lunedi` 21 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
05.04.2009 E' un terrorista, ma vorrebbe esserlo di più
L'analisi di Guido Olimpio e la cronaca di Ennio Caretto

Testata: Corriere della Sera
Data: 05 aprile 2009
Pagina: 19
Autore: Guido Olimpio-Ennio Caretto
Titolo: «Il leader che rivendica tutto per sentirsi Osama»

Sulla strategia mediatica del terrorismo, il CORRIERE della SERA di oggi, 05/04/2009, a pag. 19, pubblica una interessante analisi di Guido Olimpio, alla quale facciamo seguire la cronaca di Ennio Caretto.

Guido Olimpio- " Il leader che rivendica tutto per sentirsi Osama"

WASHINGTON — Baitullah Meh­sud è un uomo che non va sottovalu­tato. È sospettato per l’attentato alla Bhutto, sulla sua testa c’è una taglia di 5 milioni di dollari, gli aerei senza pilota americani lo braccano senza sosta.

Da pochi mesi è diventato il lea­der della nuova santa alleanza taleba­na. Una coalizione di estremisti pa­chistani, afghani, qaedisti. Dunque davvero un personaggio temibile che, malgrado diversi problemi di salute, è in grado di orchestrare le azioni kamikaze. O, ancora, di usare militanti, magari con passaporto eu­ropeo, per colpire in Occidente. I se­gnali ci sono. E forse il presidente Obama pensava a lui quando, in un recente discorso, ha avvertito: «Stan­no preparando in Pakistan attacchi contro Usa e Europa».

Per Mehsud si è trattato di un’ulte­riore consacrazione del suo ruolo di cattivo. In questi giorni il suo nome oscura il fantasma Bin Laden. Anche su un campo dove Osama ha sem­pre primeggiato: quello della propa­ganda. Pochi giorni fa Baitullah ha minacciato imminenti azioni sul ter­ritorio americano: colpiremo anche la Casa Bianca. Nel 2007, davanti al­le telecamere di Al Jazeera, aveva an­nunciato «i miracoli della Jihad», os­sia attentati a New York, Washin­gton e Londra. Ieri lo ha fatto di nuo­vo assumendosi la responsabilità della strage a Binghamton sostenen­do che sono stati i suoi «uomini» a sparare. Un’uscita che gli ha guada­gnato titoli e news dall’Asia all’Euro­pa.

La fanfaronata conferma che Meh­sud, non contento di essere nella li­sta dei Most Wanted, vuole più co­pertura mediatica. Il sangue che sparge tra Afghanistan e Pakistan,
evidentemente, non è sufficiente. E dunque imita Osama e Ayman Al Zawahiri, diventa un professionista della rivendicazione, mette cappello su quello che è avvenuto o su quello che verrà. È successo tante volte nel post-11 settembre. Le bombe di Lon­dra, il famoso blackout di New York, i devastanti incendi in Austra­lia sono divenute occasioni buone per dire «siamo stati noi».

Per anni i talebani hanno visto i mass media, la tv e le radio come qualcosa di demoniaco. Poi hanno capito che per farsi sentire le bombe non bastano, specie se scoppiano in
zone dove la violenza è endemica. Serve la parola, la propaganda, il messaggio portato dai Tg, tutte le se­re, nelle case dei nemici. E la tecnolo­gia — dai telefoni satellitari a Inter­net — permettono anche ad un lati­tante di rubare la scena.

Bin Laden lo aveva compreso da un pezzo. Il suo «ufficio stampa» la­vorava già a pieno ritmo con compu­ter e telecamere nel 1996. E il leader rilasciava interviste, tracciava scena­ri, annunciava guerre. Pochi gli da­vano retta.

C’è voluto l’attacco alle Torri Ge­melle per far cambiare idea a chi lo guardava con sufficienza. Poi è se­guito un diluvio di discorsi di Bin La­den, di apparizioni in video, di mes­saggi registrati. Ma si sa che la trop­pa esposizione ti brucia. E Osama parlando tanto e facendo poco — in termini di attacchi — è divenuto me­no credibile. «Persino irrilevante» af­fermano alcuni esperti. Mehsud aspira a WASHINGTON — Ha fatto irruzione nella sede dell’Ame­rican civic association di Bin­ghamton come un terrorista, con due pistole in pugno, il giubbotto antiproiettile ad­dosso, e ha aperto il fuoco al­l’impazzata, senza pronuncia­re parola.

Ma Jiverly Wong, il vietna­mita naturalizzato america­no che ha assassinato 13 per­sone nel centro d’accoglien­za immigrati della pacifica cittadina dello Stato di New York, e si è poi suicidato, non era collegato ai tabeba­ni, come invece rivendicato da un loro leader in Paki­stan, Baitullah Mehsud. «Era un folle e un codardo — ha dichiarato il capo della poli­zia Joseph Zikusky —:aveva preparato la strage, ma quan­do ha sentito le sirene, si è tolto la vita. Smentisco che sia stato terrorismo».

Che cosa abbia spinto all’ec­cidio Wong, 41 anni, da 14 in America, non è ancora chiaro. Forse il crollo del suo «Ameri­can dream», dovuto alla scarsa conoscenza dell’inglese, al suo crescente isolamento, alla per­dita negli ultimi anni di tre po­sti di lavoro, il primo all’Ibm (ma non è certo), il secondo co­me camionista in California, il terzo al SopVac, una ditta di elettrodomestici, alla ossessio­ne che gli americani gli man­cassero di rispetto.

