Dal FOGLIO di oggi, 18/04/2009, a pag.XII, l'analisi di Amy Rosenthal dal titolo "La delusione d'Iran ":
Abbiamo avuto l’opportunità di intervistare una donna iraniana, conosciuta nel mondo per il suo blog, che ha ancora duemila visite al giorno, nonostante non sia più aggiornato da tempo a causa delle pressioni – e che pressioni – del regime teocratico di Teheran. Se fosse identificata, non le verrebbe risparmiato il carcere, se non la vita. Per questo la chiameremo Azar. Poteva essere arrivata, per le donne iraniane, l’ora di alzare la testa. Mentre l’occidente criticava il presidente Mahmoud Ahmadinejad e riponeva ogni speranza nella società civile, dipinta come una risorsa inesauribile di vivacità e gioventù, a Teheran è stata lanciata una campagna, “One Million Signatures”, che chiedeva “la fine delle leggi discriminatorie contro le donne in Iran”. Un’illusione. “Le donne non ne sapevano nulla, e nonostante quello fosse l’obiettivo della campagna le firmatarie non sono state affatto un milione”, spiega Azar al Foglio. I lettori continuano a consultare il suo blog, nonostante i post non siano più aggiornati da quando Azar è tornata in Iran. E’ delusa – racconta – aveva deciso di rientrare, dopo molti anni passati in Europa, armata di tante speranze. “Passeggiando tra le vie di Teheran ho scoperto che erano pochissime le donne al corrente di quell’iniziativa, tanto per fare un esempio – dice – Soltanto quelle che guardano ‘Voice of America’ tutte le sere sanno che cosa succede in Iran”. “Voice of America” è un service internazionale nato negli Stati Uniti che in Iran dedica, in sei ore di trasmissione, un’ora specificatamente alle donne. E proprio in quell’ora ha pubblicizzato la campagna. “Il programma tenta d’informare, però la percentuale di donne iraniane impegnate in politica o interessate alla denuncia sociale è piccolissima. La maggior parte delle donne è molto più impegnata a convivere con una situazione matrimoniale difficile o a recuperare i propri figli in caso di divorzio, visto che in Iran gli uomini possono portare via i bambini alla madre all’età di due anni e le bambine all’età di sette”. Secondo Azar anche la televisione potrebbe fare di più. “Non sono veramente contro il regime. Cercano di fare informazione senza capire che qui non esiste un contesto adatto a percepirla. Vivere in Iran è come stare su un altro pianeta. E’ come se il mondo di chi crea i messaggi e li trasmette e quello di chi li recepisce non si incontrassero mai, parlano lingue diverse. L’informazione fatta dagli occidentali in Iran non viene capita e non suscita reazioni nel mio paese”. Eppure i media occidentali preoccupano non poco il governo, come dimostra la battaglia del ministro della Cultura e della Guida islamica di Teheran, Mohammad Hossein Saffar Harandi, contro le attività “illegali” della Bbc che da gennaio trasmette anche in farsi – Harandi ha vietato ai giornalisti di lavorare per il canale televisivo. Che cosa dovrebbero fare i mezzi d’informazione per influenzare gli iraniani? “Innanzitutto conoscere la società iraniana – spiega Aznar – che è in un continuo cambiamento. Bisogna conoscerne il linguaggio. I presentatori di ‘Voice of America’ parlano in farsi, ma usano modi di dire che gli iraniani non capiscono più. La Repubblica islamica per trent’anni è stata ‘la periferia dell’impero’, lasciata in un angolo. E al suo interno si è sviluppata una cultura che non ha mai comunicato con le altre”. E non basta raccontare, come ha fatto Voice of America attraverso i filmati di YouTube, che gli studenti alla mensa dell’università sono stati avvelenati dal cibo andato a male o che una studentessa è stata molestata da un guardiano dell’università. “Gli iraniani ascoltano e si chiedono cosa mai stiano raccontando del proprio paese da migliaia di chilometri di distanza. Sanno già che in Iran impiccano le persone o che le donne non hanno i diritti. Ma non possono farci niente”. Dopo la presidenza di Khatami – “l’ultima illusione degli iraniani”, come lo definisce Azar – ora è il momento della realtà. La realtà è il presidente Ahmadinejad, il risultato di trent’anni di idee khomeiniste che vorrebbero “far vincere l’islam e alzare la bandiera islamica nel mondo”. La realtà dell’Iran di oggi è un regime fatto da tre pilastri: “Il primo è la morte dell’America, il secondo è la morte d’Israele e il terzo è che le donne portino il foulard”. L’unico modo per smantellare le colonne del credo di Ahmadinejad, secondo Azar, è minarle alle fondamenta. Parlando. “Se l’America entrasse in dialogo diretto con l’Iran senza precondizioni, il risultato sarebbe un avvicinamento agli Stati Uniti, che priverebbe l’Iran del ‘grande Satana’, il grande nemico. A quel punto o si crea un altro grande nemico, oppure tutta l’ideologia crolla”. E’ l’idea che ha anche la nuova Amministrazione di Barack Obama: la mano tesa. Ma per quanto tempo può restare allungata la mano, visto che lo stesso presidente non fa mistero delle sue intenzioni contro l’occidente e a favore del programma nucleare? La risposta, secondo alcuni, è nelle elezioni di giugno. Azar non andrà a votare, “le nostre elezioni sono una farsa, è fin troppo facile truccarle. Sono venuti gli osservatori una volta, ma anche loro erano sotto stretta osservazione del regime. Per me è irrilevante chi prenderà il posto di Ahmadinejad, che sia il “riformista” Moussavi o il sindaco di Teheran Qalibaf, perché quello che importa in Iran è il sistema, a prescindere da chi sia il presidente. Il popolo conta poco. E