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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
04.04.2009 Arik Sharon rivive nella sua fattoria
nel racconto di Davide Frattini

Testata: Corriere della Sera
Data: 04 aprile 2009
Pagina: 17
Autore: Davide Frattini
Titolo: «La vita da contadini dei figli di Sharon. Qui la guerra è contro i cacciatori»

La presenza di Ariel Sharon rivive nella sua fattoria " I Sicomori" nel racconto i Davide Frattini sul CORRIERE della SERA di oggi, 04/04/2009, a pag.17, dal titolo " La vita da contadini dei figli di Sharon. Qui la guerra è contro i cacciatori". Ecco l'articolo:

SHIQMIM (Israele) — Aringhe e cipolle, pane cotto in casa, marmel­lata di fragole che arrivano dai campi, salsa con i peperoni coltiva­ti nelle serre, formaggio di capra dal latte munto nella fattoria. La colazione autarchica è come la di­vorava Ariel Sharon. Il tavolo quel­lo disegnato dalla seconda moglie Lily, le mattonelle di ceramica scel­te una per una.
L’emorragia cerebrale lo ha col­pito qui al ranch, un elicottero lo ha trasportato al pronto soccorso dalla pista privata tra le colline, adesso serve i primi ministri che vengono in visita a Sderot. Omri, il figlio maggiore, è in ospedale a Tel Aviv, dove il padre è ricoverato in coma dal 4 gennaio 2006. Il po­meriggio è il turno di Gilad. I fratel­li hanno una stanza alla clinica, c’è sempre qualcuno — Omri non è potuto andare nei cinque mesi pas­sati in cella per finanziamenti ille­citi —, Sharon sta in quella accan­to, attaccato a un respiratore.
E’ Gilad che segue il lavoro della fattoria, quaranta dipendenti fissi più gli stagionali (anche arabi, thai­landesi, nepalesi), quattro chilo­metri quadrati, valore 11 milioni dollari (oltre otto milioni di euro), lievitati dai 500 mila spesi da Sha­ron, quando lo comprò negli anni Settanta. Le terre facevano di lui — secondo le stime del quotidia­no Haaretz — il premier più ricco della storia di Israele.
Gilad, 42 anni, è stato coinvolto nelle indagini sui finanziamenti il­leciti. Non ama le cifre che attira­no l’attenzione. Dei decenni del pa­dre al potere, restano la protezione della privacy, le torrette blu per le guardie del corpo e la cantina-ar­chivio dove il generale ha raccolto le foto e i documenti: le guerre combattute (dalla prima, quella d’Indipendenza) e le battaglie poli­tiche, fino alla rottura con il Likud e il lancio di Kadima, il partito di centro adesso guidato da Tzipi Liv­ni. Quando non è in giro per i cam­pi, Gilad è chiuso qua dentro, sta scrivendo la biografia — Sharon: un leader e un padre — che verrà pubblicata da HarperCollins nel 2010.
Il mastino spagnolo Golda sbir­cia dal giardino verso il posto a ca­potavola rimasto vuoto. Sharon si sedeva con i consiglieri — la squa­dra del ranch — per mangiare e prendere le decisioni più impor­tanti. Il ritiro da Gaza è stato pro­gettato tra la cucina e la vetrata, l’idea di fondare Kadima è nata nel salone a fianco, c’era bisogno di un tavolo più grande. Al secondo piano, le camere da letto. In cima alla vecchia torre dell’acqua (14 metri) lo studio dove l’ex primo ministro saliva — in ascensore — per osservare i suoi campi. Sulla balaustra delle scale, sono appog­giate le selle e le briglie, simboli da pionieri. «E’ lui che ci ha insegna­to a cavalcare», racconta Gilad.
Le foto di Sharon in divisa — con la benda insanguinata alla te­sta nel 1973, con l’elmetto sulle col­line attorno a Beirut, nove anni do­po — rimangono in archivio. La guerra resta fuori. Sulle pareti, so­no appesi i disegni dei tre nipoti (hanno ereditato il talento del bi­snonno paterno, pittore), in sog­giorno campeggia il dipinto di un sicomoro, che dà il nome alla fatto­ria.
Gilad guida la jeep verso quello che Sharon ha chiamato «l’albero erotico»: il tronco è contorto in un abbraccio, una radice d’edera pene­tra in una fessura nel mezzo. «Lo divertiva portare qua i visitatori e raccontare come aveva battezzato la pianta». Dietro, gli aranceti e i campi di frumento. Quando si muoveva tra queste colline nel de­serto del Negev — ricorda un con­sigliere
—, il padre tracciava cam­pi di battaglia. «Qui piazzerei un’imboscata — diceva indicando un cespuglio e un fossato — e da lì potrebbero spararti». Gilad invece tira fuori la macchina fotografica digitale e inquadra un fiore, passa davanti agli agnelli e scatta un ri­tratto. «Non smetto mai, documen­to ora per ora i cambiamenti nella natura». Nei fine settimana, lui e Omri, un eco-attivista, danno la caccia ai cacciatori di frodo. «In queste zone vivono volpi, iene, gazzelle, abbiamo fatto delle no­stre terre un’oasi protetta».
La sua passione sono i tori, raz­za Simmental. Ogni anno parteci­pa all’asta nel nord del Paese, il pa­dre seguiva i rilanci in diretta al te­lefono, anche se era impegnato in colloqui con diplomatici interna­zionali. Miguel Moratinos, mini­stro degli Esteri spagnolo, lo ha sentito eccitarsi di più per l’acqui­sto di tre bestie del Golan che per le conseguenze del ritiro da Gaza.
Settembre del 2005. Una setti­mana dopo Sharon era salito sul podio all’assemblea generale delle Nazioni Unite. Senza dimenticare il ranch: «Se non fosse stato impo­sto dalle circostanze, non sarei di­ventato un soldato. Avrei coltivato la terra, il mio primo amore». «E’
alla fattoria che veniva per ricari­carsi », ricorda la nuora Inbal. Ha conosciuto Gilad vent’anni fa, so­no sposati da tredici. Lei, vegetaria­na, ha imparato a cucinare l’agnel­lo al forno come lo preparava Lily, morta nel 2000. «Non lo assaggio, è intuizione, capisco il punto giu­sto di cottura».
La grigliata dei pionieri era il ri­to del venerdì. Sharon raggruppa­va i contadini e gli amici sotto la tettoia del magazzino per la frutta e la verdura. Davanti al fuoco, Mus­sa, il fattore, apprezzato dall’ex pre­mier soprattutto per come prepara­va la carne. «Il ranch è stato il suo rifugio — raccontava Uri Dan, si erano conosciuti nel 1954 —, gli ha dato la forza di affrontare le tra­gedie. Prima la morte di Margali­th, poi quella dell’unico figlio che avevano avuto Gur: si è sparato a undici anni giocando con una pi­stola. Mi sono chiesto come sia ri­masto in piedi dopo la perdita di Lily».
Chi lo conosce bene dice che non si è mai ripreso dalla scompar­sa. Sposata nel 1963, era la sorella più giovane della prima moglie. E’ seppellita sulla collina degli Ane­moni, che domina la fattoria, la la­pide circondata da piante lasciate crescere in sorvegliata libertà. «I cactus e il mandorlo disegnano sul­la cima la figura di un dinosauro», indica Gilad. «Mi piace pensare che stia a guardia di mia madre». L’ultimo dei dinosauri israeliani, assieme al presidente Shimon Pe­res, ha chiesto di essere deposto sulla stessa collina, vicino all’amo­re di una vita e lontano dagli altri padri fondatori, celebrati sul Mon­te Herzl.

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