venerdi 22 novembre 2024
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Lo dice anche il principe saudita Bin Salman: Khamenei è il nuovo Hitler


Clicca qui






Il Manifesto Rassegna Stampa
12.04.2009 Il boss è Lieberman, rude e violento, il vero uomo forte del governo
e nella pagina successiva una vignetta ignobile di Vauro

Testata: Il Manifesto
Data: 12 aprile 2009
Pagina: 9
Autore: Uri Avnery
Titolo: «Il Boss è Lieberman»

Chiediamo umilmente scusa ai nostri lettori se nella giornata pasquale gli rifiliamo un articolo di Uri Avnery, per di più molto lungo. Ma riteniamo che il MANIFESTO vada premiato con questa pubblicazione, per la dedizione con la quale sceglie gli articoli su Israele, scritti da israeliani. Non sono molti, per la verità, gli auto-odiatori, Uri Avnery è uno di questi. Era diventato famoso negli anni '50 e '60 per avere fondato un settimanale laico/anticonformista, dal titolo "Ha Olam Hazè, ( Questo Mondo) ". Poi,  invecchiando, si è reso conto che la società che lui avrebbe voluto si era realizzata, Israele è un paese laico e democratico, e si è reso conto che per continuare a sentirsi giovane aveva bisogno di nuovi nemici e di nuovi amici. Questi ultimi è andato a cercarseli alla corte di Arafat, gli altri nei governi che si sono avvicendati negli ultimi decenni. Per questo piace ai comunisti del MANIFESTO, con i quali ha molti tratti in comune. Va da sè che in Israele Avnery è molto rispettato, come sempre succede a chi è totalmente critico verso la società israeliana, non sappiamo se è stato onorato con il Premio "Israele", il più prestigioso, come è successo con il suo sodale Zvi Schuldiner, altra firma del MANIFESTO, ma se non l'ha ancora ricevuto, non disperi, Israele, prima o poi, premia  sempre i suoi discoli, più lo sono e più piacciono.    Nella pagina successiva c'è una vignetta ignobile di Vauro che, per nostra incapacità o per auto-difesa non riusciamo a riprodurre.                                                               Ecco l' articolo, dal titolo " Il Boss è Lieberman "

