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Ugo Volli
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Durban 2: ad applaudire Ahamadinejad non sono mancati gli ultraortodossi antisionisti 23/04/2009

Durban 2: ad applaudire Ahamadinejad non sono mancati gli ultraortodossi antisionisti

La nostra società è liquida, come insegna Zygmund Bauman, e liquida - nel senso di virtuale e inconsistente - è stata anche la conferenza di Ginevra. Ma ci sono liquidi e liquidi, e per il cibo e le bevande di cattiva qualità vale il detto che "desinit in piscem" cioè finisce col pesce... o con l´altra parola allusa che vi sarà venuta in mente. Così è avvenuto naturalmente per Durban2, che è sparita dopo il comizio iraniano. Spiace che in questa fine liquida siano rimasti immersi Stati e organizzazioni che sono o si ritengono nobili e animati di principi etici, non solo l´Onu ma anche la Francia, Spagna, Norvegia e Vaticano. Ma se si guarda al loro comportamento durante la seconda guerra mondiale le cose forse si chiariscono un po´...
Bisogna dire che il cattivo liquido di Ginevra forse non si sarebbe potuto allestire senza l´attiva collaborazione di certe frange del popolo ebraico. Di solito parlo male della sinistra antisionista  (ricomincerò da domani), oggi voglio parlare della destra. Anzi, dei religiosi. Perché nel carnevale di Durban 2 ad applaudire Ahamadinejad non sono mancati gli ultraortodossi vestiti di nero, probabilmente quegli stessi che potete vedere in un filmato di youtube stringergli la mano e ascoltarlo estasiati a Teheran un paio d´anni fa, portando sulla palandrana il distintivo di Al Fatah. Fanatici isolati, mi dite? Non tanto. Perché in Israele certamente si ricordano, l´anno scorso, in occasione della festa dell´indipendenza, impiegati comunali di Gerusalemme picchiati perché tentavano di issare sulle strade di Meà Shearim, il ghetto autoimposto degli ultraortodossi, la bandiera dello Stato. Probabilmente il pestaggio fu opera di quegli studenti delle scuole religiose che per questa loro qualità sono esentati dal servizio militare... e che non vengono feriti e uccisi come i soldati normali perché, come disse il più grande grande leader ultraortodosso Rav Ovadia Josef, questi ultimi non pregano abbastanza... E nella stessa occasione della festa dei 60 anni di Israele, a un rabbino riformato fu impedito dalle autorità ortodosse di dire la preghiera per i defunti in ricordo di suo figlio caduto nella guerra del Libano, in ragione della sua appartenenza al movimento modernista. Del resto il Rebbe di Lubavich, preteso messia dai suoi discepoli "chassidici", scomparso una decina di anni fa, non ha mai voluto mettere piede nello Stato di Israele né ha mai pronunciato alcuna parola che potesse implicare il suo riconoscimento formale: troppo laico per i suoi gusti. Si potrebbe continuare a lungo. Mi permetto solo di accennare qui a un altro caso molto minore, ma questa volta italiano, con l´avvertenza che vi sono coinvolto personalmente e che quindi il mio giudizio può essere considerato parziale: ancora quest´anno la comunità ebraica di Milano, presieduta da Leone Sued ha escluso dalle celebrazioni dell´indipendenza di Israele le due comunità riformate della città, senza nessun motivo plausibile se non il settarismo religioso. Per la comunità di Milano, come per i "neri" di Gerusalemme, la maniera giusta di dire le preghiere conta più dell'amore per lo Stato di Israele. Come vedete, non basta un cappello in testa e magari  i "peyotl", i riccioli lunghi ai lati della fronte e una palandrana nera ottocentesca a garantire la difesa di Israele. Anzi. A sinistra come a destra le cose sono assai più complicate.

Ugo Volli


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