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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.04.2009 Il silenzio delle femministe
di fronte alla situazione delle donne pakistane e afghane

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 aprile 2009
Pagina: 16
Autore: Viviana Mazza
Titolo: «Kabul e il silenzio delle femministe 'Ormai siamo escluse dal dibattito'»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/04/2009, a pag. 16, l'articolo di Viviana Mazza dal titolo " Kabul e il silenzio delle femministe «Ormai siamo escluse dal dibattito» ".

«Commentavo con un’amica le ultime vicende in Afghani­stan. La consigliera assassinata, le sassaiole contro le manifesta­zioni di Kabul contro la legge che garantisce il diritto di stu­pro nel matrimonio sciita — os­serva la femminista Susanna Ca­musso, segretaria confederale della Cgil —. Tra le tante cose che ci sono state raccontate quando siamo intervenuti nel Paese è che le donne sarebbero state liberate dal burqa». Le atti­viste afghane hanno marciato per i diritti delle donne a Kabul. Le attiviste pachistane, sia lai­che sia dei partiti islamici, han­no protestato a Lahore e Kara­chi dopo la diffusione di video di ragazze frustate o uccise nel­le zone tribali per «relazioni ille­cite ». In Italia e nei Paesi occi­dentali si commenta e si riflette su queste notizie, c’è indignazio­ne sul web, ma le femministe non sono scese in strada a mani­­festare, non hanno presidiato le ambasciate. Nè si è registrata una reazione forte e continua delle donne di sinistra, destra o centro. Viviamo una «stagione di silenzio», dice Camusso. «Il movimento femminista è come un movimento carsico: compa­re e scompare». La fase di scom­parsa sembra durare da un po’.
Camusso denunciò nel 2007 il silenzio delle femministe su Hina, la pachistana uccisa a Bre­scia dal padre perché voleva vi­vere «all’occidentale». Non par­larono perché «l’attacco all’im­migrato
non è politically cor­rect », disse. «La penso come al­lora — dice oggi —. Anzi, se possibile, è ancora peggio: si è continuato a tacere anche delle violenze sulle donne italiane. Il tema della violenza sessuale è scomparso, rinchiuso dentro le mura domestiche. Lo si usa solo per gridare scandalo se a com­mettere lo stupro è un extraco­munitario ». Se non ci si solleva per le violenze domestiche con­tro le italiane, figuriamoci nei casi delle donne all’estero. Lidia Menapace, ex senatrice di Rifon­dazione comunista, è d’accordo ma aggiunge che se le femmini­ste non parlano è anche per via di «un’esclusione soft»: «E’ diffi­cile prendere la parola. Sulla sharia viene interpellato il politi­co, non le donne, che non sono più soggetto politico».
Secondo Assunta Sarlo, che nel 2006 organizzò a Milano una spettacolare manifestazio­ne per l’aborto, «pensare che l’unica modalità di espressione delle donne rispetto alle que­stioni dei diritti siano solo le manifestazioni è riduttivo. Ci sono molte modalità: ragiona­re, riunirsi. Ci sono siti, giorna­li, riviste in cui il dibattito con­tinua sul multiculturalismo. E le organizzazioni non governa­tive di donne, ce ne sono tantis­sime nei Paesi in via di svilup­po, pesano forse più delle mani­festazioni ». Camusso però cre­de che il problema sia più pro­fondo: «Chi teorizza il multicul­turalismo tende ad escludersi dal dibattito. C’è una forte fati­ca a dire una cosa intuitiva: che il metro di misura della demo­crazia in Afghanistan, in Iran, in Somalia è che i diritti delle persone non siano violati. C’è un’ulteriore difficoltà: il silen­zio nei confronti delle religio­ni. Io penso che esercitare la cri­tica rispetto a una religione, nella logica della sharia che pre­suppone la sottomissione, non significa non essere rispettosi, ma saper individuare aspetti di inciviltà».
Un’altra questione è se il mo­vimento femminista nei Paesi musulmani apprezzi l’appog­gio occidentale. «A volte se don­ne straniere appoggiano le fem­ministe locali, queste ultime possono essere etichettate co­me anti-Islam da chi usa la reli­gione a scopi politici», dice la scrittrice egiziana Saher El Mougy. «In ogni caso, possono fornirci un appoggio morale che però non cambia nulla sul terreno. La lotta più difficile è cambiare la cultura: ciò che le donne fanno contro se stesse e le figlie». L’avvocato Mehran­giz Kar, una delle più note fem­ministe iraniane, crede invece che, benché non vi siano state grandi proteste di piazza, «le donne in Europa e in America siano molto sensibili al proble­ma delle afghane. Detto ciò, benché il movimento femmini­sta sia unico e lotti ovunque per l’uguaglianza, va capito che le priorità sono diverse. Oggi le femministe in molti Paesi mu­sulmani stanno spesso attente a dire che Islam e diritti umani sono conciliabili, per ottenere legittimità e sperando di raffor­zare i moderati. Chi le appoggia davvero all’estero fa lo stesso. E’ una strategia. Funzionerà? Non so. Forse solo nel breve pe­riodo ».

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