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Giorgia Greco
Libri & Recensioni
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Riccardo Calimani, Il mercante di Venezia - Shalom Auslander , Il lamento del prepuzio 30/03/2009

Il mercante di Venezia,      Riccardo Calimani
Mondadori Euro 18,50

Scrittore e storico apprezzato da un vasto pubblico, profondo conoscitore dell’ebraismo italiano ed europeo al quale ha dedicato molte opere, Riccardo Calimani dopo il saggio “Ebrei eterni inquieti” del 2007 torna in libreria con un romanzo d’avventure e di intrighi: Il mercante di Venezia”. Il titolo che rievoca il dramma di Shakespeare non deve trarre in inganno il lettore perché non c’è nulla del celebre usuraio Shylock nel saggio e carismatico Moses Conegliano, l’ebreo creato dalla penna di Calimani. Siamo all’inizio del Cinquecento in una Venezia che lotta per conservare la libertà messa a repentaglio dai vicini potenti, Carlo V e Francesco I di Francia oltre al papa Giulio II che non tollera i fermenti libertari della Serenissima. In questo affresco storico che non esclude la Riforma di Lutero e il Sacco di Roma del maggio 1527, Calimani racconta le vicende dei Conegliano, una famiglia di ebrei che cacciata da Treviso cerca rifugio nella città lagunare: “…L’acqua che protegge questa città è meglio di qualsiasi muraglia”. Sotto la guida di Moses, uomo previdente e privo di qualsiasi ambiguità, un capofamiglia generoso che decide di farsi carico dei figli di Abraham De Leon, inizia per i numerosi personaggi che costellano il romanzo una nuova vita a Venezia tutt’altro che facile dove ciascuno sarà artefice del proprio destino: l’irrequieto Gabriele, il figlio con il quale Mosaes non riesce a entrare in sintonia e che si convertirà al Cristianesimo senza tuttavia trovare pace; l’adorato figlio Davide che decide di partire per l’Oriente; la giovane Stella che dopo la morte dell’amato Mandolin si legherà a un patrizio veneziano, Francesco Sebastiano Giustiniani, uomo dai solidi principi che accetterà de veder crescere i suoi figli nella religione ebraica; Sara, l’affettuosa e devota moglie di Moses, una donna timida e introversa che sboccerà nella sua femminilità una volta diventata madre del piccolo Simone Simhà Abraham, destinato a diventare rabbino. Attorno ai Conegliano si muovono individui scaltri e spregiudicati come il nobile Vettor Mocenigo, gaudenti come Giorgio Foscarini o donne sensuali e di prorompente bellezza come Angela Barbarico “capace di farsi ammirare dagli uomini e invidiare, se non odiare, dalle donne.” Sullo sfondo una città piena di fascino, turbolenta e cinica, spensierata e tollerante nella quale le varie peripezie dei protagonisti si intrecciano ai momenti più salienti della storia della Serenissima: il terremoto del 1511, il rogo dell’Arsenale, gli echi delle lotte tra cattolici e luterani e l’istituzione del Ghetto – il primo in Europa – per volontà del Maggior Consiglio e nel quale non tutti i membri della famiglia accetteranno di essere costretti a vivere. Attraverso le vicende dei Conegliano Riccardo Calimani con il rigore dello storico e la capacità narrativa del romanziere delinea i difficili rapporti fra ebrei e gentili, i tentativi dei primi di emanciparsi, la sofferta accettazione di vivere nel Ghetto per alcuni e la drammatica scelta di fuggire da Venezia per altri, abbandonando i propri affetti e le proprie case. In questo scenario costruito con grande sapienza l’autore, partendo da una prospettiva ebraica, offre uno scorcio su uno dei periodi storici più complessi della storia italiana restituendoci un mondo che, pur intravedendo segnali infausti attorno a sé, continua a credere nella libertà dell’uomo e a sperare in un futuro migliore. “…Si possono bruciare le pagine di un libro, di molti libri, ma non si possono, per fortuna, bruciare le idee”.

Giorgia Greco

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Il lamento del prepuzio ,      Shalom Auslander
Traduzione di Elettra Caporello
Guanda Euro 15,50

Siamo tutti marxisti, ma lasciate perdere il Capitale. Se c’è un partito di lunga tradizione ebraica non è quello di Karl, ma il movimento fondato da Groucho Marx e dai suoi fratelli negli anni Trenta del Novecento. Il grouchismo raccoglie consensi tra i laici e i miscredenti, ma forse ancor di più tra chi proviene da un ambiente di rigida osservanza ortodossa. Se volete un manuale di grottesca nevrastenia, irriverente e inconcludente, leggetevi il “Lamento del prepuzio” di Shalom Auslander, un esempio perfetto del marxismo della risata. Nato e cresciuto nello Stato di New York, in una di quelle comunità di ebrei dai cappelli neri a falda larga e donne con la parrucca, Auslander ha scelto di uscire dall’ortodossia attraverso la porta dell’autoironia. Un padre ubriacone e manesco, ma molto pio, rabbini furiosi e menagramo, madri rassegnate e pazienti, ma soprattutto Lui, collerico, vendicativo, spesso francamente sadico. Con il Dio d’Israele, Auslander ha un conto aperto, come un padre padrone, che invece di starsene nell’altro dei cieli s’impiccia continuamente degli eventi umani: “Io credo in un Dio personale: ogni cosa che faccio, Lui la prende personalmente”. Le parti migliori di questo tormentone di rivolta chasidica, sono quelle dedicate ai ricordi di scuola, all’accademia talmudica piena di studenti che si muovono come “un mare in tempesta di camicie bianche e pantaloni neri”, con le loro peot, i riccioli che incorniciano il volto, e l’obbligo di imparare tutto il Talmud a memoria. Il sarcasmo e il turpiloquio, e poi l’abboffarsi di cibo proibito, l’angoscia deliziosa della trasgressione – “E’ solo una pidocchiosa pizza al salame, e Tu mi devi “aborrire in questo mondo e torturare in quello a venire” per una pizza al salame?” – il tutto condito con il supplizio allettante della confessione: “Non è che non mangio mai niente di Kosher”, racconta Shalom a un’allibita amica del cuore, che finisce per guardarlo “con disgusto”. Sugli stessi toni di patimento psicologico si plasma il rapporto con Rodin e Magritte, con l’arte, “così meravigliosamente indulgente verso se stessa, così deliziosamente inutile”, e col mondo femminile, irraggiungibile e nascosto dietro proibizioni e tabù. Quando Shalom, ormai adulto, conosce quella che diventerà sua moglie, deve venire a patti con i genitori sospettosi, la cui casa è a Londra, ma che “per la maggior parte dell’anno risiedono nel XVI secolo”. Potrebbe sembrare una fuga dalla religione e invece questo libro, sboccato e spesso fastidioso, è una professione d’amore-odio per la fede ebraica. Mentre sempre più persone, sembrano trovare Dio, dice Shalom, “io sto facendo del mio meglio per perderlo, e sto fallendo”, perché “non sono osservante, ma dolorosamente, incurabilmente, miserabilmente religioso”. Non si sfugge alla tradizione, è il messaggio di Auslander, non ci si può sottrarre ai millenni di tremori che legano Israele al proprio Dio, eppure bisogna riderne, se non per guarire, almeno per rendere più sopportabile la convivenza col Vecchio Irascibile. Giulio Busi Il Sole 24 Ore


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