Due ex colleghi, Kevin Gre­en e Donald Ackley, hanno det­to al
Daily News che «era un solitario che ce l’aveva con il nostro Paese, che parlava solo di armi e ogni sabato andava al tiro a segno, e che una volta mi­nacciò di uccidere il presiden­te ». «Ci chiedevamo — hanno aggiunto — se sarebbe stato ca­pace di compiere un massa­cro ». Zikuski non ha fatto ipo­tesi sui motivi della furia omi­cida di Wong, che riscuoteva 200 dollari settimanali di disoc­cupazione e viveva con il pa­dre e la sorella, ma ha spiegato che l’Fbi ne sta tracciando il ri­tratto psicologico. Ha confer­mato che possedeva le due pi­stole da una dozzina di anni, e che fino a marzo aveva fre­quentato l’American civic asso­ciation.

Potrebbe essere stata un’atroce vendetta la sua, tan­to più assurda in quanto perpe­trata contro i suoi pari, che avrebbe fatto molte più vitti­me se una volontaria del cen­tro, l’italo-americana Shirley DeLucia, ferita al ventre, non avesse simulato la morte e chiamato la polizia. La donna e altri tre feriti gravi ora sono fuori pericolo.

Il centro non chiuderà i bat­tenti. Per l’America e per il mondo degli immigrati — i morti provenivano da 9 Paesi
diversi — il trauma è intollera­bile. Il mese scorso, in analo­ghe stragi erano morte 44 per­sone, 11 in Alabama. A Oak­land in California, il 21 marzo, erano già caduti in uno scon­tro a fuoco con un criminale 4 agenti. Bagni di sangue che stanno costringendo l’America del tempo della crisi finanzia­ria a interrogarsi sulla sua la­tente ed esplosiva violenza, e la libertà di circolare armati.
seguire le orme del Mae­stro, ma per farlo ha bisogno del suo 11 settembre. Intanto uccide nel suo «cortile di casa» e pratica la Jihad della parola.

Ennio Caretto- " Nostra la strage negli Usa, ma l'Fbi non crede ai talebani"

WASHINGTON — Ha fatto irruzione nella sede dell’Ame­rican civic association di Bin­ghamton come un terrorista, con due pistole in pugno, il giubbotto antiproiettile ad­dosso, e ha aperto il fuoco al­l’impazzata, senza pronuncia­re parola.

Ma Jiverly Wong, il vietna­mita naturalizzato america­no che ha assassinato 13 per­sone nel centro d’accoglien­za immigrati della pacifica cittadina dello Stato di New York, e si è poi suicidato, non era collegato ai tabeba­ni, come invece rivendicato da un loro leader in Paki­stan, Baitullah Mehsud. «Era un folle e un codardo — ha dichiarato il capo della poli­zia Joseph Zikusky —:aveva preparato la strage, ma quan­do ha sentito le sirene, si è tolto la vita. Smentisco che sia stato terrorismo».

Che cosa abbia spinto all’ec­cidio Wong, 41 anni, da 14 in America, non è ancora chiaro. Forse il crollo del suo «Ameri­can dream», dovuto alla scarsa conoscenza dell’inglese, al suo crescente isolamento, alla per­dita negli ultimi anni di tre po­sti di lavoro, il primo all’Ibm (ma non è certo), il secondo co­me camionista in California, il terzo al SopVac, una ditta di elettrodomestici, alla ossessio­ne che gli americani gli man­cassero di rispetto.

Due ex colleghi, Kevin Gre­en e Donald Ackley, hanno det­to al
Daily News che «era un solitario che ce l’aveva con il nostro Paese, che parlava solo di armi e ogni sabato andava al tiro a segno, e che una volta mi­nacciò di uccidere il presiden­te ». «Ci chiedevamo — hanno aggiunto — se sarebbe stato ca­pace di compiere un massa­cro ». Zikuski non ha fatto ipo­tesi sui motivi della furia omi­cida di Wong, che riscuoteva 200 dollari settimanali di disoc­cupazione e viveva con il pa­dre e la sorella, ma ha spiegato che l’Fbi ne sta tracciando il ri­tratto psicologico. Ha confer­mato che possedeva le due pi­stole da una dozzina di anni, e che fino a marzo aveva fre­quentato l’American civic asso­ciation.

Potrebbe essere stata un’atroce vendetta la sua, tan­to più assurda in quanto perpe­trata contro i suoi pari, che avrebbe fatto molte più vitti­me se una volontaria del cen­tro, l’italo-americana Shirley DeLucia, ferita al ventre, non avesse simulato la morte e chiamato la polizia. La donna e altri tre feriti gravi ora sono fuori pericolo.

Il centro non chiuderà i bat­tenti. Per l’America e per il mondo degli immigrati — i morti provenivano da 9 Paesi
diversi — il trauma è intollera­bile. Il mese scorso, in analo­ghe stragi erano morte 44 per­sone, 11 in Alabama. A Oak­land in California, il 21 marzo, erano già caduti in uno scon­tro a fuoco con un criminale 4 agenti. Bagni di sangue che stanno costringendo l’America del tempo della crisi finanzia­ria a interrogarsi sulla sua la­tente ed esplosiva violenza, e la libertà di circolare armati.

Per inviare al Corriere della Sera la propria opinione, cliccare sulla e-mail sottostante.


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT