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Corriere della Sera Rassegna Stampa
16.04.2009 Che perfidi questi giudei, egemonizzano la memoria
L'ultima trovata dell'illusionista Sergio Romano

Testata: Corriere della Sera
Data: 16 aprile 2009
Pagina: 37
Autore: Sergio Romano
Titolo: «Gli internati in Germania, una pagina dimenticata»

Questa volta il titolo della rubrica di Sergio Romano ci aveva tratti in inganno, "Gli internati in Germania, una pagina dimenticata", questa volta, abbiamo pensato, non ci saranno occasioni di critica, sappiamo com'è andata, la storia è ben conosciuta. Abbiamo iniziato a leggerlo e, sorpresa, dal suo cappello di illusionista, Romano è stato capace di estrarre una spiegazione che finore non era mai venuta in mente a nessuno: quel pezzo di storia è rimasto, come tanti altri, fra le righe, per volontà degli ebrei, che hanno voluto egemonizzare la memoria. Sono gli ebrei, scrive Romano, che si sono piazzati in cima alla graduatoria della memoria, testualmente " questa corsa alla me­moria è per molti aspetti la conseguenza del modo in cui le comunità ebraiche so­no riuscite a ottenere che il tema della Shoah continuas­se a dominare l’agenda della memoria universale." Capito ? che perfidi, questi giudei, con questa loro ostinazione sui sei milioni di vittime. Meglio sarebbe, aggiunge Romano, seguire il consiglio di Marta Dassù, «dimenticare è importante. Non per rimuovere. Per supe­rare odi troppo antichi». Due volte perfidi, questi giudei, hanno istituito persino una giornata della memoria !  Ecco la lettera del lettore del CORRIERE della SERA di oggi, 16/04/2009, a pag.37,e la risposta di Sergio Romano:

Gli internati in Germania, una pagina dimenticata

Ho letto la sua risposta alla lettera riguardante i militari italiani prigionieri negli Usa ( Corriere, 7 aprile), e vorrei porle una domanda: perché non si parla se non rarissimamente dei militari come mio padre, che l’8 settembre fu fatto prigioniero dai tedeschi — nel caso specifico era nella marina militare a Pola — e tenuto prigioniero per due anni, obbligato a lavorare in condizione di schiavitù vicino al fiume Oder e poi a Berlino, per i quali inoltre non è previsto alcun indennizzo da parte del governo tedesco? Ho tutti i documenti delle sue vicissitudini e, inoltre, girando l’Italia, non ricordo di aver visto monumenti ai soldati stranieri di qualsiasi nazionalità uccisi in combattimento per la nostra liberazione, né ho notizia di commemorazioni nei loro confronti. Ho l’impressione che i due argomenti che ho affrontato anche in normali discussioni diano quasi noia. L’Italia pare sia stata liberata solo dai partigiani per i quali le commemorazioni sono sempre presenti e i militari come mio padre — che riuscì poi a scappare dai tedeschi mentre i russi stavano avanzando in Polonia e fu poi catturato dagli americani, rimpatriato e reinquadrato nella marina militare — siano quasi un incidente di percorso. So da notizia pubblicata proprio sul Corriere che sarà istituita una commissione europea per scrivere la storia di questi militari, circa 600 mila, per i quali non esiste se non molto lacunosa una memoria storica attendibile.

Enrico Novello



Caro Novello,

L
ei vorrebbe che agli in­ternati militari italiani in Germania (come fu­rono definiti dal governo te­desco) venisse prestata un’at­tenzione non troppo diversa da quella riservata ad altre vittime del Novecento: gli ar­meni, gli ucraini della gran­de carestia sovietica, i «nemi­ci del popolo» della Russia staliniana, gli ebrei della «so­luzione finale», le popolazio­ni cacciate dalle loro case in Germania, in Polonia, in Istria, nel Baltico, nel Cauca­so, nella penisola balcanica. Ho già scritto in altre occasio­ni che questa corsa alla me­moria è per molti aspetti la conseguenza del modo in
cui le comunità ebraiche so­no riuscite a ottenere che il tema della Shoah continuas­se a dominare l’agenda della memoria universale. Esiste ormai una gerarchia dei lut­ti, una graduatoria delle sof­ferenze in cui le vittime me­no ricordate aspirano a una maggiore visibilità. Conti­nuo a pensare che questa ma­cabra gara della memoria presenti, per la convivenza fra i discendenti delle vitti­me, più rischi che vantaggi. E mi ha fatto piacere leggere in un breve libro di Marta Dassù, apparso ora presso Bollati Boringhieri («Mondo privato e altre storie»), che «dimenticare è importante. Non per rimuovere. Per supe­rare odi troppo antichi».
È vero, tuttavia, che la sto­ria degli internati militari in Germania è stata per molto tempo trascurata. Conosceva­mo il loro numero: circa 600 mila. Sapevamo con quali pressioni i tedeschi e i rap­presentanti della Repubblica sociale avevano cercato d’in­durli a cooperare con il nuo­vo regime di Mussolini. Sape­vamo
che la grande maggio­ranza aveva tenacemente ri­fiutato e che tra questi vi era­no persone molto note come Giovanni Guareschi, Giusep­pe Ansaldo e Giuseppe No­vello, uno dei più acuti e bril­lanti disegnatori umoristici del Novecento. Ma nessuno dei tre era gradito alle sini­stre e, per di più, molti di co­loro che rifiutarono di aderi­re alla Repubblica sociale so­stennero di considerarsi lega­ti dal giuramento di fedeltà al re. Furono queste le ragio­ni per cui gli internati finiro­no in una sorta di limbo del­la memoria. Qualcuno scris­se i suoi ricordi o documen­tò la prigionia con i suoi dise­gni, ma l’Italia ufficiale prefe­rì parlare della Resistenza e della sua epopea.
Il ghiaccio fu rotto da Ales­sandro Natta, segretario ge­nerale del Partito comunista dal 1984 al 1988. In un conve­gno che si tenne a Firenze nel maggio del 1991 parlò della propria esperienza di in­ternato, ricordò i suoi com­pagni di prigionia e rivelò di avere descritto quelle vicen­de in una riflessione-testimo­nianza del 1954 che la casa editrice del suo partito, allo­ra, non aveva ritenuto oppor­tuno pubblicare. Il suo libro apparve nel 1997 presso Ei­naudi
con il titolo «L’altra Re­sistenza. I militari italiani in­ternati in Germania» e una prefazione di Enzo Collotti. Ebbe il merito di rendere pubblica una storia che era stata sino ad allora soprattut­to privata. Più recentemente abbiamo letto, tra l’altro, i ri­cordi dell’avvocato Odoardo Ascari pubblicati da Nuova Storia Contemporanea e quelli di Giovanni Giovanni­ni, giornalista e presidente della Federazione italiana editori, pubblicati da Scheiwiller nel 2004 («Il qua­derno nero. settembre 1943 - aprile 1945»). Nel suo ulti­mo lager, accanto al lago di Costanza, Giovannini cadde malato e fu curato da una stu­dentessa di medicina ucrai­na. Ne nacque un idillio e i due giovani amanti, divisi al momento della liberazione, si dettero un appuntamento. Ma al luogo fissato per l’in­contro la giovane Larissa non apparve mai.
La spiegazione venne quando Giovannini apprese che i cittadini dell’Urss, con l’aiuto degli anglo-america­ni, erano passati dai campi di concentramento tedeschi a quelli sovietici. Come vede, caro Novello, nella graduato­ria delle tragedie ve n’è sem­pre una peggiore.

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lettere@corriere.it

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