Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 10/04/2009, a pag. II, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Con rabbia implacabile ". Suggeriamo a qualche nostro editore in cerca di capolavori da pubblicare, il testo di Ben Zion Netanyahu, citato nel bell'articolo che segue:
A Tel Aviv e a Gerusalemme si parla di loro come “i Kennedy israeliani”. Per capire il nuovo primo ministro Benjamin “Bibi” Netanyahu bisogna guardare al suo vecchissimo e ancora durissimo padre, il celebre medievista Ben Zion, che nella storica casa del quartiere di Katamon, una zona modesta di Gerusalemme dove la famiglia vive da più di mezzo secolo, seguita a scrivere libri di storia sulle infinite persecuzioni degli ebrei. Anche dieci anni fa, quando il figlio fu eletto per la prima volta primo ministro, il professor Netanyahu rilasciò un’intervista ai giornali israeliani. E scoppiò un putiferio. “Dopo la guerra dei Sei giorni avremmo dovuto annettere i territori e portarci milioni di ebrei. Dovremmo ispirarci alla Reconquista spagnola, che non esitò a liberare Granada dall’oppressione musulmana. Capirono che avevano due alternative: conquistare territori o essere in uno stato di guerra permanente”. Fu Ben Zion a consigliare a Bibi di rigettare gli accordi di Oslo, in quanto “tradimento della sinistra laburista”. Israele oggi si domanda quale influenza il venerando professore possa esercitare sul secondo mandato del figlio. Stavolta l’intervista l’ha rilasciata al Maariv. Il figlio non è riuscito a rimandarne l’uscita. A confronto con Ben Zion, il premier sembra un pacifista. Padre e figlio vengono da mondi opposti, il primo è nato a Varsavia cento anni fa mentre il secondo è venuto al mondo a Tel Aviv due anni dopo la nascita di Israele, fa parte della generazione della guerra del 1967, moderna, americanizzata, meno legata allo shtetl dell’est Europa e all’Olocausto. Se il padre è un purista ideologico, un ammiratore di Baruch Spinoza e un oppositore nato che vive di risentimenti, Bibi è un falco pragmatico geniale nel marketing politico. Ma non è possibile capire l’uomo e le idee del premier senza l’epopea sconosciuta al pubblico del padre professore, il più grande studioso mondiale d’Inquisizione spagnola. E’ da lì che viene la tenacia, la perseveranza e il senso dell’outsider comune ai due, e poi la forza, l’ambizione e l’idealismo. Il patriarca delle prime battaglie sioniste instillò in tutti i suoi figli una viscerale identificazione con il miracolo della sopravvivenza ebraica. Quest’anno compirà cent’anni, ma il professor Netanyahu è ancora lucidissimo, sta partendo per un nuovo tour accademico negli Stati Uniti, sua patria d’adozione. Quest’istrione irascibile è l’ultimo dinosauro della dottrina del “muro di ferro”: solo quando i palestinesi riconosceranno di non poter vincere una guerra che li ha visti già vinti, forse si apriranno gli spiragli di un accordo fra le parti. “Gli ebrei e gli arabi sono come due capre che si fronteggiano su un ponte ristretto – ha detto al quotidiano Maariv – La capra più forte farà saltare quella più debole e credo che la potenza ebraica prevarrà”. Il professore non crede al processo di pace. “Gli arabi non vogliono la pace, subiremo altri attacchi da loro e dovremo reagire in modo fermo. L’operazione Piombo fuso non è stata abbastanza dura”. Secondo Netanyahu, “la tendenza al conflitto è nella natura degli arabi, la loro personalità non gli consente compromesso o accordo, la loro esistenza è una guerra perpetua”. Rifiuta l’idea di due stati per due popoli. “Non ci sono due popoli, ma il popolo ebraico e una popolazione araba, si fanno chiamare palestinesi soltanto per combattere gli ebrei”. E la soluzione? “La forza, il dominio militare, questo porterà a una guerra sanguinosa perché la guerra è difficile per noi dal momento che non abbiamo tanta terra, mentre gli arabi possono ritirarsi finché vogliono. Ma è l’unico modo per sopravvivere qui”. Parla della sinistra oggi alleata di governo con il figlio. “Il problema con la sinistra è che pensa che questa guerra con gli arabi sia come ogni altra guerra. Le guerre finiscono in compromesso, ma nel caso degli arabi la loro natura e carattere non consentono accordo”. Netanyahu e il ministro degli Esteri Lieberman sarebbero disposti a trattare con la Siria. “Non restituirei il Golan, lo abbiamo conquistato perché gli arabi ci sparavano addosso da quelle montagne e uccidevano i nostri contadini. Non si dà via la terra conquistata in battaglia e per cui è scorso del sangue”. Ben Zion Netanyahu non si fida neppure degli arabi israeliani. “Tranne che una piccola minoranza, la maggioranza degli arabi israeliani sceglierebbe