Riportiamo dalla STAMPA di oggi, 25/03/2009, l'anticipazione del libro di Arrigo Levi dal titolo " Un paese non basta ", il Mulino, preceduto dalla recensione di Giorgia Greco :
Consigliere dei Presidenti Ciampi e Napolitano, Arrigo Levi è uno dei più validi e competenti esponenti del giornalismo scritto e televisivo italiano, oltre che un apprezzato saggista. Appartenente a una famiglia di origine ebraica nel 1938 si trasferisce in Argentina con i genitori per sfuggire alle persecuzioni fasciste. A Buenos Aires compie gli studi e nel 1943 inizia la sua carriera giornalistica diventando direttore di Italia Libera. Al suo rientro in Italia dopo la guerra ricopre incarichi prestigiosi trasferendosi poi nel 1960 a Mosca e ricoprendo l’incarico di corrispondente prima del Corriere della Sera poi de Il Giorno. Negli anni sessanta e settanta è conduttore del telegiornale Rai, inviato per La Stampa e nel 1988 diviene capo editorialista del Corriere della Sera. Levi ha inoltre legato il suo nome a molte trasmissioni televisive, in gran parte realizzate per la Rai, nelle quali ha trasmesso le sue feconde esperienze di giornalista con equilibrio e obiettività diventando come pochi altri un lucido testimone degli avvenimenti che hanno caratterizzato questo secolo. Insignito di riconoscimenti prestigiosi come il Premio Ischia Internazionale di Giornalismo nel 2001, tra i numerosi saggi pubblicati ricordiamo Rapporto sul Medio Oriente” (Il Mulino), “Yitzhak Rabin. 1210 giorni per la pace (Mondatori), “Cinque discorsi tra due secoli (Il Mulino), “Russia del ‘900: una storia europea (Corbaccio). In questi giorni, a coronamento di una carriera così intensa, Arrigo Levi pubblica un nuovo saggio “Un paese non basta” per le edizioni Il Mulino una sorta di incontro lucido e sereno con le proprie origini, una narrazione nella quale si intrecciano riflessioni e ricordi nei quali rievoca anche il mondo sereno della sua adolescenza trascorsa nella quiete di una famiglia della borghesia ebraica. In questo viaggio nel passato non mancano le disavventure subite a causa dell’avvento del fascismo e delle leggi razziali , la decisione di emigrare in Argentina e il successivo ritorno in Italia. Consapevole e orgoglioso delle sue radici ebraiche Levi non esita a partecipare in qualità di soldato alla creazione dello Stato di Israele, prima dell’ingresso definitivo nel mondo del giornalismo. Ebreo errante di paese in paese in questo saggio straordinario Levi propone intense riflessioni sul totalitarismo, sulla tragedia immane della Shoah regalando al lettore grazie alla sua saggezza e al suo equilibrio pagine preziose che possono a pieno titolo definirsi un’autentica “Lezione di vita” sul Novecento.
Arrigo Levi - " Io soldato d'Israele col virus dei giornali "
Il fatto è che continuo a sentirmi come uno spettatore. Che anche se partecipa vivamente, e capisce o si sforza di capire che cosa succede sulla scena, e arriva a condividere i sentimenti degli attori, rimane però sempre spettatore. Il problema se diventare attore non è per me immediato, debbo aspettare che la guerra finisca. Mi chiedo che cosa farò poi, se chiedere una borsa di studio per l’Università di Gerusalemme, per poi tornare in Italia a finire l’Università a Bologna, o viceversa, o chissà che fare. Intanto ho ricevuto un documento di identità israeliana, che mi darà anche il diritto di votare. Per ora sono, per lo Stato d’Israele, «Arrigo Levi, di cittadinanza italiana, di religione ebraica e di nazione ebraica».
Una definizione un po’ complicata, ma forse dice bene, quello complicato sono io.
E intanto sento che mi circola in corpo il virus del giornalismo, ho l’ansia perenne di scrivere, ai giornali, alle riviste, e quando ho notizia di un articolo pubblicato su Critica Sociale o su Relazioni Internazionali mi sento realizzato (Mi vergogno a dirlo, ma più di mezzo secolo dopo provo ancora gli stessi sentimenti quando leggo un mio articolo sulla Stampa).
Subito dopo il ritorno da Haifa a Bersceva, altra novità: la mia unità, la compagnia di genio numero 2, viene trasferita a Ein Hussub, la «fonte di Hussub», chissà chi era Hussub. Mi appare quello che all’epoca giudico il posto più bello del mondo (non ho ancora visto il Grand Canyon del Colorado, a cui un poco somiglia). Stiamo ad Ein Hussub, un luogo benedetto per le sorgenti abbondanti di acque calde e salate, per tutti i primi venti giorni di dicembre. Facciamo reticolati, campi minati su colline scoscese, e la sera, acceso il fuoco, ascoltiamo, tutti infagottati, mal vestiti, mal lavati con le barbe lunghe, dischi di musica classica da un vecchio grammofono. Oppure balliamo la hora, cantando canzoni ebraiche che alle mie orecchie sembrano molto russe, con le braccia intrecciate, in cerchio, attorno al fuoco. \
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Queste tre o quattro settimane ai confini del mondo lasciano tuttavia un’impronta profonda nella mente, inducono a strani pensieri, mentre guardiamo, oltre l’immensità del Wadi Araba, le lontane montagne della Giordania. Restiamo sempre nella terra di Abramo, e io ne sento la presenza in modo inatteso. Pagine della Genesi, che avevo letto come favole, diventano concrete, racconti fantastici ma di qualcosa che è realmente esistito.
Da Ein Hussub, percorrendo lunghi canyon che fanno tanto film western, siamo arrivati fino al luogo dove sorgeva Sdom, là dove si esaurisce e finisce il Mar Morto. Sodoma, che il Signore Iddio distrusse, ma soltanto dopo una bella lite con Abramo, che gli parla faccia a faccia, in una specie di contrattazione da suk: come potrebbe Lui, il Dio di giustizia, distruggere Sdom se ci fossero cinquanta giusti? E vada per cinquanta. E se ce ne fossero solo quaranta? Vada per quaranta, il Signore Iddio si sente in difficoltà, Abramo gli strappa concessioni sempre più generose, fino a chiudere la trattativa su dieci giusti. Ma alla fine si scopre che c’è in tutta la città un solo giusto, Lot, nipote di Abramo, ed è l’unico che, avvertito dagli angeli del Signore, fa in tempo ad andarsene insieme con la moglie e le figlie. Ma la moglie si voltò indietro e divenne una statua di sale.
In diversi luoghi ti dicono che questa o quella piramide di sale è la moglie troppo curiosa di Lot. Il sale è dappertutto. A Sdom gli strati delle pareti di roccia sono perfettamente verticali, qui c’è stato davvero un evento catastrofico immenso, chiunque l’abbia deciso. A nord c’è il Mar Morto, a sud c’è, oltre i canyon rosati, un’immensa spaccatura della terra, che prosegue fino al Mar Rosso e al di là in una faglia che fende il grande continente africano, chissà fin dove. La vastità dello scenario dà un’idea dell’immensità dei tempi. Gli studiosi dicono, non senza ragione, che non è possibile che sia arrivata fino ad Abramo, questo pastore di greggi che già appartiene alla storia della specie umana che è anche la nostra, la memoria di eventi geologici remotissimi, quando i continenti ancora si stavano formando, staccandosi l’uno dall’altro, e quando sulla faccia della Terra non c’erano sicuramente esseri viventi in alcun modo somiglianti agli uomini; e ipotizzano che ad Abramo sia giunta memoria di un’altra catastrofe molto più recente, la caduta di un asteroide che, in base ad antiche tavolette ritrovate al British Museum, viene datata con gran precisione al gennaio del 3123 avanti Cristo, né un anno di più né uno di meno. Di questo evento sarebbe stata tramandata memoria fino ad Abramo. \
Non so se qualche altra mitologia abbia saputo collegare la natura, con i suoi misteri che soltanto l’uomo contemporaneo sta decifrando, all’uomo e alla società umana attraverso l’idea di un cosiffatto Iddio. Credo di no, non in questa maniera, non collegando l’idea del sovrannaturale all’idea della legge morale. Comunque, è accaduto, proprio in questi luoghi. Mi guardo attorno e penso che la storia degli ebrei, che dico, la storia dell’Occidente e dell’umanità è incominciata qui, o meglio nell’idea che di tutto questo si fece il padre Abramo, guardiano di greggi, guardando questo stesso meraviglioso, incomprensibile, sconfinato scenario e ricordando qualche antica leggenda. Poi l’idea di Dio, di questo straordinario, unico Dio maestro di giustizia, anche se talvolta un po’ troppo irascibile e bizzarro, continuò a camminare con Abramo e i suoi discendenti, per la verità cambiando per via in molti modi, e possiamo seguirne la storia, una lunghissima storia fino ai tempi nostri. La storia di Dio.
Qui, a rimirare quest’immensità di rocce e di sprofondi, sembra di essere i testimoni di come tutto ebbe inizio.
Ma è ora di tornare a fare la guerra, ancora uno sforzo e forse ce la faremo, ormai non ho dubbi che vinceremo noi, e poi sarà la pace e torneremo alle nostre case. È quello che pensano tutti i miei compagni della machleket sadé.
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