrò i miei cari a Colonia? Ma il mio spirito non è spezzato. Presto, tutto sarà meglio». Voci del passato che, in una bottiglia, altissime, di tanto in tanto ven­gono a galla.

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