di sterminarci se potesse”. Infine parla del figlio. “Bibi è sotto certi aspetti un grande uomo, è leale al suo popolo e ha senso di responsabilità. Anche se non sempre condividiamo le stesse idee”. Lui, il padre professore, continua a credere nel climax novecentesco che, partendo dall’eziologia del malessere ebraico, espone la diagnosi terapeutica revisionista di cui fu fra i fondatori. La fonte principale per questa grande storia è il volume in ebraico scritto da uno zio di Bibi, Saadya, dal titolo “The Saga of the Netanyahu Family”. La famiglia ha radici lituane, legata al Gaon di Vilna, il leader del mondo ebraico anti chassidico del Settecento e uno dei più importanti rabbini di tutti i tempi. Il capostipite della famiglia che mise per primo piede in Israele nel 1920 fu Nathan Mileikowsky, così si chiamava prima che gli eredi cambiassero il nome in Netanyahu, che in ebraico significa “il dono di Dio”. E’ stato proprio Bibi ad adottarlo quando faceva l’università negli Stati Uniti. A quel tempo si firmava “Ben Nitay”, lo stesso pseudonimo usato dal padre per scrivere sui giornali revisionisti dell’epoca in Palestina. Ben Zion è nato a Varsavia nel 1909 da uno scrittore militante sionista della prima generazione che appena arrivò in Israele iniziò ad allevare polli. Ben- Zion è un ragazzo talentuoso e va a studiare con Joseph Klausner, il grande pioniere degli studi ebraici su Gesù, l’amico di Theodor Herzl nonché il prozio dello scrittore di sinistra Amos Oz. Ben Zion sarà per tutta la vita legato e ossessionato da Vladimir Jabotinsky, di cui fu intimo segretario personale e che soltanto dopo sessant’anni sarebbe diventato la figura più popolare in Israele dopo esserne stato il demone nero che non meritava neppure l’eterno riposo nella terra che tanto amava. E questa ossessione è passata al figlio. Ancora lo scorso agosto, Bibi ha denunciato la rimozione della figura di Jabotinsky dai curriculum scolastici. Per far posto ai rifugiati palestinesi. Ben Zion si innamorò del “lupo solitario” padre della destra israeliana che ordinava ai suoi seguaci di strappare la bandiera nazista dal consolato tedesco a Gerusalemme. Ben Zion e Jabotinsky si nutrivano dei grandi poeti italiani, erano imbevuti di cultura europea, di Nietzsche e Oscar Wilde, i libri in molte lingue erano ammassati sulla sua piccola scrivania. Accanto c’erano rotoli di carta su cui scrivevano dei feuilletons. A quelle riunioni partecipava spesso anche Eitan Livni, il padre di Tzipi ex ministro degli Esteri. Poeta, romanziere, giornalista, soldato, visionario e statista, Jabotinsky aveva l’aria del filologo in fuga dalla persecuzione, era un concentrato di onore estremo e tristezza apolide. Rivoluzionario morto a New York nel 1940 dopo un’esistenza di sconfitte, Jabotinsky portò con sé a New York il giovane storico Netanyahu. Il 19 marzo di quell’anno parlò al Manhattan Center davanti a quattromila persone. C’era anche Ben Zion. Nessun organo di stampa laburista darà la notizia della sua morte e Ben Gurion si oppose finché fu vivo al trasporto delle sue ceneri in Israele. Sarà proprio il ritorno delle spoglie a Gerusalemme il gesto con il quale il successore di Ben Gurion, Levi Eshkol, avviò la pacificazione fra destra e sinistra. Ma per Ben Zion e figli, l’affronto non fu mai digerito. In una lettera dell’ottobre 1915, Jabotinsky chiarì il progetto futuro della destra israeliana di Netanyahu: critica di ogni posizione opportunistica; postulato della pressione morale; necessità di un’autodifesa senza tregua; realismo politico inteso come capacità di adattare repentinamente i mezzi tattici in vista degli obiettivi strategici. Durante gli anni Quaranta, Ben Zion Netanyahu, sempre più orgoglioso e cosciente del nazionalismo ebraico, fu uno dei pochissimi leader sionisti a denunciare l’Olocausto degli ebrei europei, ne perorò la causa al Congresso americano mentre faceva anche il ricercatore di storia al Dropsie College di Philadelphia. Ben Zion cercò disperatamente di inculcare negli americani l’idea di una partecipazione del giudaismo alla causa antinazista. Per tutta la vita sarà perseguitato dal sospetto di aver fatto parte del gruppo “fascista” che uccise Chaim Arlosoroff. Lo yishuv rimase profondamente colpito per l’omicidio del giovane intellettuale laburista. Fu il giallo per eccellenza della Palestina mandataria. La polizia britannica arrestò un giovane betarista polacco, mentre Achi Meir, autore di un vademecum sul terrorismo politico (“Rotolo dei sicari”) reperito nella camera del presunto assassino del capo laburista, fu accusato di istigazione al terrorismo individuale. Meir era amico e sodale di Netanyahu nella “Banda