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Il Manifesto Rassegna Stampa
25.04.2009 Durban II è stato un processo a Israele
E un quotidiano si rammarica che non si sia parlato delle 'ragioni dei palestinesi'

Testata: Il Manifesto
Data: 25 aprile 2009
Pagina: 12
Autore: Gianpaolo Calchi Novati
Titolo: «Ginevra nelle secche del Medioriente»

Riportiamo dal MANIFESTO di oggi, 25/04/2009, a pag. 12, l'articolo di Gianpaolo Calchi Novati dal titolo " Ginevra nelle secche del Medioriente ".

Calchi Novati è dispiaciuto che l'Italia non abbia partecipato a Durban II e scrive : "Non si sa se per ingenuità o spudoratezza, il presidente iraniano e i governi dei principali paesi occidentali hanno fatto a gara nel gioco fin troppo scontato di enfatizzare le impuntature dell’altro per rafforzare le proprie traballanti certezze. ". La volontà di Ahmadinejad di distruggere Israele non è un' "impuntatura" , ma un preciso programma politico, che non va sottovalutato. Nemmeno la decisione di alcuni Paesi occidentali di boicottare Durban II lo è. Si tratta, piuttosto, di un segnale forte contro l'antisemitismo. . Per quanto riguarda le "traballanti certezze". Quella dell'Iran di voler annientare Israele non è traballante, ma ben ferma e dichiarata da tempo, pure. Non è di certo il boicottaggio di alcuni (pochi, purtroppo) Paesi occidentali ad averla rafforzata.
Poi Calchi Novati scrive : "
 La Conferenza di Ginevra sul razzismo, comela precedente assise di Durban del settembre 2001,(...), è stata inchiodata sulla questione Israele- sionismo finendo per lasciare in secondo piano tutti gli altri temi. Iran e Israele stanno portando avanti la loro guerra in un altro contesto non meno pericoloso e non era certo il caso di prestarsi all’interesse degli uni e degli altri a esasperare i toni. ...Ci si aspetterebbe che i frattini e i bocchini avessero qualche considerazione in più per le ragioni dei palestinesi e degli arabi anche senza concedere nulla agli anatemi". E' lecito difendere Israele e del suo diritto di esistere (e di difendersi dai criminali che vogliono distruggerlo) senza citare le "ragioni dei palestinesi"? Durban II, farsa antisemita, è stata un attacco a Israele e agli ebrei israeliani. Condannare questo attacco non significa non avere "considerazione", per i palestinesi e per gli arabi. A meno che, per Calchi Novati, la comprensione occidentale per le "ragioni"arabe e islamiche non debba spingersi fino a negare il diritto  all'esistenza di Israele.

Ecco l'articolo:

