Continua sui quotidiani di oggi la polemica sull'inchiesta a carico dell'esercito israeliano. Le accuse vengono riportate dal MANIFESTO (pag. 10, Michele Giorgio dal titolo " Forsoro bianco su Gaza da Israele ") e persino dal CORRIERE della SERA (a pag. 11, articolo di Viviana Mazza dal titolo " A Gaza si sparava a tutto ciò che si muoveva ") come se fossero comprovate. I risultati dell'inchiesta non ci sono ancora, ma Michele Giorgio e Viviana Mazza lanciano accuse a Tsahal, dando per scontato che l'inchiesta darà loro ragione. A CORRIERE della SERA e MANIFESTO rispondiamo riportando dal FOGLIO di oggi, 26/03/2009, a pag. 2, l'analisi di Giulio Meotti dal titolo " Gioco delle accuse " sull'inchiesta a Tsahal e sulla totale assenza della sua difesa sui media.
Roma. Tre giorni sulla prima pagina di Haaretz, la Bbc che annuncia “uccisioni a sangue freddo a Gaza”, il Los Angeles Times che parla di “esecuzioni”, l’Herald Tribune che apre sull’“uccisione di civili disarmati a Gaza” e l’Independent che lancia a tutta prima pagina: “Gli sporchi segreti di Israele a Gaza”. La lobby dei soldati israeliani “di coscienza” ha ancora un grande potere e anche stavolta è riuscita a mettere nei guai l’esercito e il governo di Gerusalemme. L’avvocatura delle Forze di Difesa israeliane ha aperto un’inchiesta sui racconti di tre soldati che hanno fatto il giro del mondo e che proverebbero i crimini di guerra israeliani. Al di là delle responsabilità individuali, che come è sempre stato in Israele saranno perseguite e giudicate, in molti parlano qui di un’operazione ideologica ad arte. Il danno è già fatto e una nuova ondata di azioni legali è attesa contro Israele. L’offensiva è partita dal militante della sinistra pacifista Dani Zamir, il fondatore del corso Rabin all’Oranim Academic College, istituzione che si dichiara “post-sionista”, dove Israele non è uno “stato ebraico”, ma aperto agli “altri”, binazionale. Cioè la fine di Israele. I giornalisti che hanno diffuso i racconti dei militari sono Ofer Shelach del Canale 10 e Amos Harel di Haaretz, due reporter impegnati a sinistra. Zamir è uno degli autori del celebre “Refusnik, Israel’s Soldiers of Conscience”, il libro redatto da Peretz Kidron, difensori dei militari disertori che in Italia viene tradotto da Manifesto Libri, con prefazione di Susan Sontag. Il saggio si guadagnò l’encomio dell’antisionista Noam Chomsky. La stampa a questi soldati ha subito affibbiato un appellativo eroico, “refusniks”, paragonati ai dissidenti sovietici incarcerati perché ebrei. Lo stesso termine speso per Mordechai Vanunu, che ha tradito Israele svelandone i segreti nucleari e che oggi è una star dell’antimperialismo. Quando i refusniks finiscono in carcere, Amnesty International li riconosce come “prigionieri di coscienza”. Nel 2004 Zamir partecipò a un libro che dipingeva l’esercito israeliano come “immorale”. E nel 1990 fu condannato per essersi rifiutato di proteggere israeliani “di destra” che portavano i rotoli della Torah nella tomba di Giuseppe a Nablus, poi distrutta dalla furia palestinese. Zamir bolla Israele come “regime antidemocratico che porta all’autodistruzione”, “illegittimo, ingiusto e immorale”. Sufficiente per diventare l’idolo dell’opinione pubblica internazionale. E le testimonianze dei soldati sembrano fatte apposta per corroborare le sue tesi. Accuse tutt’altro che provate ma che hanno già ulteriormente contribuito a stabilire l’equivalenza morale fra Israele e i terroristi, fra chi apre inchieste sull’uccisione di innocenti e chi si dedica fin dalla culla all’uccisione premeditata di innocenti. E’ lo stesso Amos Harel a spiegare nel suo libro “The Seventh War” che i refusniks hanno rafforzato Hamas. Il libro contiene interviste a leader islamisti in prigione. Uno di loro dice: “Quando abbiamo sentito della ‘lettera dei piloti’ (i refusniks dell’aviazione, ndr), questo ha rafforzato la nostra idea degli attacchi suicidi”. Le testimonianze che non vi dicono Intanto, sulla stampa israeliana, si pubblicano testimonianze opposte a quelle di Zamir. “Non credo proprio che ci fossero soldati che cercavano di uccidere palestinesi senza ragione”, dice Assaf Danziger, della Brigata Givati, rimasto ferito tre giorni prima della fine delle operazioni. “Quello che è accaduto laggiù non era piacevole per nessuno. Noi desideravamo che finisse il prima possibile, e cercavano di evitare qualunque contatto con civili innocenti”. Spiega Idan Zuaretz, ufficiale della Givati: “Il giorno in cui siamo venuti via da Gaza ho dato ordine ai miei uomini di lasciare tutti i nostri generi di conforto nell’ultima casa che avevamo occupato. Alcuni riservisti hanno persino lasciato una busta con qualche banconota per la famiglia palestinese”. Confessioni che non troveranno spazio sui giornali. Gli stessi che quattro anni fa mitizzarono i 250 liceali israeliani che si erano rifiutati di entrare nell’esercito perché “contrari all’oppressione dei palestinesi”. Ribattezzati i “ragazzi refusnik”. Poche ore più tardi altri liceali scrissero una seconda lettera, per dire che “non esiste al mondo un esercito altrettanto morale di Tsahal” e che “saremo fieri di indossare la divisa per combattere l’atmosfera di demoralizzazione che la sinistra vorrebbe diffondere in Israele”. Ma non arrivò mai sui desk dei quotidiani.
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