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La Stampa Rassegna Stampa
26.04.2009 Basta con le utopie. Obama accetti il realismo di Bibi
Cronaca di Maurizio Molinari, intervista a Benny Morris di Francesca Paci

Testata: La Stampa
Data: 26 aprile 2009
Pagina: 15
Autore: Maurizio Molinari - Francesca Paci
Titolo: «Scricchiola la tesi 'due popoli due Stati' - Basta con le utopie. Obama accetti il realismo di Bibi»

Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 26/04/2009, a pag. 15, l'articolo di Maurizio Molinari dal titolo " Scricchiola la tesi 'due popoli due Stati' " e l'intervista di Francesca Paci a Benny Morris dal titolo " Basta con le utopie. Obama accetti il realismo di Bibi " .

Maurizio Molinari : " Scricchiola la tesi 'due popoli due Stati' "

Un best seller, il padre centenario, due accademici e una miriade di indiscrezioni: sono i vettori grazie ai quali, a tre settimane da giorno in cui sarà ricevuto alla Casa Bianca, il premier israeliano Benjamin Netanyahu sta facendo trapelare le «nuove idee» sul Medio Oriente che esporrà a Barack Obama.
Laureato al Mit, studente ad Harvard, a lungo residente a Boston nonché già viceambasciatore a Washington e capo della missione all’Onu, Netanyahu è il politico israeliano che meglio conosce gli Stati Uniti e la scelta di far precedere l’incontro nello Studio Ovale da una pioggia di dettagli su cosa ha in mente ripete la tattica di comunicazione che la Casa Bianca adopera per preparare il pubblico alle sue iniziative.
Tutto è iniziato con l’arrivo a New York di Yossi Klein Ha-Levi, un accademico della Shalem Center di Gerusalemme, che durante una serie di conferenze ha esposto la tesi dell’«impossibilità della soluzione dei due Stati» motivandola con il fatto che «i palestinesi l’hanno rifiutata prima quando Arafat disse di no a Barak a Camp David nel 2000 e poi quando Abu Mazen ripropose il rifiuto a Olmert nel 2008». Per l’accademico, considerato vicino al premier, dietro il «rifiuto di Arafat e Abu Mazen ad ottenere praticamente tutta la Cisgiordania e metà di Gerusalemme c’è la non volontà di rinunciare al diritto dei profughi palestinesi a tornare dentro i confini di Israele pre-1967» e dunque l’ostacolo è tale da «far dichiarare chiuso il capitolo dei due Stati» aperto con gli accordi di Oslo del 1993.
È una tesi convergente con il libro «One State, Two States» dello storico Benny Morris arrivato in questi giorni nelle librerie - premiato dalle vendite - descrivendo il fallimento del progetto di Stato binazionale e quello dei due Stati per concludere che l’unica alternativa è «riconsiderare la separazione della Giordania dalla West Bank dando inizio ad un negoziato trilaterale israelo-giordano-palestinese per arrivare ad una soluzione dei due Stati» dove quello arabo potrebbe essere una confederazione giordano-palestinese alla quale, appena possibile attaccare Gaza. Per avvalorare questo scenario Michael Oren - un altro accademico dello Shalem Center, dato come possibile ambasciatore negli Usa - si è detto a favore del «ritiro unilaterale dalla West Bank con lo smantellamento degli insediamenti» mettendo sul piatto quella che potrebbe essere l’offerta ai giordano-palestinesi se diventassero la controparte «per la pace».
Se queste possono essere le anticipazioni sulla pace con i palestinesi che Nethanyahu ha preannunciato al mediatore George Mitchell, i diplomatici israeliani di carriera mettono invece sul piatto la questione-Iran. Daniel Ayalon, vice ministro degli Esteri, spiega al «Washington Post» che «per avere progressi con i palestinesi bisogna evitare che l’Iran li boicotti» e ciò significa che Netanyahu farà passi avanti solo se Obama dimostrerà prima determinazione nell’impedire all’Iran di avere l’atomica e continuare a foraggiare Hamas e Hezbollah. Quando Ehud Barak, oggi ministro della Difesa, parla di «soluzione regionale» si riferisce ad uno scenario nel quale disinnescando il pericolo-Iran si arriva alla pace. Ma non è tutto. In America è arrivato anche Benzion, il 99enne padre del premier, per presentare l’ultimo libro sull’Inquisizione e far sapere a Obama, attraverso una raffica di interviste nella roccaforte liberal di Boston, che «il problema di fondo resta il fatto che gli arabi non ci vogliono».

