Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 29/04/2009, a pag. 19, l'articolo di Danilo Taino dal titolo " Messaggio in bottiglia 65 anni dopo Auschwitz ".
BERLINO — Qualche piccola perla di vita esce ancora dal silenzio immobile di Auschwitz, 65 anni dopo. Un messaggio in una bottiglia, abbandonato un giorno del 1944 nel mare dell’orrore, è riemerso pochi giorni fa. E, ieri, uno dei prigionieri del lager simbolo dell’Olocausto ha detto che sì, lui era uno dei sette uomini il cui nome appare su quel pezzo di sacco di cemento, uno dei naufraghi della storia del Novecento che cercò di lasciare la prova della sua esistenza al caso. Anche il numero di registrazione sul messaggio corrisponde: è lo stesso 12063 che Albert Veissid, 85 anni, ancora oggi ha sul braccio.
Nei giorni scorsi, i muratori hanno demolito un muro in una scuola di Oswiecim, il villaggio polacco che dal 1940 i tedeschi iniziarono a rendere famoso come Auschwitz. Il 20 aprile, durante i lavori — a poche centinaia di metri dal campo di concentramento —, hanno scoperto una bottiglia e, dentro, arrotolato, un pezzo di carta con un messaggio scritto a matita e sette nomi a ognuno dei quali corrisponde un numero di registrazione. I responsabili del Memoriale che oggi ricorda quegli anni hanno verificato l’autenticità del documento (del quale non si conosce il testo completo) e hanno ricostruito i fatti in questo modo: «Nel 1944, dei prigionieri edificarono un rifugio per i soldati, nelle vicinanze del lager, e devono avere messo la bottiglia nel muro a cui stavano lavorando».
Non un grido di aiuto, che nessuno in un muro avrebbe trovato per chissà quanto tempo, dunque. Ma, probabilmente, un ponte verso il futuro che vedevano svanire attorno a loro ogni giorno. Forse il desiderio di fare sapere, a vent’anni, comunque fosse finita, che erano passati da questa terra ma gli era stato reso impossibile lasciare un segno diverso dalle poche parole su un pezzo di sacco di cemento che essi stessi, lavoratori schiavi, avevano portato sulle spalle.
Un paio di giorni fa, le autorità che gestiscono il Memoriale- Museo di Auschwitz-Birkenau hanno reso noti i nomi dei sette prigionieri — sei polacchi e un francese — che misero le loro speranze nella bottiglia: sapevano che almeno due erano usciti vivi dal campo di concentramento. Letta la notizia, un uomo del Nord della Polonia, attraverso Google, ha rintracciato Veissid a Marsiglia. L’ex internato non ricorda della bottiglia ma, dice oggi, «quelli sul messaggio sono assolutamente il mio nome e il mio numero di registrazione ». Le autorità polacche del Mausoleo cercano anche notizie su eventuali altri sopravvissuti, tra coloro che firmarono il messaggio. Oltre a Veissid, sono: Bronislaw Jankowiak di Poznan, numero 121313; Stanislaw Dubla di Laskowice, numero 130208; Jan Jasik di Radoma, numero 131491; Waclaw Sobczak di Konina, numero 145664; Karol Czekalski di Lodz, numero 151090; Waldemar Bialobrzeski di Ostroleka, numero 157582. Sicuramente, i signori Czekalski e Sobczak sopravvissero al campo di sterminio.
Il complesso di campi di lavoro e di sterminio di Auschwitz- Birkenau fu il luogo dove il maggior numero di ebrei, prigionieri polacchi e Rom furono sterminati: più di un milione. Aperto nel 1940, dopo l’occupazione della Polonia, inizialmente con scopi militari e di produzione, nel 1942 divenne il lager principale nel quale si realizzò la «soluzione finale» della questione ebraica decisa dai nazisti. Era gestito dalle SS e, sulla base delle esigenze belliche, destinava un certo numero di internati al lavoro, in media il 25 per cento, mentre il resto, la parte più debole dei prigionieri, era inviato alle camere a gas. Il 27 gennaio 1945, arrivò l’Armata Rossa sovietica e almeno tre dei ragazzi che avevano scritto il loro nome su quel pezzo di carta furono liberi.
Un altro messaggio in una bottiglia fu trovato nel 2003, sempre in un muro ma questa volta nel lager di Sachsenhausen, non lontano da Berlino. Era stato scritto nell’aprile del 1944 da uno studente polacco, Tadeusz Witkowski, e da un comunista tedesco, Anton E., il quale annotava: «Voglio andare a casa. Quando vedrò i miei cari a Colonia? Ma il mio spirito non è spezzato. Presto, tutto sarà meglio». Voci del passato che, in una bottiglia, altissime, di tanto in tanto vengono a galla.
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