degli zeloti”. Ben Zion tornò in Israele nel 1949, ma l’ostracismo della sinistra nei suoi confronti era tale che non riuscì a trovare un’adeguata posizione accademica. E’ questa l’origine del suo risentimento. Fu Klausner a volerlo nella redazione dell’Enciclopedia Judaica. Intanto gli zii di Bibi cercavano fortuna in Florida e nell’industria americana dell’acciaio. Lo studio del professore divenne come un santuario per Bibi, Yoni e Ido. “Il padre ha avuto una grande influenza su Bibi” dice Gabriel Sheffer, collega di Ben Zion alla Cornell University. “Il suo lavoro è incentrato sulla storica inimicizia fra ebrei e arabi e sul fatto che non può essere superato e deve esserci un ‘muro di ferro’, per usare un’espressione di Jabotinsky”. Le idee di Ben Zion passeranno al Bibi teorico dello scontro di civiltà, “la civiltà democratica occidentale di cui Israele è parte e la civiltà arabo islamica. Se Israele diventa debole e vulnerabile, anche la pace è debole e vulnerabile”. Dei suoi tre figli, Ben Zion amava più di tutti Yonathan e dopo la morte ne amministrerà il culto. Il 4 luglio di trentatre anni fa un commando di teste di cuoio israeliane fu protagonista di un clamoroso blitz a migliaia di chilometri di distanza da casa. Un’operazione in Uganda per liberare un centinaio di passeggeri ebrei di un jet della Air France dirottato da terroristi palestinesi. Il reparto è guidato da Joni Netanyahu, il fratello del premier, e da Muki Betzer, icona delle teste di cuoio. L’attacco si conclude con un successo e poche vittime. Tra loro Yoni. Benjamin era legatissimo al fratello. Entrambi facevano parte delle forze d’élite Sayeret Maktal specializzate nelle operazioni più a rischio. Insieme nel 1972 avevano partecipato a un’altra operazione di salvataggio degli ostaggi di un aereo, sequestrato all’aeroporto di Tel Aviv. Yoni era più grande di soli tre anni ed era il suo miglior amico negli anni della gioventù trascorsi negli Stati Uniti. Lì Bibi si trasferì ancora quattordicenne e ci tornò, dopo cinque anni di servizio militare in Israele, per laurearsi in architettura e in gestione aziendale. “Yoni si è battuto ed è morto per il popolo ebraico, ma la sua battaglia aveva orizzonti più ampi, una battaglia che dall’inizio della Storia ha contrapposto le forze delle tenebre a quelle dei lumi”, si legge in un libro dell’attuale primo ministro. Sembra di leggere il padre. Si intitola “Le Origini dell’Inquisizione” il capolavoro scandaloso che il professor Netanyahu ha pubblicato negli Stati Uniti con Random House. C’è voluta una vita intera per quelle 1.384 pagine che hanno cambiato per sempre gli studi sull’Inquisizione. La tesi di Ben Zion è che la Spagna cattolica non perseguitò gli ebrei, scacciandoli e torturandoli, soltanto perché ebrei. Anche quando 300 mila ebrei accettarono di convertirsi al cattolicesimo, la persecuzione continuò, contro di loro e i loro eredi. Ben Zion si è avvicinato alla storia dei “conversos”, gli ebrei diventati cristiani e bollati come “marrani” (maiali), convinto che si trattasse di martiri che accettavano la formale conversione per praticare la fede dei padri di nascosto. Tre decenni di ricerche gli hanno dimostrato che la maggioranza degli ebrei s’era rassegnata al battesimo. Certi che la loro comunità non avesse futuro, gli ebrei convertiti volevano educare figli e nipoti da buoni cattolici. Nella storiografia comunemente accettata, l’Inquisizione era una sorta di crociata per la purificazione religiosa e i marrani erano un ostacolo con il loro giudaismo clandestino nei piani del cattolicesimo spagnolo. Netanyahu non la pensa così. I marrani non erano ebrei in segreto, ma assimilati alla maggioranza cristiana. La soluzione prefigurata, scrive Ben Zion, fu moderna: “Uno sterminio di massa, un genocidio”. L’Inquisizione come prototipo della persecuzione del secolo scorso. Non era nata per estirpare il giudaismo come religione, ma i conversos come popolazione. Gli ebrei come razza, non come membri della religione. La morale del professor Netanyahu è che nemmeno l’assimilazione in buona fede e la rinuncia all’identità possono salvare gli ebrei. La persecuzione è eterna, cosmica. E’ il grande messaggio che ha trasmesso ai figli. Uno è morto combattendo i terroristi, l’altro governa Israele col pugno di ferro. Nel giorno stesso in cui gli Stati Uniti celebravano il bicentenario della loro indipendenza, il piccolo Israele dei Netanyahu ricordava al mondo intero che la libertà è un valore per il quale ogni generazione deve essere pronta a battersi. Non a caso il capolavoro sulla Spagna è dedicato a Yoni. “Con rabbia implacabile”.
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