Francesca Paci : " Basta con le utopie. Obama accetti il realismo di Bibi "

Quando l’amministrazione americana realizzerà che i palestinesi sostengono sempre meno la creazione di due stati per due popoli e che non c’è margine per un unico paese binazionale, dovrà studiare soluzioni alternative». Benny Morris, enfant terrible dell’accademia israeliana, idolo della sinistra all’epoca del saggio «The Birth of the Palestinian Refugee Problem» e oggi icona del postsionismo, adora sparigliare le carte. Al presidente Barack Obama, che si prepara a discutere con il premier Bibi Netanyahu «ipotesi al momento impraticabili», suggerisce la terza via, quella di cui parla nel suo nuovo libro «Due popoli, una terra» (Rizzoli): una confederazione di Giordania, Cisgiordania e, potenzialmente, Gaza.
Il conflitto mediorientale ha visto giorni peggiori: Hamas e Fatah si combattono a bassa intensità, Israele aspetta in sordina il decollo del nuovo governo, Washington sprizza buona volontà. Lei però, resta pessimista. Perchè?
«È un periodo di relativa calma, è vero. Ma le prospettive di pace sono nere. Dopo il no di Arafat a Barak a Camp David nel 2000, nessuno crede più nella possibilità di veder nascere due stati. Hamas dice chiaramente di essere contrario, l’Autorità palestinese del presidente Abu Mazen s’impegna a parole ma sempre più debolmente, le colonie ebraiche in Cisgiordania rappresentano un ulteriore ostacolo, se non il maggiore, alla divisione lungo i confini del 1967. D’altra parte l’ipotesi binazionale, così caldeggiata dall’estrema sinistra occidentale e dalla destra araba, non ha alcuna chance: c’è il problema della crescita demografica degli arabi che in pochi anni prenderebbero il sopravvento sugli ebrei, ma ci sono soprattutto enormi differenze culturali e religiose. Nessuno dei due popoli accetterebbe mai di essere governato dall’altro».
Cosa propone per uscire dall’impasse?
«Gli arabi rifiuteranno sempre una Palestina realizzata sul 20% di quella storica al confine con Israele che mantiene l’80% del territorio. Ma forse potrebbero prendere in considerazione uno stato composto da Giordania, Cisgiordania e Gaza, la vecchia ipotesi della confederazione oggi mi appare più logica dell’utopia clintoniana. Non ho dubbi sulla contrarietà di Hamas, diverse fazioni di Fatah invece avrebbero molto da guadagnare».
È il piano alternativo di cui il premier israeliano Netanyahu parlerà al presidente americano Obama nei prossimi giorni?
«Potrebbe essere. Non so cosa progetti Netanyahu, a volte sembra sostenere la soluzione due stati, altre volte privilegia la pace economica rispetto a quella politica. Dipenderà da Obama e il suo approccio è decisamente molto pragmatico. La confederazione palestinese potrebbe essere un’idea provocatoria».
Come la prenderebbe la monarchia hashemita?
«Decisamente male, la Giordania ha già combattuto una guerra civile contro i palestinesi. In questo caso poi, l’opzione giordana non sarebbe un’annessione dei territori palestinesi come quella immaginata dai laburisti israeliani negli anni ‘70 ma una confederazione a maggioranza palestinese. È possibile che re Abdallah abbia già palesato la sua contrarietà alla Casa Bianca. Magari però, protetta da una forza internazionale, la monarchia potrebbe finire per lasciarsi persuadere».
Sempre ammesso di convincere Obama, un fermo sostenitore di Oslo, della Road Map, dei due Stati confinanti.
«È vero, Obama si è mosso finora sul sentiero tracciato da Bill Clinton. Ma si renderà presto conto che gli arabi sono i primi a non volere quella soluzione. Non dico che la confederazione abbia grandi possibilità, ma le varie mappe del Medioriente immaginate in questi anni, sono carta straccia».
Il ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman ripete di avere delle idee sull’argomento. Riesce a immaginare quali?
«Credo che nel breve periodo il conflitto israelo-palestinese perderà importanza rispetto alla minaccia iraniana, unica vera preoccupazione israeliana. L’ipotesi più realistica è il mantenimento dello status quo, gli israeliani che dominano la Cisgiordania, i palestinesi che dominano Gaza, la violenza quotidiana che domina la regione con punte più acute nelle zone di confine».
Cosa si aspetta dal presidente americano sul fronte iraniano?
«Ho l’impressione che la politica di pace inaugurata da Obama legga la sfida iraniana alla luce del più grande problema islamico e prediliga un tono conciliante che non sarà premiato dai suoi interlocutori».

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