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Il Manifesto Rassegna Stampa
29.03.2009 Israele è tutta una colonia, ed è sionista pure il tram
nell'edizione italiana della Pravda

Testata: Il Manifesto
Data: 29 marzo 2009
Pagina: 9
Autore: Michele Giorgio
Titolo: «I binari della discordia»

Non invidiamo Michele Giorgio, corrispondente da Israele del MANIFESTO. Chissà che vita grama deve condurre, costretto a vivere in un paese che, da come lo racconta, deve essere più o meno come una grande prigione, una specie di Abu Graib dove i "cattivi" sono gli gli ebrei e le "vittime" la minoranza araba. Se crede in quello che scrive, deve avere il fegato a pezzi, ci chiediamo come riesca a farcela. Quando ne leggiamo le corrispondenze, la ripugnanza si mescola però con l'ilarità, non riusciamo mai a trattenere il riso, lo stile "Pravda" del bel tempo che fu lui sa riprodurla con grande abilità. Per questo non gliene vogliamo, l'umorismo non voluto è sempre il migliore. Come sul MANIFESTO di oggi, 29/03/2009, a pag.11, quando descrive i ritardi nella costruzione della metropolitana leggera a Gerusalemme. I ritardi ci sono, questo è un fatto, ma l'articolo va letto, per capire come a Giorgio, anche  i binari del tram prossimo venturo si prestino per interpretare la sua furia anti-israeliana. Persino nel disegnare i tracciati i cattivi ebrei ce l'hanno con i buoni arabi. Uno pensa che sia stata esclusa la parte araba della città, la solita arrogante scelta del potere sionista, e invece no, il tracciato collega tutta la città. Quello che indigna Giorgio è che non si sia pensato di consultare prima chi di dovere. Il tracciato, per Giorgio, è illegale, perchè " collegherà le colonie". Ci piacerebbe sapere quali, nei dettagli. Anche se sappiamo che per i trinariciuti del MANIFESTO tutta Israele è una colonia, la nostra domanda è ovviamete retorica. Ci sarebbero poi infiniti tratti di matita rossa su quanto Giorgio scrive, ma l'abbiamo già fatta troppo lunga, per cui lascisamo questo piacere domenicale ai nostri lettori.

Quando il mese scorso la società CityPass ha comunicato alle autorità - comune e governo – «di non ritenere realistica» la scadenza di settembre 2010 per la conclusione dei lavori di costruzione della rete tranviaria, gli abitanti di Gerusalemme sono stati sul punto di scendere in strada a protestare con rabbia. Il progetto che alla fine degli anni Novanta convinse Ehud Olmert, a quel tempo sindaco di Gerusalemme, non ha mai rispettato le scadenze. I ritardi si sono moltiplicati, i costi sono lievitati e i lavori che si svolgono in pieno centro, a ridosso della città vecchia e anche nella zona Est (araba) sotto occupazione dal 1967, scontentano un po’ tutti. Ebrei e palestinesi, con motivazioni molto diverse, puntano l’indice contro il tram. «Non ne possiamo più – si lamenta Ilan Tirosh, proprietario di un negozio che s’affaccia su via Giaffa, il cuore della Gerusalemme ebraica –: da quando è in costruzione la rete del tram, subiamo disagi enormi e accumuliamo perdite economiche di cui nessuno sembra preoccuparsi. La strada è per gran parte chiusa al traffico automobilistico e vendiamo molto meno rispetto agli anni passati perché l’area è nel caos completo e tanta gente preferisce evitarla». Di ben altra natura sono le contestazioni palestinesi. «Certo anche per noi i disagi si stanno facendo insopportabili, ma il vero problema sta nella finalità politica di questo tram che attraversa la città - spiega il geografo Khalil Tufakji, esperto di colonizzazione israeliana –. Dicono di voler soltanto garantire trasporti pubblici moderni ed ecologici a una città prigioniera del traffico automobilistico, ma ignorano le risoluzioni internazionali. Intanto i binari attraversano anche la zona araba, collegando gli insediamenti colonici (chiamati dagli israeliani "quartieri", ndr) e nessuno si è sognato d’interpellare i palestinesi». Il costo totale della «Jerusalem light railway » è di 3,3 miliardi di shekel (circa 600 milioni di euro): 2/3 messi dalla CityPass (un consorzio di imprese israeliane e francesi) e 1/3 da comune e governo. La rete tramviaria con ogni probabilità verrà ultimata solo nel 2011, se non interverranno nuovi imprevisti, quindi con due anni di ritardo rispetto alla scadenza annunciata. La società di costruzione sostiene di non avere responsabilità e lancia accuse all’amministrazione comunale e indirettamente allo stesso sindaco Nir Barkat, contrario al progetto e che del blocco dei lavori aveva fatto un suo cavallo di battaglia durante la campagna elettorale per le comunali dello scorso novembre. Barkat, che preferirebbe convertire subito i binari in corsie per autobus «ecologici », secondo alcuni rallenterebbe la concessione di autorizzazioni necessarie per il proseguimento dei lavori. Ma anche il governo uscente, a quanto pare, non ha trasferito alla CityPass 150 milioni di shekel (circa 30 milioni di euro) di risarcimenti. I nemici del progetto sono davvero tanti, non ultimi i rabbini. I lavori, dicono, si svolgono a ridosso di quartieri densamente popolati da ebrei osservanti. E, soprattutto, non prevedono l’impiego di carrozze kosher, ovvero con posti rigidamente separati per uomini e donne Per le gerarchie religiose ebraiche vanno benissimo le linee di autobus esistenti, che tengono conto dell’esigenza dei timorati di non entrare troppo in contatto con i laici e che sono il risultato di un accordo che hanno raggiunto con la cooperativa di trasporti Egged. Lo scorso anno sette importanti rabbini di Gerusalemme avevano inviato un appello alla municipalità per chiedere la sospensione immediata dei lavori della «rete tramviaria del male», perché le linee previste costringono gli ebrei ultraortodossi a dover passare in quartieri laici dove di solito non mettono mai piede. Senza dimenticare il problema della «promiscuità » alle fermate del tram nei rioni popolati da religiosi. Molti sarebbero felici di vedere finalmente sparire le barriere di cemento che, in mezzo a tante strade, delimitano da troppo tempo le aree in cui sono in corso i lavori di costruzione. La CityPass considera questa possibilità una follia se si tiene conto anche dell’avvenuta (costosa) deviazione parziale della rete fognaria e che, tra ritardi e disagi, la «creatura» sta finalmente cominciando a vedere la luce. Sono, peraltro, già state acquistate in Francia 42 vetture (ognuna è costata tremilioni di dollari) blindate ed equipaggiate con vetri speciali in grado di resistere al lancio di sassi e bottiglie incendiarie. Alex Kroskin, ingegnere capo della CityPass, si dice «sconcertato» da tanta ostilità. «Vogliamo solo dotare la città di un sistema di trasporti moderno e al passo con i tempi – afferma – anche in altre città del mondo le costruzioni delle linee tramviarie sono state contestate all’inizio ma poi gli abitanti si sono resi conto delle loro grande utilità». Gerusalemme però non è una città come tante altre. Il suo status è sempre vincolato alla risoluzione 181 del Consiglio di sicurezza dell’Onu che non legittima la sovranità israeliana e viene rispettata ancora con rarissime eccezioni e qualche ambiguità da tutti i paesi, inclusi gli Stati Uniti. Le autorità israeliane invece continuano a decidere da sole quando si tratta di Gerusalemme, incuranti delle leggi internazionali e, soprattutto, delle aspirazioni palestinesi sotto occupazione. Indifferenti verso la delicata situazione di Gerusalemme si sono mostrate anche le imprese francesi Alstom e Connex (filiale di Veolia) che compongono il consorzio Citypass insieme alle israeliane Ashtrom e Polar Investment e alle banche Hapaolim e Leumi. Il presidente dell’Anp protestò con la Francia nel 2005 e poco dopo l’associazione Francia-Palestina, cominciò la sua campagna contro contro il tram, alla quale l’ex ministro degli esteri Philippe Douste- Blazy rispose imbarazzato che la partecipazione di imprese private francesi al progetto «non deve in alcun modo essere interpretato come segno di un cambiamento della linea della Francia su Gerusalemme» che come il resto dell’Unione europea «ha una posizione chiara e costante sul carattere illegale delle attività di colonizzazione nei Territori occupati da Israele nel 1967». Una precisazione che non convinse Nasser Al-Kidwa, a quel tempo ministro degli esteri dell’Anp, che l’anno successivo scrisse una lettera al direttore-generale della francese Alstom Patrick Kron per ricordargli che la sua società non è solo una impresa commerciale e deve tenere conto dei piani di Israele per rendere irreversibile l’occupazione della zona Est della città. D’altronde non ci vuole molto a capire che tenendo presente il costo del biglietto del tram, che si prevede intorno ad un euro e mezzo - proibitivo per gran parte dei palestinesi che usano la loro rete di minibus a basso costo - a salire sul tram nella Gerusalemme araba saranno soprattutto i coloni israeliani e che le linee sono destinate a servire principalmente gli insediamenti ebraici. Non è da escludere inoltre che, di fronte al lancio di sassi contro il tram da parte dei palestinesi, le fermate dei quartieri arabi di Shufat e Beit Hanin vengano eliminate. Non è un caso che ad appoggiare il completamento delle linee siano gli israeliani più nazionalisti, desiderosi di «riunificare» in modo definitivo le due zone di Gerusalemme e che scorgono nel progetto del tram la realizzazione del sogno del padre del Sionismo Theodor Herzl, che in un suo libro del 1902 aveva parlato di una Gerusalemme «con quartieri moderni serviti da treni elettrici».

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