Riportiamo dal GIORNALE di oggi, 02/04/2009, l'analisi di R. A. Segre dal titolo " Lieberman duro: 'No a uno Stato palestinese' ", dal CORRIERE della SERA la cronaca di Francesco Battistini dal titolo "Israele, strappo di Lieberman sulla pace " e l'intervista a Haim Oron dal titolo " Bibi è la testa, Avigdor la faccia Così chiudono tutte le porte " e tre brevi da STAMPA, MANIFESTO e SOLE 24 ORE . Ecco gli articoli :
IL GIORNALE - R. A. Segre : " Lieberman duro: 'No a uno Stato palestinese' "
Mostra subito i muscoli il governo israeliano di Benjamin Netanyahu. Il nuovo ministro degli Esteri, il leader ultranazionalista Avigdor Lieberman, ha esordito ieri con uno schiaffo all'Autorità nazionale palestinese e agli alleati americani. Nel corso della cerimonia di insediamento, Lieberman ha dichiarato che il nuovo esecutivo israeliano non si ritiene vincolato alla dichiarazione di Annapolis sottoscritta nel 2007 da Israele e dall'Autorità palestinese, l'accordo che prefigura i due Stati quale traguardo del processo di pace in Medio Oriente. Le intese di Annapolis, ha detto, non hanno valore» per il gabinetto entrante. Sbaglia-ha aggiunto - chi pensa che per mezzo di rinunce e concessioni si possa ottenere rispetto e pace. Al contrario si avranno ancora pi guerre e pi faremo rinunce e pi la situazione peggiorerà. Dura la reazione dei palestinesi: E una sfida alla comunità internazionale e agli Usa', ha detto Nabil Abu Rdainah, portavoce del presidente Abu Mazen. di R. A. Segre Con 69 voti favorevoli (a cui se ne aggiungeranno altri 5 quando un partitino ortodosso si unirà alla coalizione) contro 45 il parlamento israeliano ha approvato il nuovo esecutivo guidato da Bibi Netanyahu. Con 30 ministri è il più grande governo della storia di Israele. Il problema è ora chi, tra l'esecutivo o l'opposizione guidata dalla signora Livni, si sfalderà per prima. Se l'esecutivo terrà, la compattezza di Kadima - partito formato da transfughi del Likud(Livni inclusa), ancora privo di radici nell'elettorato si indebolirà. Non serviranno a tenerlo unito i violenti attacchi, spesso personali, che la Livni ha lanciato contro il nuovo esecutivo. Se invece il carrozzone governativo si impantanerà, nuove elezioni saranno necessarie come auspica Kadima e una sinistra ridotta ai suoi minimi storici insieme con i partiti arabi. I quali ancora una volta non sono riusciti a unirsi e temono le misure che il neo- ministro degli Esteri Liebeman ha promesso di prendere contro chi rifiuta lealtà allo Stato'. Tenuto conto del fatto che Israele, tradizionalmente, non dispone di libertà di azione in politica estera ma solo di libertà di reazione soprattutto militare contro i suoi avversari, tre sono le domande che s;i possono fare in merito della politica estera del nuovo esecutivo: cosa faranno gli arabi e in particolare quelli legati all'Iran come amas e gli Hezbollah nel Libano? Cosa farà Washington? Come verrà affrontata la crisi economica? Il silenzio di Hamas - anche per quanto riguarda i razzi contro Israele - la dice lunga: il movimento islamico è probabilmente conscio di aver perduto ancora una volta un occasione per vincere politicamente grazie alla disponibilità del passato governo Olmert di fare grandi concessioni in cambio della liberazione del caporale Shalit e di un cessate ilfuoco. Hamas e gli Hezbollah sanno che ora nuove provocazioni di tipo militare porterebbero a reazioni israeliane pesantissime. Questo influisce anche sui rapporti con Washington. Mentre sarà difficile per Netanyahu resistere a pressioni diplomatiche Usa in merito agli insediamenti così detti illegali che in base agli accordi stipulati (e non rispettati) dal governo Olmert ha promesso di onorare, nei confronti dell'Iran una temeraria reazione militare contro il suo armamento nucleare diventa col nuovo governo più probabile. E Obama potrebbe sfruttare la minaccia israeliana a sostegno della sua politica di apertura con Teheran. Quanto alla crisi economica, paradossalmente Israele sembra meglio equipaggiato di altri Paesi. Anzitutto per il suo ruolo di punta nello sviluppo di energie alternative, di tecnologie avanzate di cui Obama ha bisogno. In secondo luogo nella possibilità che la crisi offre a Netanyahu di sfruttare i debiti accumulata da alcune delle 18 famiglie che controllano il 70% dell'economia israeliana, per liberarla da queste strutture di monopolio antisociale e dai resti del controllo burocratico-socialista sull'economia.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Israele, strappo di Lieberman sulla pace "
GERUSALEMME — Come fanno a starci quattro elefanti su una Cinquecento? La vignetta di Ma’ariv riprende il famoso indovinello (risposta: due davanti e due dietro), disegna i bestioni sui sedili e quello al volante che risponde seccato: «Lo chiedete a noi? E tutti quei ministri al governo, allora? ». D’ingombrante ce n’è uno più degli altri, però. E nel giorno dell’insediamento, quando stringe la mano all’uscente ministra Tzipi Livni, provvede subito ad accomodarsi con l’imbarazzante peso delle sue parole.
Due, soprattutto: dimenticare Annapolis. «C’è un solo documento che vincola Israele — dice Avigdor 'Yvette' Lieberman, leader dell’ultradestra e nuovo capo degli Esteri —, e questo documento non è Annapolis, che non ha validità. Il governo e la Knesset non l’hanno mai adottato». Stupore, alla Livni scappano un sorriso e una battuta sussurrata: «Ho fatto bene a star fuori da questo governo... ». Poi qualcuno che si chiede se siano carta straccia gl’impegni presi dal premier Ehud Olmert e dal palestinese Mahmoud Abbas, nel novembre 2007 quando, ospiti del presidente Bush, si impegnarono, per la prima volta e solennemente, a perseguire la soluzione dei due Stati. E quali valgano, invece: «Io ho votato contro la Road Map. Ma quello è l’unico documento approvato dal governo israeliano. Ed è stato ratificato dal Consiglio di sicurezza dell’Onu come documento vincolante».
Se doveva essere un elefante in cristalleria, c’è riuscito. Il fragore delle parole raggiunge subito l’Autorità palestinese: «Questo ministro è un ostacolo alla pace e danneggerà specialmente Israele». Abu Mazen è furioso: non solo Netanyahu non prende distanza, ma fa capire d’essere d’accordo. Al voto di fiducia, martedì, il silenzio sulla soluzione dei due Stati — introdotta dalla Road Map nel 2003, scandita dagli accordi di Annapolis — somiglia molto all’uscita d’Yvette: «Nulla ci obbliga a negoziare con una persona razzista e ostile alla pace — dice un portavoce, Nabil Abu Rudeina —. Gli Usa devono assumere una posizione chiara rispetto a questa politica, prima che le cose peggiorino». Solo la settimana scorsa, Obama ha detto che la soluzione dei due Stati è inevitabile. «Ci prepariamo a franche discussioni», dicono dalla Casa Bianca. Si fa sentire perfino Tony Blair, inviato del Quartetto: «Non c’è alternativa. Anzi, una c’è: la formazione d’uno Stato solo. Che provocherebbe un duro scontro».
Lo scontro è quel che forse Lieberman cerca. Poche ore prima del suo outing, il presidente israeliano Shimon Peres aveva sollecitato Netanyahu a negoziare con gli arabi. «Sbaglia chi pensa che per mezzo di rinunce e concessioni si possa ottenere rispetto e pace — dice il neoministro —. Al contrario, avremo più guerre. E più rinunce faremo, peggiore sarà la situazione». Usa toni concilianti solo col vicino Egitto, che qualche mese fa voleva addirittura bombardare.
Ma resta un dubbio: le sue sono minacce vere? «Vuole solo lanciare un messaggio — crede il politologo israeliano Eyan Gilboa —. Ci sta dicendo: la nostra politica sarà diversa». Quanto diversa? «Bisogna aspettare i prossimi mesi »: lo capiremo solo vedendo.
CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Bibi è la testa, Avigdor la faccia Così chiudono tutte le porte "
GERUSALEMME — Guarda in tivù il volto di Tzipi Livni: «Ha la faccia terrea dei giorni di Gaza». Haim Oron, leader del Meretz, partito liberale all’opposizione, si stupisce dello stupore: «Le parole di Lieberman di oggi rappresentano esattamente la politica del nuovo governo Netanyahu ».
Ma perché Bibi non prende le distanze?
«Perché nessuna presa di distanza è possibile: martedì, il premier ha detto le stesse cose alla Knesset, usando parole più profonde e più calde, ma uguali. La mente del governo è Netanyahu, ma la faccia è quella di Lieberman. Dire che Annapolis non va portata avanti e la Road Map invece sì, è una contraddizione. Indicativa. Sono due fasi dello stesso processo, tutt’e due ispirate dalla stessa amministrazione Bush e tutt’e due recepite con chiarezza dal governo israeliano di Sharon, prima, e di Olmert poi. Prospettano la fine della costruzione delle colonie, nei Territori occupati dal 1967, e chiedono la fine del terrorismo. Il terrorismo è finito, ma è chiaro che questo governo non intende smettere di costruire in Cisgiordania».
La politica di Lieberman è tortuosa: sbarra la strada ai palestinesi e intanto la riapre all’Egitto...
«Complimenti al diplomatico: con questo discorso d’esordio, Lieberman ha già chiuso tutte le porte e s’è messo in rotta di collisione coi palestinesi e col mondo occidentale. Sicuramente gli Stati Uniti possono influenzare la politica d’Israele, ma con Lieberman di mezzo sarà tutto più difficile».
Perché?
«Le parole di Netanyahu e di Lieberman vanno contro gl’interessi politici del Paese, su due piani: sia sul piano interno, perché arrestano l’evoluzione dello Stato, della società, il processo di pace; sia su quello internazionale, perché ora creano un problema di rapporto con la comunità degli Stati».
Non sembra che questo rapporto sia in cima ai pensieri del nuovo governo...
«Nemmeno io ho mai creduto che il nostro Messia politico sarebbe arrivato da fuori. Da fuori possono sostenerci, darci soldi, ma lo sforzo dobbiamo farlo dentro di noi. Dentro Israele. Questo governo non chiede aiuto a nessuno, in questo momento. Non lo cerca. Si sente autosufficiente. Fa lo sforzo da solo, ma in senso contrario a quello che servirebbe. Mi consola solo una cosa. Siamo al primo giorno. E domani è un altro giorno».
La STAMPA - la cronaca di Aldo Baquis riporta correttamente le affermazioni di Avigdor Lieberman. Il titolo ( " Lieberman choc: 'la Road Map non c'interessa"), invece, è scorretto. Lieberman ha dichiarato l'opposto e cioè che l'unico documento che vincola Israele è Road Map.
Il MANIFESTO - il commento di Zvi Schuldiner si scaglia contro il partito laburista, reo di non essere sufficientemente di sinistra. La dimostrazione ? " Shimon Peres era il premio Nobel che spiegava al mondo la politica di Sharon mentre il ministro della difesa laburista Ben Eliezer continuava la brutale repressione della Seconda Intifada. Chi fu il vero architetto della Seconda Intifada? Ehud Barak, l'allora primo ministro laburista moderato, partecipò ad un preannunciato fallimento a Camp David, accolse la provocazione di Sharon nel settembre del 2000 e cominciò la brutale repressione che portò a termine l'allora comandante dell'esercito Mofaz ...". Un laburista si è macchiato della terribile repressione della seconda Intifada. Repressione ? Difesa della popolazione civile, semmai. Schuldiner scrive della Intifada come se fosse stata una specie di parata di carnevale un po' sopra le righe e non un'ondata di attacchi kamikaze contro i civili israeliani. Per quanto riguarda la " provocazione di Sharon ", la seconda Intifada è stata progettata e organizzata per mesi. Non è scoppiata in 24 ore per la sua passeggiata sulla spianata delle Moschee. L'architetto della seconda Intifada, poi, di certo non fu Ehud Barak, ministro israeliano... Sarà stato mal tradotto il povero Schuldiner (già di suo fuori tema ?)
Il SOLE 24 ORE - Ugo Tramballi riporta correttamente le dichiarazioni di Liebermann. Ma la frase conclusiva dell'articolo " Hanno vinto le elezioni democraticamente e senza barare. Giusto come Hamas nei Territori Palestinesi tre anni fa ". Mettere sullo stesso piano il governo eletto democraticamente di uno Stato legittimo e un'associazione terroristica salita al potere con un colpo di stato ha dell'incredibile. Chissà come avrebbe definito Tramballi il governo della Germania negli anni '30...
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