«Si vis pacem, para bellum – se vuoi la pace, prepara la guerra» ha dichiarato il nuovo ministro degli esteri israeliano Avigdor Lieberman. Quando un diplomatico cita questa massima latina, il mondo non presta attenzione alla prima parte,ma solo alla seconda. Provenendo dalla bocca del già tristemente famoso Lieberman, la frase era chiaramente unaminaccia: il nuovo governo sta imboccando un percorso di guerra, non di pace. Con queste parole Lieberman ha negato il discorso di Netanyahu (che aveva affermato di volere la pace coi palestinesi) e ha conquistato i titoli di tutto il mondo.Ha confermato le peggiori preoccupazioni legate alla nascita di questo esecutivo. Non contento di citare i latini, egli ha spiegato specificamente il motivo per cui ha usato questa massima. Le concessioni, ha detto, non portano la pace, ma piuttosto il suo contrario. Il mondo ha rispettato e ammirato Israele quando ha vinto la guerra dei sei giorni. Due ragionamenti falsati in una sola frase. Restituire i territori occupati non è una «concessione». Quando un ladro è obbligato a restituire una proprietà rubata, o quando una persona sgombera un appartamento che non le appartiene dopo averlo occupato abusivamente, questa non è una «concessione ». E l’ammirazione per Israele nel 1967 proveniva da un mondo che ci vedeva come un paese piccolo e coraggioso, un paese che aveva resistito a eserciti potenti decisi a distruggerci.Ma oggi Israele appare come un brutale Golia, mentre i palestinesi sotto occupazione sono visti come un Davide con la sua fionda, che combatte per la propria vita. Con questo discorso, Lieberman è riuscito ad attirare l’attenzione del mondo, maancor più è riuscito a umiliare Netanyahu. Ha dimostrato che le dichiarazioni pacifiche del nuovo primo ministro non erano altro che bolle di sapone. Tuttavia ilmondo vuole essere ingannato. Un portavoce della Casa Bianca ha annunciato che per quanto riguarda l’amministrazione americana, è il bla-bla-bla di Netanyahu che conta, e non il linguaggio diretto di Lieberman. EHillary Clinton non si è vergognata di chiamare Lieberman per fargli le congratulazioni nel giorno dell’insediamento. Questa è stata la prima prova di forza dentro il triangolo Netanyahu-Lieberman- Barak. Lieberman ha dimostrato il suo disprezzo sia per Netanyahu che per Barak. La sua base politica è salda, perché lui è l’unica persona che può far cadere il governo in qualunque momento. Dopo il dibattito della Knesset sul nuovo governo, solo 69 membri hanno votato a favore. Se aggiungiamo i cinque membri laburisti che «erano presenti ma non hanno partecipato al voto» (un espediente meno negativo dell’astensione), il governo ha 74 voti. Ciò significa: senza i 15 membri di Lieberman, il governo non ha la maggioranza. Col suo discorso Lieberman ha detto a Netanyahu: Se pensi di chiudermi la bocca, scordatelo. Di fatto, ha puntato una pistola alla testa diNetanyahu – in questo caso, potrebbe essere una Luger Parabellum tedesca, una pistola il cui nome deriva dal motto latino. La portata della sfrontatezza di Liebermanè risultata evidente solo un’ora più tardi. Dal ministero degli Esteri, egli è corso a un’altra cerimonia per il passaggio delle consegne tra iministri, questa volta al ministero per la Sicurezza interna. Che cosa doveva fare lì? Niente. È estremamente inusuale che unministro partecipi alla cerimonia in un altro ministero. È vero, il nuovo ministro della sicurezza interna, Yitzhak Aharonovitch, appartiene al partito di Lieberman,ma questo non è rilevante. L’enigma è stato svelato il giorno dopo, quando il neo-insediato ministro degli Esteri ha trascorso sette ore in una stanza degli interrogatori della polizia, rispondendo a domande su sospetta corruzione, riciclaggio di denaro sporco e simili, in relazione a ingenti somme di denaro che sono state trasferite dall’estero a una società appartenente alla sua figlia 23enne. Sarebbe difficile vedere la sua apparizione alla cerimonia del ministero della polizia come qualcosa di diverso da una minaccia cruda e sfacciata contro coloro che avrebbero dovuto interrogarlo il mattino dopo. La sua presenza equivaleva a dichiarare sono io l’uomo che ha nominato ilministro che ora decide di ciascuna delle vostre carriere, che decide se dovete essere promossi o se la vostra carriera deve finire. E lo stesso messaggio è andato ai giudici: ho nominato io il nuovoministro della Giustizia, e sarò io a decidere sulla promozione di tutti voi. Tutto questo mi ricorda un ricevimento diplomatico presso l’ambasciata egiziana, esattamente 10 anni fa. Lì incontrai lamaggior parte dei membri del nuovo governo che era stato appena varato da Ehud Barak. Erano tutti depressi. Barak aveva fatto una cosa al limite del sadismo: aveva nominato ogni ministro al posto meno adatto. Il professor Shlomo Ben-Ami, una persona gentile ed educata, era stato nominato ministro della Sicurezza interna (e in quell’incarico fallì miseramente durante i disordini dell’ottobre 2000, quando non riuscì a impedire che la sua polizia uccidesse una dozzina di cittadini arabi). Yossi Beilin, un diplomatico dalla mente molto fertile, candidato naturale per il ministero degli Esteri, fu nominato ministro della giustizia. E così via. In privato, tutti espressero la loro amarezza nei confronti di Barak. Ora Netanyahu ha battuto Barak. La nomina di Lieberman come