Al Bashir, condannato dal tribunale dell'Aja per crimini contro l'umanità, è ancora in libertà grazie alla protezione dei Paesi arabi che, alla conferenza di Doha, hanno respinto le accuse del Tribunale a suo carico. Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, a pag. 19, la cronaca di Massimo Alberizzi dal titolo " La sfida del ricercato Bashir : Io, pellegrino alla Mecca' " e l'articolo dal titolo " Pocar: Crisi umanitaria grave ma la giustizia vada avanti' " con le dichiarazioni del giudice Fausto Pocar. Ecco gli articoli :
Massimo Alberizzi : " La sfida del ricercato Bashir 'Io, pellegrino alla Mecca' "
Sembra quasi che il presidente sudanese Omar Al Bashir si diverta a sfidare la Corte Penale Internazionale che contro di lui ha emesso un mandato di cattura.
Da un mese viaggia nei Paesi amici (o quasi), anche se i religiosi del suo Paese gli hanno raccomandato di non spostarsi: meglio non fidarsi neanche di chi sembra meglio disposto. Prima è volato in Eritrea dal dittatore Isayas Afeworki, poi dal libico Muammar Gheddafi. Ha sorpreso la visita in Egitto, Paese filoamericano, e ancora di più in Qatar. Pochi giorni prima del vertice della Lega Araba, l’emiro di Doha Sheikh Hamad bin Khalifah al-Thani aveva fatto discretamente sapere che la sua presenza non era molto gradita e avrebbe potuto provocare incidenti. Aveva anche sondato con l’Oman la possibilità di spostare a Muscat il summit. Nel Qatar c’è una base Usa e si temeva che qualcuno avrebbe potuto dare ordine ai caccia di Washington di intercettare l’aereo presidenziale. In Qatar Bashir è riuscito a beffare il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, seduto poco distante da un presidente ricercato (dall’Onu) per crimini contro l’umanità e crimini di guerra. Dopo il summit con i leader politici, un bagno di spiritualità. Da Doha Bashir è volato in Arabia Saudita dove ha intrapreso il pellegrinaggio breve (chiamato Omra) alla Mecca. Questa volta, almeno, il re saudita Abdullah ha evitato la grana di doverlo incontrare o, peggio, accompagnare: con i suoi dignitari il sovrano era a Londra per il G20.
Si potrebbe sorridere, se non ci fossero le vittime che aspettano giustizia in Darfur. L’Onu parla di 500 mila morti dall’inizio della guerra, nel 2004, e di oltre due milioni e mezzo di sfollati. Il dramma è ancora più tragico da quando, un mese fa, sono state cacciate le organizzazioni non governative. Sono scoppiate epidemie di cui nessuno può valutare la portata. Non ci sono più testimoni attendibili. Bashir, oltre ad aver messo in imbarazzo il Segretario Generale Onu, ha tentato — riuscendoci, almeno per ora — di riscattare il suo status di presidente paria. La difesa di Gheddafi è stata accanita. Il leader libico ha rovesciato una montagna di accuse sulla Corte dell’Aja «strumento del terrorismo del mondo ricco» e battendo sul chiodo del doppio standard: «Se Bashir è un criminale, lo sono anche coloro che hanno provocato migliaia di morti in Iraq e a Gaza». Ma tra i 22 stati membri della Lega Araba c’è qualcuno che è preoccupato dal paragone: «Se delegittimiamo la Corte, come possiamo pretendere che si occupi dei crimini a Gaza?». L’offensiva mediatica di Bashir mira anche a convincere l’opposizione interna che lui è ben in sella e un cambio di regime è pura utopia.
Ma Ibrahim Ahmed Ibrahim, presidente di uno degli otto gruppi di guerriglia che opera in Darfur, il Sudan Liberation Army–Juba Unity la pensa diversamente: «Non ci sarà pace in Darfur finché non cambierà il regime. Il presidente non è così saldo come vuole apparire. Lo sostengono solamente gli oltranzisti islamici e i peggiori dittatori africani e arabi. Non c’è un democratico che l’appoggi e questo spiega le sue responsabilità». Arrestare Bashir è comunque difficile anche perché è un presidente in carica... «Sì — spiega Ibrahim — ma non devono diminuire gli sforzi per arrestarlo. Il Consiglio di Sicurezza non deve procrastinare l’esecuzione del mandato di cattura per un anno. Non deve accettare il ricatto che viene dagli amici del presidente. In Sudan ci sono forze nuove, emerge una società civile lontana dall’islamismo radicale che è stato utilizzato a scopi politici per tenere soggiogata la popolazione».
" Pocar: 'Crisi umanitaria grave ma la giustizia vada avanti' "
«Nonostante i contraccolpi sulla popolazione, alle prese con la crisi umanitaria più grave del mondo, la giustizia con Bashir deve fare il suo corso». Ne è convinto il giudice Fausto Pocar, già presidente del Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, lontano dalla posizione del collega Antonio Cassese, secondo il quale l’arresto di Bashir è «una sciabolata nell’acqua», visto che di fatto risulta non eseguibile. Nell’incontro organizzato ieri dalla Fondazione Corriere della Sera sul Darfur e moderato dal giornalista Massimo Alberizzi, Pocar ha spiegato come la politica e la giustizia possono entrare in conflitto: «Mandando via le Ong dal Paese, Bashir si è vendicato sulla popolazione per il mandato d’arresto della corte internazionale dell’Aja. Purtroppo — ha avvertito — bisogna tener conto che il contraccolpo politico al provvedimento dei magistrati potrebbe aggravarsi ulteriormente».
Ha escluso una soluzione politica alla crisi Ibrahim Ahmed Ibrahim, presidente di uno degli otto gruppi di guerriglia che opera in Darfur, il Sudan Liberation Army–Juba Unity: «Non credo che con questo governo si possa trattare, l’unica via d’uscita è vincere militarmente» ha detto il leader dei ribelli nel suo intervento nella Sala Buzzati di via Solferino, a Milano. Grande preoccupazione per la crisi umanitaria ha espresso Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur: «La situazione è molto grave, sono scoppiate epidemie che nessuno tiene sotto controllo ed entro maggio rischiano di finire le forniture alimentari».
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