il sistema farà di tutto per restare immutato”. Ma questa volta c’è il tanto acclamato effetto Obama. “La gente spera che l’inizio di un dialogo e qualche concessione in più migliori la drammatica situazione socioeconomica del paese. Poi c’è una minoranza, quella di cui faccio parte, che vorrebbe un cambiamento radicale. Che non vuole che il dialogo con gli Stati Uniti legittimi il regime. L’Iran possiede le maggiori risorse di gas e petrolio al mondo, ma tutte quelle risorse sono usate per gli affari del regime e come sponsor del terrorismo, non di certo per i cittadini. Per fare di più l’America deve dialogare con la gente, dire agli iraniani che investirà in modo da offrire più posti di lavoro, l’assistenza medica assicurata. Ma questo può farlo soltanto un iraniano, magari supportato dall’occidente, che proponga un programma di governo vero e proprio. E per ora questo manca”. Qualcuno, come Kenneth Pollack, esperto di sicurezza nazionale e questioni militari, propone di dare all’Iran incentivi economici perché ceda il suo programma nucleare. “E’ inutile, tanto il regime non abbandonerà mai il nucleare. Anche perché il governo non dichiara di puntare alla bomba atomica, ma sostiene di aver bisogno dell’energia nucleare per scopi civili”. E anche se tutte le agenzie di intelligence sono certe che non sia così, formalmente la posizione sembra inattaccabile. “Se si seguisse il suggerimento di Pollack, il regime dovrebbe utilizzare gli eventuali incentivi a favore del popolo, ma non lo farà. Li userà invece per finanziare Hezbollah in Libano. L’unica soluzione sarebbe un nuovo movimento iraniano, che desse al paese una nuova coscienza politica e sociale”. L’America e l’Europa denunciano le violazioni dei diritti umani in Iran fin dai tempi dello scià. “Durante il regno dello scià sono state fucilate circa 300 mila persone, mentre in questi ultimi 30 anni sono state fuciliate decine di migliaia di persone e nessuno ne vuole parlare. Basta andare su YouTube per capire i mostruosi atti contro i diritti umani nel mio paese – dice Azar – Si vedono donne spinte a calci nelle automobili perché non si sono coperte i capelli nella maniera giusta. A me invece basta uscire di casa, a Teheran, e suonare il campanello della mia vicina per vedere una donna di 33 anni cui il marito ha strappato i figli senza che nessuno possa far nulla. In Iran manifestare è molto pericoloso: ci sono famiglie intere che sono state arrestate perché si trovavano per caso nei pressi di una manifestazione. Gli omessessuali sono presi di mira e poi impiccati. Ci sono persone che muoiono quotidianamente, sia psicologicamente sia fisicamente, per il mancato rispetto dei diritti umani, e nessuno se ne occupa”. Azar è più arrabbiata con l’Europa che con gli Stati Uniti: “L’America da anni non ha rapporti con l’Iran. Gli europei invece hanno relazioni commerciali e per questo mantengono ottimi rapporti con il mio paese. Il petrolio iraniano, ad esempio, è stato per anni nelle mani degli italiani. La Francia ha un vero regno all’interno dell’industria automobilistica iraniana. E il paese con maggiori rapporti economici con l’Iran è la Germania”. Anche le associazioni in difesa dei diritti umani l’hanno delusa. “Per quanto mi riguarda Amnesty International potrebbe chiudere. In Iran non ho mai visto i suoi attivisti. Esistono in occidente per fare pubblicità”. La percezione che si ha dell’Iran da fuori è molto diversa dalla quotidianità. “Viviamo in una spirale senza uscita – racconta Azar – Quando sono tornata ero davvero convinta che qualcosa potesse cambiare. Mi sono fidata della promessa del presidente Bush, che ha detto ‘se il popolo iraniano lotta per la sua libertà noi siamo qui per voi’, ma purtroppo non ha potuto mantenerla. L’unico modo per farlo davvero sarebbe stato muovere guerra all’Iran. Ma sarebbe costato molto, soprattutto in termini di vite, e magari alla fine non sarebbe cambiato nulla”. Dopo il controllo rigoroso della popolazione, i cui diritti sono calpestati quotidianamente, fra i pensieri del regime c’è Israele, “il piccolo Satana”. “Il regime nega l’esistenza dello stato d’Israele. Lo chiamano ‘la Palestina occupata’”. Il Jerusalem Center for Public Affairs ha citato in giudizio l’Iran per incitamento al genocidio. “In Iran nessuno sa dell’esistenza dell’Olocausto. Che Ahmadinejad lo neghi è irrilevante. La maggior parte degli iraniani sotto i 30 anni non ha studiato la Seconda guerra mondiale. Forse qualcuno ha visto il film ‘Il pianista’ e ha pensato che fosse pura fiction. E’ disarmante, non riesco a combattere per la libertà del mio popolo perché ho capito che la mia gente non sa nemmeno che cosa significhi la libertà, o che cosa sia la democrazia. La democrazia in Iran non è un valore, è soltanto una parola. Come si fa a sentire il bisogno di qualcosa che non si conosce?”. L’Iran che racconta Azar sembra senza speranza. “E’ come se gli iraniani fossero sedati – dice – La realtà è confusa, disperata e carica di povertà. Se dovessi sentirmi male a Teheran e cadessi a terra, nessuno mi toccherebbe perché sono una donna. E se dovesse arrivare un’ambulanza non mi porterebbe in ospedale fino a quando non avessi pagato per il servizio. Niente soldi, niente ospedale. Volevo fare qualcosa di importante, ma poi mi sono resa conto che non si possono cambiare le cose se all’interno di un paese non esiste il desiderio di cambiarle. In Iran non c’è questo desiderio perché la gente non vede un’alternativa
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