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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.04.2009 Al Bashir continua la sua vita da uomo libero
Protetto dai leader arabi

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 aprile 2009
Pagina: 19
Autore: Massimo Alberizzi
Titolo: «La sfida del ricercato Bashir 'Io, pellegrino alla Mecca' - Pocar: 'Crisi umanitaria grave ma la giustizia vada avanti'»

Al Bashir, condannato dal tribunale dell'Aja per crimini contro l'umanità, è ancora in libertà grazie alla protezione dei Paesi arabi che, alla conferenza di Doha, hanno respinto le accuse del Tribunale a suo carico. Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, a pag. 19, la cronaca di Massimo Alberizzi dal titolo " La sfida del ricercato Bashir : Io, pellegrino alla Mecca' " e l'articolo dal titolo " Pocar: Crisi umanitaria grave ma la giustizia vada avanti' " con le dichiarazioni del giudice Fausto Pocar. Ecco gli articoli :

Massimo Alberizzi : " La sfida del ricercato Bashir 'Io, pellegrino alla Mecca' "

Sembra quasi che il presi­dente sudanese Omar Al Bashir si diverta a sfidare la Corte Penale Internazionale che contro di lui ha emesso un mandato di cattura.
Da un mese viaggia nei Pae­si amici (o quasi), anche se i re­ligiosi del suo Paese gli hanno raccomandato di non spostar­si: meglio non fidarsi neanche di chi sembra meglio disposto. Prima è volato in Eritrea dal dittatore Isayas Afeworki, poi dal libico Muammar Gheddafi. Ha sorpreso la visita in Egitto, Paese filoamericano, e ancora di più in Qatar. Pochi giorni prima del vertice della Lega Araba, l’emiro di Doha Sheikh Hamad bin Khalifah al-Thani aveva fatto discretamente sape­re che la sua presenza non era molto gradita e avrebbe potu­to provocare incidenti. Aveva anche sondato con l’Oman la possibilità di spostare a Mu­scat il summit. Nel Qatar c’è una base Usa e si temeva che qualcuno avrebbe potuto dare ordine ai caccia di Washington di intercettare l’aereo presiden­ziale. In Qatar Bashir è riuscito a beffare il Segretario Generale dell’Onu, Ban Ki-Moon, sedu­to poco distante da un presi­dente ricercato (dall’Onu) per crimini contro l’umanità e cri­mini di guerra. Dopo il sum­mit con i leader politici, un ba­gno di spiritualità. Da Doha Bashir è volato in Arabia Saudi­ta dove ha intrapreso il pelle­grinaggio breve (chiamato Omra) alla Mecca. Questa vol­ta, almeno, il re saudita Abdul­lah ha evitato la grana di dover­lo incontrare o, peggio, accom­pagnare: con i suoi dignitari il sovrano era a Londra per il G20.
Si potrebbe sorridere, se non ci fossero le vittime che aspettano giustizia in Darfur. L’Onu parla di 500 mila morti dall’inizio della guerra, nel 2004, e di oltre due milioni e mezzo di sfollati. Il dramma è ancora più tragico da quando, un mese fa, sono state cacciate le organizzazioni non governa­tive. Sono scoppiate epidemie di cui nessuno può valutare la portata. Non ci sono più testi­moni
attendibili. Bashir, oltre ad aver messo in imbarazzo il Segretario Ge­nerale Onu, ha tentato — riu­scendoci, almeno per ora — di riscattare il suo status di presi­dente paria. La difesa di Ghed­dafi è stata accanita. Il leader li­bico ha rovesciato una monta­gna di accuse sulla Corte del­l’Aja «strumento del terrori­smo del mondo ricco» e batten­do sul chiodo del doppio stan­dard: «Se Bashir è un crimina­le, lo sono anche coloro che hanno provocato migliaia di morti in Iraq e a Gaza». Ma tra i 22 stati membri della Lega Araba c’è qualcuno che è preoc­cupato dal paragone: «Se dele­gittimiamo la Corte, come pos­siamo pretendere che si occu­pi dei crimini a Gaza?». L’offen­siva mediatica di Bashir mira anche a convincere l’opposizio­ne interna che lui è ben in sella e un cambio di regime è pura utopia.
Ma Ibrahim Ahmed Ibrahim, presidente di uno de­gli otto gruppi di guerriglia che opera in Darfur, il Sudan Li­beration Army–Juba Unity la
pensa diversamente: «Non ci sarà pace in Darfur finché non cambierà il regime. Il presiden­te non è così saldo come vuole apparire. Lo sostengono sola­mente gli oltranzisti islamici e i peggiori dittatori africani e arabi. Non c’è un democratico che l’appoggi e questo spiega le sue responsabilità». Arresta­re Bashir è comunque difficile anche perché è un presidente in carica... «Sì — spiega Ibrahim — ma non devono di­minuire gli sforzi per arrestar­lo. Il Consiglio di Sicurezza non deve procrastinare l’esecu­zione del mandato di cattura per un anno. Non deve accetta­re il ricatto che viene dagli ami­ci del presidente. In Sudan ci sono forze nuove, emerge una società civile lontana dall’isla­mismo radicale che è stato uti­lizzato a scopi politici per tene­re soggiogata la popolazione».

" Pocar: 'Crisi umanitaria grave ma la giustizia vada avanti' "

«Nonostante i contraccolpi sulla popolazione, alle prese con la crisi umanitaria più grave del mondo, la giustizia con Bashir deve fare il suo corso». Ne è convinto il giudice Fausto Pocar, già presidente del Tribunale Penale Internazionale per la ex-Jugoslavia, lontano dalla posizione del collega Antonio Cassese, secondo il quale l’arresto di Bashir è «una sciabolata nell’acqua», visto che di fatto risulta non eseguibile. Nell’incontro organizzato ieri dalla Fondazione Corriere della Sera sul Darfur e moderato dal giornalista Massimo Alberizzi, Pocar ha spiegato come la politica e la giustizia possono entrare in conflitto: «Mandando via le Ong dal Paese, Bashir si è vendicato sulla popolazione per il mandato d’arresto della corte internazionale dell’Aja. Purtroppo — ha avvertito — bisogna tener conto che il contraccolpo politico al provvedimento dei magistrati potrebbe aggravarsi ulteriormente».
Ha escluso una soluzione politica alla crisi Ibrahim Ahmed Ibrahim, presidente di uno degli otto gruppi di guerriglia che opera in Darfur, il
Sudan Liberation Army–Juba Unity: «Non credo che con questo governo si possa trattare, l’unica via d’uscita è vincere militarmente» ha detto il leader dei ribelli nel suo intervento nella Sala Buzzati di via Solferino, a Milano. Grande preoccupazione per la crisi umanitaria ha espresso Antonella Napoli, presidente di Italians for Darfur: «La situazione è molto grave, sono scoppiate epidemie che nessuno tiene sotto controllo ed entro maggio rischiano di finire le forniture alimentari».

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