Orchestra palestinese smantellata dopo aver suonato per Israele La cronaca di Giulio Meotti
Testata: Il Foglio Data: 31 marzo 2009 Pagina: 2 Autore: Giulio Meotti Titolo: «Storia dell'orchestra palestinese smantellata dopo aver suonato per Israele»
Riprendiamo dal FOGLIO di oggi, 31/03/2009, a pag. 2, l'articolo di Giulio Meotti dal titolo " Storia dell'orchestra palestinese smantellata dopo aver suonato per Israele " sull'orchestra di ragazzi palestinesi a Jenin sciolta dall'Anp. IC aveva pubblicato la notizia ieri con l'articolo di Federico Steinhaus dal titolo " Una fiammella di speranza subito spenta dal gelido vento dell'estremismo " e la commenta oggi con la cartolina di Ugo Volli. Ecco l'articolo di Giulio Meotti :
Roma. Il governo palestinese in Cisgiordania ha fatto smantellare l’orchestra musicale “Corde per la pace” di Jenin e bandito la sua direttrice, Wafa Younis. La loro “colpa” è stata quella di aver suonato in Israele di fronte a una platea di sopravvissuti all’Olocausto. Adnan Hindi, l’ufficiale palestinese direttore del campo di Jenin, ha detto al New York Times che l’orchestra, composta da diciotto fra ragazzi e ragazze palestinesi, ha sbagliato a suonare per i sopravvissuti e ha definito l’Olocausto una “questione politica”. “Younis ha portato questi ragazzi in Israele per insegnargli l’Olocausto e questo non è nei nostri scopi”, ha detto il politico palestinese, rappresentante non di Hamas, ma del movimento politico “moderato” dell’Olp. “Non possiamo impedirle di entrare a Jenin, ma non possiamo garantire la sua incolumità”. La direttrice musicale è avvisata. “Non ho alcuna agenda politica”, ha risposto Younis. “Il presidente Mahmoud Abbas non può fermare il mio progetto”. Un progetto blasfemo per gli standard della cultura e della società palestinese. La storia ha fatto il giro del mondo e ieri era su tutti i principali quotidiani. Gran parte di quei giovani musicisti palestinesi, prima del concerto di Holon, non avevano mai incontrato civili israeliani e provenivano da una città, Jenin, con il più alto numero di kamikaze islamici e considerata una roccaforte del terrorismo degli uomini bomba. Il concerto di Holon era uno di quegli appuntamenti culturali diventati sempre più rari dopo l’avvio dell’Intifada al Aksa nel 2000 e le centinaia di stragi di civili israeliani. Appena due anni fa un cittadino israeliano di Holon, che ha ospitato l’evento musicale, era stato ucciso da un kamikaze di Jenin. Il concerto era iniziato con un brano arabo, “Noi cantiamo per la pace”, seguito da due pezzi musicali con i violini e tamburi arabi. La direttrice Wafa Younis, che conosce molto bene l’ebraico, aveva poi dedicato una canzone al soldato israeliano Gilad Shalit tenuto prigioniero da Hamas nella Striscia di Gaza da più di mille giorni. Un caso simile di odiosa intolleranza e di antisemitismo politico c’era stato quando l’avvocato Khaled Kassab Mahamid, cittadino arabo israeliano di Nazareth, era stato bandito dall’Iran. “Volevo affrontare i negatori dell’Olocausto – aveva detto Mahamid – e convincerli che devono riconoscere questa realtà. Il fatto stesso di riconoscere la realtà dell’Olocausto potrebbe avviare una politica diversa, basata sul riconoscimento di un fatto che contribuisce a determinare gran parte dell’identità ebraica”. Mahamid aveva creato con grande scandalo a Nazareth un piccolo museo sulla Shoah, visitato ogni giorno da almeno una decina da arabi che trovano qui l’opportunità di imparare molto sullo sterminio degli ebrei durante la Seconda guerra mondiale. Mahamid sostiene che la violenza germina nel negazionismo. Di fronte alla propaganda antisemita dell’Iran e a mostre come quelle a Gaza organizzate da Hamas e che vedono Israele bruciare bambini palestinesi nei forni crematori, eventi come quello di Holon non potevano che combattere la cultura della morte palestinese. Il rifiuto dell’Olocausto nella società palestinese arriva infatti fino al suo vertice, al presidente Abu Mazen, autore di una tesi di laurea in cui ribadisce i tipici cliché della propaganda negazionista antiebraica, a cominciare dalla mitizzazione del numero dei morti nei campi di concentramento. Amin Dabur, capo del Centro Palestinese di Ricerche Strategiche, va ripetendo ad esempio che “l’Olocausto è tutta una frottola”. Il fatto tanto più eccezionale del concerto è che i giovani musicisti provenivano da una città dove i muri delle case sono affrescati dalle facce di bambini “eroi della morte” che sventolano il kalashnikov, dove la piazza centrale è dedicata a Saddam Hussein, gran filantropo di kamikaze, e dove campeggia ovunque un macabro slogan: “La vita è in cielo e la morte sta in terra”. Ha chiesto la direttrice dell’orchestra Wafa Younis a proposito della chiusura della scuola musicale: “Cos’hanno fatto di male questi anziani?”, riferito ai sopravvissuti alla Shoah accorsi per ascoltare la banda musicale. Per palestinesi come Hindi, di male hanno fatto di sopravvivere e di essere ebrei.
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