lunedi` 21 aprile 2025
CHI SIAMO SUGGERIMENTI IMMAGINI RASSEGNA STAMPA RUBRICHE STORIA
I numeri telefonici delle redazioni
dei principali telegiornali italiani.
Stampa articolo
Ingrandisci articolo
Clicca su e-mail per inviare a chi vuoi la pagina che hai appena letto
Caro/a abbonato/a,
CLICCA QUI per vedere
la HOME PAGE

vai alla pagina twitter
CLICCA QUI per vedere il VIDEO

Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



Clicca qui






Corriere della Sera Rassegna Stampa
23.03.2009 Perchè a nessuno interessa Katyn
L'opinione di Pierluigi Battista

Testata: Corriere della Sera
Data: 23 marzo 2009
Pagina: 28
Autore: Pierluigi Battista
Titolo: «Perchè a nessuno interessa Katyn»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/03/2009, a pag. 28, l'articolo di Pierluigi Battista dal titolo " Perchè a nessuno interessa Katyn " sul film di Andrzej Wajda.

Magari fosse solo censura, quella che ha colpito in Italia Andrzej Wajda. E che consolazione sarebbe se la circolazione semiclandestina del film sull'eccidio sovietico di Katyn fosse solo il frutto di una deliberata manovra di oscuramento per non far conoscere al grande pubblico uno dei più disgustosi crimini del comunismo. Purtroppo ha ragione Michele Anselmi che ne ha scritto sul Giornale:
il «censore» è il mercato; il film è stato distribuito in poche copie, ma ha incassato ancor meno, «con una malinconica media a copia di 397 euro». A meno che non si voglia rimediare con una pedagogico trasferimento coatto di spettatori recalcitranti, bisogna concluderne che i distributori, certo ingenerosi, avevano tuttavia previsto lucidamente qualcosa di ben peggiore della censura: le pagine più buie del comunismo, anche se affidate a un grande regista, non emozionano il grande pubblico, non suscitano partecipata indignazione, non accendono le passioni e l'immaginazione delle vaste platee.
È una conclusione amara e sconsolata, ma vera. Il massacro stalinista degli oltre ventimila ufficiali polacchi a Katyn non è quantitativamente il più efferato delle carneficine prodotte dal comunismo ma fu, come ha scritto in pagine memorabili Victor Zaslavsky, il laboratorio di una «pulizia di classe»: lo sterminio, attuato negli anni della fattiva collaborazione tra Hitler e Stalin, di intere categorie soppresse non per qualche eventuale «colpa » soggettivamente commessa, ma perché colpevoli semplicemente di esistere e di rappresentare un «oggettivo » intralcio all'edificazione tragica dell'ordine nuovo.
Risulta forse un fremito risarcitorio nei confronti delle vittime, un sentimento lontanamente paragonabile al turbamento che agiti le coscienze di chi fu idealmente dalla parte dei carnefici, e ne condivise il nome, i simboli, la storia, le finalità ultime? Non risulta. Anzi, di recente l'ex comunista Luciano Violante, dopo aver onestamente confessato il proprio «imbarazzo» durante la proiezione di un documentario sulle foibe attuate da chi si fregiava dello stesso nome, «comunista», del partito in cui ha militato, si è molto offeso quando il Riformista
ha sintetizzato nel titolo con la parola «vergogna» il contenuto dell'articolo. Perché, la «vergogna» non è un termine nobile quando ci si turba per aver condiviso il nome e gli ideali dei carnefici?
A vent'anni dalla caduta del muro di Berlino, del comunismo e delle decine e decine di milioni di vittime di cui è costellato il suo cammino ovunque (sì, ovunque) oppressivo e cruento, non importa granché a nessuno, tranne a chi è ancora capace, come i volonterosi polemisti di Avvenire e di
Tempi, di non smarrire il ricordo di quelle mattanze. Si è imposta, non per ordine censorio ma per spontanea adesione a un luogo comune, l'idea secondo la quale, a comunismo morto, l'anticomunismo non è che ossessione minoritaria di passatisti risentiti e nostalgici della guerra fredda. Immaginate lo scalpore che susciterebbe l'idea secondo la quale, a fascismo morto, anche l'antifascismo fosse una patetica sopravvivenza del passato. Ma sul comunismo, nessuno scalpore. Nel mondo della cultura. Nel dibattito pubblico. Al botteghino in cui l'anticomunismo fa mestamente flop.

Per inviare la propria opinione al Corriere della Sera, cliccare sull'e-mail sottostante


lettere@corriere.it

Condividi sui social network:



Se ritieni questa pagina importante, mandala a tutti i tuoi amici cliccando qui

www.jerusalemonline.com
SCRIVI A IC RISPONDE DEBORAH FAIT