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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
24.03.2009 ' La Shoah di Benigni non meritava l'Oscar '
La critica di Simone Veil al film 'La vita è bella' di Benigni

Testata: Corriere della Sera
Data: 24 marzo 2009
Pagina: 45
Autore: Danilo Taino
Titolo: «La Shoah di Benigni non meritava l'Oscar»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 24/03/2009, a pag. 45, l'articolo di Danilo Taino dal titolo " La Shoah di Benigni non meritava l'Oscar " con le dichiarazioni di Simone Veil circa il film "La vita è bella " di Roberto Benigni.

BERLINO — E' una scia lunga, chissà quando finirà, quella che Roberto Benigni ha alzato più di dieci anni fa con La vita è bella. Mettere al cinema l'Olocausto è difficile. Solleva onde, passioni, memorie. E si porta dietro le stroncature. L'ultima, forse la più netta e forse anche la più dolorosa per il film che vinse l'Oscar nel 1999, arriva più di dieci anni dopo. In un'intervista a un quotidiano tedesco, Simone Veil, figura politica e morale europea di primo piano, ha detto che l'opera è «assolutamente scadente», non meritava il Premio.
La signora Veil è un'intellettuale-politica francese di 81 anni che ha attraversato la storia della seconda guerra mondiale e del dopoguerra sempre esposta, nel cuore degli avvenimenti che lo volesse o meno. Una delle prime donne europee a diventare ministro, con Valéry Giscard d'Estaign all'Eliseo, grande sostenitrice dell'introduzione di una legge che consentisse l'aborto in Francia, poi presidente del primo parlamento europeo eletto a suffragio universale nel 1979, accademica di Francia. Soprattutto, internata da ragazzina nel campo nazista di Auschwitz con una parte della famiglia: maniche lunghe, ai polsi, per anni, per tentare almeno di non ricordare in ogni momento il numero 78651.
Alla signora Veil è stato ieri assegnato il premio giornalistico franco-tedesco per il suo contributo alla riconciliazione tra Francia e Germania. Nell'occasione, ha dato un'intervista al quotidiano berlinese Der Tagesspiegel.
A un certo punto dice che qualcuno le ha da poco parlato di La vita è bella, di Benigni. Il giornalista ricorda che si trattava di un film con un padre e un figlio in un campo di concentramento e che il padre cercava di rendere tutto un gioco. Vinse un Oscar, aggiunge. «Sbagliato — reagisce la signora Veil — E' un film assolutamente scadente. La storia non ha alcun senso. Non mi è piaciuto nemmeno
Schindler's List. Queste sono favole cinematografiche. La gente farebbe meglio a guardare
Holocaust, la storia della famiglia di un medico ebreo. Il film è piuttosto americano, ma almeno la storia non è velata».
Non è che Simone Veil sia rigida su tutto ciò che riguarda il ricordo dell'Olocausto. Per esempio, nella stessa intervista sostiene che il Memoriale alla Shoah di Berlino è meraviglioso e il fatto che i ragazzi e le famiglie ci facciano talvolta il pic-nic è «una forma di normalità». Normalità che, evidentemente, non ha invece trovato giustificata nell'interpretazione che Benigni dette della vita nei campi di concentramento.
Il film aveva fatto molto discutere già alla fine degli Anni Novanta, quando uscì nelle sale e poi vinse l'Oscar. Le polemiche tra gli entusiasti — «è un nuovo Chaplin» — e i critici — «è un film mafioso perché nessuno potrà criticarlo» — andarono avanti per molto tempo. Giuliano Ferrara, sul Foglio, fece una campagna contro la beatificazione artistica e ideologica di Benigni e propose forme di boicottaggio. L'artista-scrittore Moni Ovadia elesse Benigni «yiddish onorario». Il regista Steven Spielberg in pubblico ne parlò bene ma, pare, che vedendo il film volesse uscire prima della fine. Tullia Zevi disse che era un'opera piena di buona fede e buone intenzioni ma sperava che non avesse imitatori che edulcorassero la massima tragedia del Novecento.
Parlare di Olocausto al cinema è, in effetti, un rischio oppure, secondo altri, un'operazione commerciale che, dieci anni dopo l'Oscar di Benigni, solleva altre onde. Il recente The Reader,
con Kate Winslet, è per esempio stato giudicato da Ron Rosenbaum, un esperto di nazismo e di Hitler, «il peggior film sull'Olocausto mai realizzato». E una serie di organizzazioni ebraiche in Germania vede nel numero crescente di film sulla Shoah un fenomeno penosamente commerciale. Che non è la critica della signora Veil a Benigni ma è una tendenza che solleva un dubbio: visto che sul tema si vincono premi Oscar, perché non provarci?

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