Riportiamo da La REPUBBLICA di oggi, 08/04/2009, l'analisi di Joaquìn Navarro-Valls dal titolo " Il caso Bashir e i limiti delle nazioni unite ".
La settimana scorsa si è svolta a Doha nel Qatar la riunione annuale della Lega araba, che riunisce ventidue paesi membri e cinquantatre organizzazioni degli Stati della Conferenza islamica. Si tratta di un summit rilevante e rappresentativo del punto di vista politico della vastissima comunità araba, decisivo soprattutto per le relazioni del mondo musulmano con il Medio Oriente e l´Occidente.
Quest´anno ha suscitato molto clamore la presenza del presidente sudanese Omar Bashir, accolto all´arrivo in Qatar dall´emiro Hamad al Thani. Sul leader sudanese, infatti, grava una condanna molto pesante della Corte penale internazionale per crimini contro l´umanità, a seguito delle atrocità commesse sui civili in Darfur. La presenza del leader del Sudan non ha trovato una buona accoglienza, in effetti, da parte dei paesi moderati che aderiscono alla Lega araba. In particolare, l´Egitto ha limitato al minimo la propria presenza, visto che né Hosni Mubarak né il ministro degli Esteri Aboul Gheit hanno deciso di partecipare di persona all´avvenimento. Altri due segnali non sembrano predire nulla di buono. L´invito rivolto dall´organizzazione al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad, noto per le sue posizioni estremiste, e la promessa di una dichiarazione intransigente che la Lega araba ha annunciato di fare contro Israele, affinché accolga il piano di pace saudita, senza perdita di tempo e senza alcun intento negoziale.
Ci troviamo davanti ad una situazione di sostanziale ed emergente radicalismo. In effetti, la presenza di Bashir non è giunta a caso. La Corte ha stabilito, per conto di tutti i Paesi del mondo, l´arresto del premier sudanese. E benché questa condanna sia esecutiva, Bashir continua a muoversi senza problemi in libertà, avendo raggiunto nell´ultima settimana l´Egitto, l´Eritrea e la Libia. Quest´ultimo Paese, poi, si è schierato addirittura esplicitamente in suo favore, per bocca del colonnello Gheddafi, definendo la richiesta di arresto non soltanto illegittima, ma «una vera e propria frontiera del terrorismo internazionale».
A rendere la situazione incandescente vi sono anche altre motivazioni, interne al mondo arabo. In primo luogo, i rapporti stretti tra il partito estremista palestinese Hamas con l´Iran nello sforzo di contrapporsi all´appoggio dato dall´Arabia Saudita al presidente dell´Anp Abu Mazen. Il capo dei palestinesi ha manifestato una realistica preoccupazione per le possibili ripercussioni che potrebbero provenire da prese di posizione così minacciose come quelle annunciate alla vigilia dell´incontro dalla Lega araba.
La comunità internazionale, per suo conto, ha una presenza molto autorevole al meeting, con la partecipazione del Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon. Tuttavia, la sua visita è molto sbiadita, quasi trasparente. Egli ha dovuto, inizialmente, giustificare perfino la partecipazione di Bashir con un appello al regolamento internazionale che vede comunque la presenza del Sudan tra le nazioni aderenti all´Onu. Poi ha fatto sapere di non poter fare nulla per fare rispettare la sentenza della Corte penale internazionale, perché fuori da una sua diretta competenza.
L´unico vero dissidio reale con Bashir è stato quello della Coalizione araba per il Darfur, una formazione costituita per dar voce alle famiglie delle vittime. La Coalizione, ha fatto circolare un documento in cui, benché non si citi espressamente il presidente sudanese, sono chiaramente confermate le violenze commesse ed è accolta con grande favore la condanna del tribunale dell´Aja. La protesta della Coalizione è particolarmente rilevante perché proviene direttamente dal mondo arabo.
Certamente, dell´efficacia della protesta e della capacità di eseguire la sentenza conviene dubitare fortemente. Se la forza dei gruppi arabi moderati non è stata superiore ad un formale diniego e ad un parziale boicottaggio, figuriamoci quello che potrà ottenere una minoritaria associazione di vittime.
Una cosa, poi, fa veramente pensare, ed è la dimessa presenza, in tutto questo gioco di equilibri, dell´intera Comunità internazionale. Probabilmente, il segretario delle Nazioni Unite ha fatto bene a non disertare il consesso, perché gli effetti sarebbero stati certamente peggiori, estremizzando ancora di più gli animi della Lega araba. Ma tutti gli altri Stati del mondo, dove sono? Perché non si sono mostrati almeno interessati alla vicenda?
Non si può non rilevare l´assoluto fallimento della capacità di influenza e di azione dell´Onu. Se non è sufficiente neanche un pronunciamento dell´Aja a dare mandato legittimo di azione, figuriamoci quale capacità contrattuale potrà mai avere in occasioni meno gravi e più ordinarie, ma non meno strategiche per la pace nel mondo.
Una riflessione sul ruolo della Comunità internazionale dovrebbe ripartire proprio da qui. Probabilmente è indispensabile che le istituzioni mondiali si appoggino con maggiore sicurezza su una tavola insindacabile e impegnativa di diritti umani inviolabili, che andrebbero veramente elencati e rimessi al centro di tutto l´operato delle Nazioni Unite. Inoltre, il permanere in vita soltanto di un tribunale penale come quello dell´Aja rende, di fatto, la comunità internazionale completamente delegittimata ad agire. Il risultato appare un po´ come un tetto senza casa, cioè una sentenza sacrosanta che, tuttavia, non soltanto non può divenire facilmente esecutiva, ma non è utilizzabile neanche dalle Nazioni Unite stesse, perché prive di sufficiente forza diplomatica.
Sembra più che necessario trovare una strada per rivitalizzare le istituzioni sovranazionali sul piano politico, proprio partendo dalla tutela dei diritti umani. Perché senza autorità mondiali dotate di mezzi sufficienti per imporre il diritto, forse non si potrà mai sperare in un concreto miglioramento delle condizioni di vita di tantissime persone in larghe parti del pianeta.
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