Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 06/04/2009, a pag. 17, l'articolo di Elena Lisa dal titolo " Jeans e caftano. Istruzioni per l'uso " su YALLA ITALIA, mensile rivolto ai giovani immigrati arabi di seconda generazione. Viene pubblicato come inserto del settimanale VITA, un giornale che si distingue per le sue posizioni anti-israeliane, mentre nell'articolo che segue viene definito "che con la politica non vuole avere niente a che fare". Apprendiamo volentieri l'inserimento nella nostra società dei giovani collaboratori di Yalla Italia, il problema però non è solo abbattere i luoghi comuni sugli arabi, i problemi veri sono soprattutto quelli legati al terrorismo che cresce fra i musulmani anche nel nostro paese. Uno dei redattori porta il nome di Pillitteri, nipote del cognato di Craxi. No comment. Ecco l'articolo:
Ma il bikini si concilia con il burka? E il caftano si può mettere con i jeans? Anche di questo si parla su Yalla Italia, il primo mensile stampato nel nostro Paese e dedicato agli arabi di seconda generazione. L’idea è talmente piaciuta al New York Times che l’ha sbattuta in prima pagina, con un reportage dalla redazione milanese del giornale. I 2Gs, come li chiama il quotidiano americano, hanno meno di 30 anni. La loro vita è quella di chi si sente italiano e, senza alcun conflitto, mantiene vivo l’orgoglio di appartenere a un’altra terra.
C’è Akrama che ha 25 anni, vive sotto il Duomo da quando è nato e va pazzo per il cinema italiano. Ancora pochi esami e sarà dottore in ingegneria. Suo padre è senegalese e la mamma egiziana e lui, a sentirlo parlare, ha l’accento più «bauscia» di chi passeggia in via Montenapoleone. Poi c’è Rassmea che ha 26 anni, vive anche lei a Milano, ma fa la pendolare per laurearsi all’Istituto orientale a Napoli. Il padre è egiziano, la mamma italiana, e lei non vuole che si parli di integrazione. Perché, dice, è parte della nostra società. Invece Sumaya, 28 anni, è mamma di due bimbi piccoli che, ogni giorno, con il velo in testa, accompagna in una scuola elementare di suore nel cuore di Milano.
Yalla è un’incitazione e in arabo significa «forza». Forza Italia è quindi, curiosamente, il nome scelto per il giornale - che esce abbinato a Vita, rivista indipendente no profit -, ma che con la politica non vuole avere niente a che fare: «Ce ne guardiamo bene - dice Martino Pillitteri, 37 anni, coordinatore di Yalla Italia e nipote di Paolo, ex sindaco di Milano -. A noi non interessano ingerenze di quel tipo, ci basterebbe che i politici guardassero al nostro lavoro per mettere a frutto la nostra esperienza. Abbattere molti luoghi comuni sugli stranieri e sugli arabi in particolare sarebbe più facile».
Il mensile, costruito come una sorta di blog cartaceo, il prossimo mese compirà due anni. La redazione è composta da circa trenta ragazzi, il novanta per cento sono donne. Alcune delle ragazze sono sposate e su Yalla spiegano anche cosa significhi abbattere tabù millenari: quello dei matrimoni misti, ad esempio. Raccontano come si possa convivere con un compagno che ha una religione diversa dalla propria senza, per questo, costringerlo a cambiarla oppure a sentirsi obbligate a lasciare l’islam. Lubna Ammoune, 26 anni, musulmana che non rinuncia al velo, non nasconde che il suo luogo preferito, a Milano è il Duomo. E’ lei che, nei prossimi giorni, verrà seguita dalle telecamere della tivù araba Al-Jazeera mentre entrerà in chiesa e dirà il Padre Nostro. Rasmea Salah l’interrelazione - che non è integrazione - delle seconde generazioni la spiega così: «Per il semplice fatto di esistere noi riusciamo a provare come sia compatibile unire, nel nostro quotidiano, due elementi, le origini nostre e quelle dei nostri genitori». Da qui a dire che sia semplice ne corre: «Su Yalla ne parliamo in continuazione. Quando andiamo nel Paese dei nostri genitori - continua Rasmea -. Siamo trattati come italiani e dell‘Italia diventiamo il simbolo di tutti gli stereotipi. C‘è anche chi ci considera mafiosi. Ma poi, quando rientriamo nel Paese dove siamo nati, veniamo guardati con sospetto».
Su Yalla, che ogni mese tratta un tema diverso (nel prossimo numero si parlerà di «come si sceglie un leader»), si scrive di tutto e anche di comunicazione. Anzi, questo è un po’ il cavallo di battaglia, tanto che i ragazzi della redazione vengono invitati quotidianamente a partecipare a convegni e a portare la loro esperienze nei dibattiti. «Sarà una banalità - dice Hassan Bruneo, che da più di un anno scrive sul mensile -, ma abbiamo pensato fosse utile spiegare anche l‘importanza della gestualità. Noi, ad esempio, per dire grazie usiamo un gesto che per un italiano non significa niente. Anzi, assomiglia un po’ al movimento che qui si usa per dire: cosa vuoi?. Oppure, per ringraziare, noi mettiamo la mano sul cuore. Cosa che qui più che un ringraziamento pare un segnale d‘infarto». Raccontare la gestualità come forma di relazione per capirsi meglio e per eliminare ogni possibile equivoco.
Un numero che è andato esaurito, come quello in cui ragazzi spiegavano come gli arabi sappiano apprezzare l’ironia e l’umorismo e perfino scherzare con le vignette sulla religione. Dice Giuseppe Frangi, direttore di Vita, che supervisiona il mensile: «E’ un grande lavoro quello dei ragazzi di Yalla. Sono loro che stanno insegnando ad arabi e italiani come sia facile vivere insieme».
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