ministro degli esteri sconfina nella perversione. La nomina di Yuval Steinitz, professore di filosofia e amico personale della moglie di Netanyahu, Sarah, un uomo privo di qualunque esperienza in campo economico, comeMinistro del Tesoro, all’acme della crisi finanziaria mondiale, oltrepassa il limite dell’assurdo. La nomina del numero 2 del Likud, Silvan Shalom, a due nuovi incarichiministeriali ha fatto di lui un nemico mortale. Creando una lunga lista di ministeri, tanto nuovi quanto vuoti, solo per distribuire poltrone ai suoi sodali, ha trasformato il governo in una barzelletta («un ministro per la posta in entrata e un ministro per la posta in uscita»). Ma un governo non è una barzelletta. E Lieberman non è una barzelletta. Tutt’altro. Già al suo primo giorno ha chiarito che lui – lui e nonNetanyahu o Barak – deciderà lo stile del nuovo governo. Eglimanterrà in vita questo governo finché gli converrà, e lo farà cadere nel momento in cui sentirà di poter conquistare il potere assoluto andando a nuove elezioni. Il suo stile rude e violento è naturale e calcolato a un tempo. Punta a minacciare, a fare leva sui tipi più primitivi presenti nella società, ad attirare l’attenzione pubblica e a garantire la copertura dei media. Questa settimana sono state citate ripetutamente alcune passate dichiarazioni di Lieberman. Una volta ha proposto di bombardare l’enorme diga di Aswan, un atto che avrebbe causato una terribile inondazione, uno tsunami, uccidendo molti milioni di egiziani. Un’altra volta ha proposto di intimare un ultimatum ai palestinesi: alle otto del mattino bombarderemo i vostri centri commerciali, a mezzogiorno i vostri distributori di benzina, alle due del pomeriggio le vostre banche, e così via. Ha proposto di affogare migliaia di prigionieri palestinesi, offrendosi di fornire gli autobus necessari per portarli fino alla costa. Un’altra volta ha proposto di deportare il 90% dei cittadini israeliani arabi, che sono un milione e duecentomila. Recentemente ha detto al presidente egiziano, HosniMubarak, uno degli alleati più fidati della leadership israeliana, di «andare all’inferno ». Nella recente campagna elettorale il suo programma ufficiale conteneva la richiesta di annullare la cittadinanza di qualunque arabo che non abbia dimostrato la propria lealtà a Israele. Questo è stato anche il suo slogan principale. Un altro richiamo alla memoria dei programmi di certi partiti consegnati alla storia. Va poi aggiunta la sua aperta ostilità nei confronti delle «élite» israeliane e di tutto ciò che è legato ai fondatori dello stato di Israele. Qual è la soluzione di Lieberman allo storico conflitto arabo-israeliano? In passato ha parlato di un sistema di «cantoni» per i palestinesi. Dovrebbero vivere in varie enclave in Cisgiordania e nella Striscia di Gaza, scollegate tra loro e dominate da Israele. Nessuno stato palestinese, naturalmente, nessuna Gerusalemme Est araba. Ha persino proposto di aggiungere a questi cantoni alcune zone di Israele densamente abitate dalla popolazione palestinese, la cui cittadinanza israeliana verrebbe revocata. Tutto ciò non è così lontano dalle idee di Sharon né da quelle di Netanyahu, il quale dichiara che i palestinesi «si governeranno da soli» – naturalmente senza uno stato, senza una moneta, senza poter controllare i propri confini, senza porti né aeroporti. Durante la cerimonia presso il ministero degli Esteri, Lieberman ha dichiarato che l’accordo di Annapolis, che era stato dettato dal presidente Bush, non è valido, e che solo la «Road Map» conta. I portavoce del ministero degli Esteri si sono affrettati a spiegare che la «Road Map» parla anch’essa di «due stati». Essi hanno dimenticato di ricordare al mondo che il governo israeliano ha «accettato» la Road Map solo con 14 clausole che la privano di qualunque contenuto. Ad esempio: che i palestinesi devono «distruggere l’infrastruttura terroristica» (in che consiste? chi decide?) prima che Israele faccia qualunque mossa, compreso il congelamento degli insediamenti. (Torna alla mente quell’ebreo ricco dello shtetl che dettava il suo testamento suddividendo le sue ricchezze tra parenti e amici, e aggiungeva: «In caso dimia morte, questo testamento sarà nullo».) Per quanto riguarda il conflitto israelopalestinese, la controversia tra Olmert e Livni da una parte, e Netanyahu e Lieberman dall’altra, riguarda la tattica piuttosto che la strategia. La strategia che li accomuna tutti quanti è impedire la creazione di uno stato palestinese normale, libero e praticabile. Tzipi Livni era per una tattica di negoziati infiniti, abbellita da pronunciamenti sulla pace e sui «due stati nazionali». Non per niente, Netanyahu la prende in giro: «Hai avuto tanti anni per raggiungere un accordo con i palestinesi. Perché allora non l’hai fatto?». Questo non è un dibattito sulla pace,ma su un «processo di pace». Ma nel frattempo Tzipi Livni si dedica al suo nuovo ruolo di leader dell’opposizione. I suoi primi discorsi sono stati vigorosi, incisivi. Presto vedremo se saprà riempire questo ruolo di contenuti. Se dover parlare di pace la convincerà del suo valore, e farà di lei una alternativa reale al governo di Lieberman e della Liebermania.

Per inviare al Manifesto la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.


redazione@ilmanifesto.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT