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L'Opinione Rassegna Stampa
24.03.2009 Sabato scorso corteo a Gaza con un manichino di Gilad Shalit in gabbia
Accompagnato da scritte che inneggiavano al "martirio"

Testata: L'Opinione
Data: 24 marzo 2009
Pagina: 1
Autore: Michael Sfaradi
Titolo: «La Gabbia di Shalit, come Hamas tortura il popolo ebraico»

Riportiamo dall'OPINIONE di oggi, 24/03/2009, l'articolo di Michael Sfaradi dal titolo " La Gabbia di Shalit, come Hamas tortura il popolo ebraico " sulla manifestazione, molto probabilmente organizzata da Hamas, tenutasi sabato scorso a Gaza.

Sabato scorso a Gaza si è tenuta una manifestazione con l’obiettivo di dare una spinta alle trattative per lo scambio di prigionieri fra Hamas ed il governo israeliano.

Visto che nulla accade senza che Hamas abbia dato il suo consenso è lecito credere che la Kermesse sia stata organizzata proprio dall’organizzazione terroristica ad uso e consumo interno.
Le immagini della manifestazione, trasmesse dalla televisione israeliana (ma che in Italia non sono state mandate in onda da nessuno dei canali nazionali) hanno ancora una volta dimostrato che non c’è limite al cinismo arabo.
Apriva il corteo una gabbia dove all’interno era stato sistemato un manichino che indossava una divisa dell’esercito israeliano con, al posto del viso, un primo piano del volto di Gilad Shalit.
Accanto al pupazzo erano stati sistemati dei cartelli in ebraico con scritte che inneggiavano al martirio e davano ad Israele la completa responsabilità del fallimento delle trattative per lo scambio dei prigionieri.
La netta impressione è che, al contrario del motivo ufficiale per cui era stata indetta, la manifestazione abbia avuto come scopo la tortura psicologica nei confronti della popolazione israeliana e della famiglia Shalit in particolare.
Nelle ultime settimane, con l’approssimarsi del 1000º giorno di prigionia del caporale, la sua famiglia si era accampata, in una sorta di veglia, all’interno di una tenda montata davanti alla casa di Ehud Olmert, il primo ministro israeliano uscente ma ancora in carica.
Non è un mistero che la famiglia Shalit dia proprio ad Olmert la responsabilità del destino del proprio caro dato che il rapimento fu effettuato durante il suo mandato.
Noi possiamo soltanto immaginare quali possano essere le paure dentro le quali vive la famiglia Shalit sapendo il proprio caro nelle mani di chi non ha la benché minima idea di quello che è
l’onore per il nemico e la carità umana.
Per i palestinesi è molto facile fare gli “spiritosi” sapendo che i loro detenuti in Israele ricevono visite mediche, hanno avvocati, televisione nelle celle, libertà di pregare e muoversi all’interno della struttura
carceraria e ricevono visite dai funzionari della Croce Rossa con scambio di corrispondenza con le famiglie almeno una volta al mese. Di Gilad Shalit, probabilmente segregato in qualche buca sottoterra, non si
hanno notizie; né del suo stato di salute né della sua esistenza ancora in vita, e la Croce Rossa (che per la verità non si è data molto da fare al fine di convincere Hamas a rispettare le regole del dirit to internazionale) non ha potuto, a tutt’oggi, visitarlo. Questo accade quando una democrazia come quella israeliana, che deve rispettare le regole che la rendono tale, pena la “berlina mediatica internazionale”, deve confrontarsi con un'organizzazione terroristica che non ha rispetto per niente e per nessuno ed alla quale tutto è permesso; anche appellarsi, quando gli conviene, alle convenzioni di Ginevra, le
stesse che non tiene minimamente in considerazione quando si tratta dei diritti altrui.
Nella striscia di Gaza non sono nuovi a pagliacciate di questo tipo e la propaganda dà il meglio di sé. Oltre ai ripetuti falò di bandiere israeliane ed statunitensi ricordiamo il “museo degli attentati”, con le carcasse degli autobus e gli interni dei ristoranti fatti saltare in aria dai terroristi suicidi e i cartoni animati aspiranti kamikaze. Purtroppo, nonostante gli sforzi economici della comunità internazionale al fine di migliorare la qualità della vita della popolazione palestinese ed avvicinarla agli standard occidentali, in quelle zone la civiltà è ancora un lontano miraggio.

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