Non si sa se per ingenuità o spudoratezza, il presidente iraniano e i governi dei principali paesi occidentali hanno fatto a gara nel gioco fin troppo scontato di enfatizzare le impuntature dell’altro per rafforzare le proprie traballanti certezze. C’è voluto un liberale come Sergio Romano, che vuole restare fedele all’ideologia che professa, per richiamare alle regole proprie di ogni assise internazionale. A giudicare da certe dichiarazioni, si direbbe che una conferenza dell’Onu sia come un invito a una bicchierata fra amici che si accetta o ricusa a seconda del livello o del linguaggio degli altri convitati. Proprio l’Italia, poi, con la sua solidissima fama di aver sempre perseguito la «politica della sedia », anche quando non sapeva come occuparla. Forse Frattini ha voluto distinguersi da illustri predecessori, incominciando da Pasquale Stanislao Mancini, che nel 1884 non volle rimaner fuori dalla Conferenza di Berlino sull’Africa. Il dubbio è che con la sua ragionevolezza il bravo Romano sottovaluti l’aria che circola nella gestione della diplomazia come concepita da una parte politica che si vorrebbe definire senz’altro Occidente se non fosse doveroso distinguere i veri dai falsi liberali, tener conto oltre ai governi anche dell’opinione pubblica e in ultima analisi aspettare che Obamaespleti fino in fondo i principi che ha enunciato in campagna elettorale e nelle prime settimane di presidenza. Invece dell’attesa svolta verso il multilateralismo (se non proprio del multipolarismo) si rischia in effetti di dover certificare la fine dell’Onu. L’Onu non si èmai ripresa dal trauma della guerra contro l’Iraq. Lasciare impunito uno stato, che, con un corredo di alleati (fra cui l’Italia), si fa beffe di una procedura in corso al Consiglio di sicurezza e aggredisce con una valanga di bombe lo stato apparentemente sotto inchiesta per stabilire i torti e le ragioni, è una campana amorte per ogni organizzazione e forma di giustizia internazionale. La Lega delle Nazioni non sopravvisse alle sue impotenze nella seconda metà degli anni ’30. Eppure, dopo l’invasione dell’Etiopia qualche fiacca condanna e persino blande sanzioni per colpire l’Italiamussoliniana riuscì a votarle. Il momento è delicato. Nella riunione svoltasi pochi giorni fa a Londra sul modo di affrontare la crisi economica globale si è dovuto prender nota che tutto dipende dalla posizione della Cina. Non G20 ma G2: Usa e Cina. Nella fissazione delle condizionalità per aiuti e investimenti il Beijin consensus sta sostituendo il Washington consensus. La Cina e l’India hanno impostato un forum in cui incontrano periodicamente i 50 e più paesi africani. L’Ue, dopo l’exploit curato da Prodi nel 2000 al Cairo, ha fatto passare 8 anni prima di organizzare il secondo round e la nuova sessione, a Lisbona, finì con un nulla di fatto.Negli incontri a livello internazionale sull’economia o il commercio o il clima i paesi detti Bric (Brasile, Russia, India e Cina), un gruppo del tutto informale, senza le bardature dell’Ue o della Nato, contano di più, per la sola forza dei numeri, dei sussieguosi paesi della «vecchia » Europa. Si può comprendere la psicosi di chi teme di trovarsi solo o isolato, non solo per gli estremismi di un Ahmadinejad o un Chavez. Non sia mai che un giorno l’Onu o qualche sua agenzia convochi una conferenza sull’emigrazione o sul trattamento riservato in Europa ai sans-papier che costituiscono una porzione così rilevante della forza-lavoro dei paesi a capitalismo avanzato ma figurano come un problema di «sicurezza». Era l’Onu dunque il «bersaglio grosso»? Nonmeraviglia che sulla Conferenza di Ginevra la Francia non abbia seguito l’Italia. La grandeur come concepita e praticata dal gollismo e dallo stesso Mitterrand, che si è prodigato per «democratizzare» la Quinta Repubblica ma che l’ha poi utilizzata a suo beneficio, è contro gli egemonismi a senso unico. De Gaulle non perdonò mai la guerra americana in Vietnam e Chirac si oppose strenuamente finché poté alla guerra americana in Iraq. Per la Francia è fondamentale evitare una dualità che corrisponda troppo rigorosamente a emisferi, schieramenti o civiltà, anche se poi la sua politica nel Terzomondo resta iscritta nella logica conclusa del neo-colonialismo che è già costata a Parigi la perdita di molte posizioni in Africa. Quello che la Francia intende per partecipare non è il cauto barcamenarsi dell’Italia nel calduccio di un alveo precostituito, sfruttando al più, in sede europea, i teoremi a 3 o a 4 con gli altri grandi o semi-grandi. La Conferenza di Ginevra sul razzismo, comela precedente assise di Durban del settembre 2001, che fatalmente fallì solo pochi giorni prima delle Torri gemelle, quasi una rivelazione del dramma incombente a averla saputa leggere, è stata inchiodata sulla questione Israele- sionismo finendo per lasciare in secondo piano tutti gli altri temi. Iran e Israele stanno portando avanti la loro guerra in un altro contesto non meno pericoloso e non era certo il caso di prestarsi all’interesse degli uni e degli altri a esasperare i toni. La quale questione israeliana, comunque, non deve essere così acquisita nei suoi termini costitutivi se ha rappresentato una specie dimacigno ingombrantissimo per tutti gli anni che ci separano dalla seconda guerra mondiale. Ci si aspetterebbe che i frattini e i bocchini avessero qualche considerazione in più per le ragioni dei palestinesi e degli arabi anche senza concedere nulla agli anatemi. Obama dà l’impressione, come a Trinidad, di aver capito meglio la necessità di sbloccare dalle secche del «noi» e «loro » il dialogo con chi ha altre agende politiche, altri bisogni e altri parametri culturali. Viene in mente lo scontro fra Usa da una parte e Francia e Gran Bretagna dall’altra ai tempi della crisi di Suez. Anche allora Israele servì da pretestomail punto era il prolungamento o il superamento del colonialismo. Nel 1956 l’Italia dei Segni e dei Martino (i padri) esitò a lungo prima di voltare le spalle agli alleati europei e fu salvata in extremis da Eisenhower, che bloccò la follia di Parigi e Londra. Oggi la dottrina discute di sovranità «liquida». La nostra sarebbe l’età giusta per rilanciare le organizzazioni internazionali sui temi di portata generale come appunto il razzismo (e non solo). Ma ci sono stati o governi che contrabbandano per universalismo una primazia che è ferma ai pregiudizi del colonialismo ottocentesco. Non hanno nessuna intenzione di sedersi intorno a un tavolo riconoscendo gli antichi possedimenti come dei pari. Si illudono di sottrarsi all’incalzare del cambiamento e si nascondono dietro ai discorsi dell’uomo di Tehran, che per suo conto ha in mente il suo quadro di riferimento, da cui sarebbe stato ben più producente cercare di staccarsi invece di evidenziarlo. Alla lunga, in ogni modo, nulla potrà impedire che, tutti insieme, senza ridicole gerarchie di pedigree, si dovrà affrontare le istanze non eludibili di un Sud del mondo non più localizzabile come una volta in una periferia senza storia e senza diritti.

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