Sui Giochi del Mediterraneo riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 23/03/2009, l'editoriale di Angelo Panebianco dal titolo " Se l'occidente è più debole" e, da pag. 6, l'intervista di Virginia Piccolillo al ministro degli esteri Frattini dal titolo " Gli ultimi Giochi senza gli israeliani " e l'articolo " Era meglio uno strappo come su Durban2 " con le dichiarazioni dei politici italiani favorevoli alla partecipazione di Israele ai Giochi del Mediterraneo. Ecco gli articoli:
Angelo Panebianco - " Se l'occidente è più debole "
Quando la crisi economica sarà superata il mondo ci apparirà assai cambiato. Si modificheranno gli equilibri di potenza fra aree geografiche e fra Stati. E i mutamenti nella distribuzione del potere avranno ripercussioni su tanti aspetti della vita degli abitanti del pianeta. L'esito più probabile è un ridimensionamento, sia pure relativo, del peso politico del mondo occidentale nelle vicende internazionali, una riduzione della sua capacità di imporre i propri valori, le proprie concezioni, le proprie istituzioni.
Una vittima illustre sarà probabilmente quel «regime dei diritti umani» affermatosi, sia pure in modo lento, tortuoso e imperfetto, dopo il 1945, nell'epoca della Pax Americana: un'epoca in cui il primato politico americano traeva, pur con una elaborazione originale, nutrimento e forza dalle influenze di una più antica cultura europea. In anni recenti, dominati da diffusi risentimenti nei confronti degli Stati Uniti, si è spesso dimenticato quanto stretto fosse quel collegamento. Ma tanto la nascita delle Nazioni Unite quando la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948 (gli eventi che hanno dato impulso a tutte le successive iniziative per la promozione dei diritti dell'uomo) non furono frutti del caso ma della visione e della volontà degli Stati Uniti. Roosevelt progettò l'Onu ispirandosi a quella Società delle Nazioni voluta alla fine della prima guerra mondiale da un altro Presidente americano: Woodrow Wilson, portabandiera di un internazionalismo democratico nutrito di utopia che non nascondeva il suo debito verso la migliore cultura liberale europea. A sua volta, la Dichiarazione universale del '48 sarebbe stata impensabile se non fosse stata preceduta e ispirata da documenti che hanno fatto la storia dell'Occidente moderno, dalla Dichiarazione di indipendenza americana alla Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino della Rivoluzione francese.
Il giusnaturalismo cristiano, il costituzionalismo liberale, le rivoluzioni democratiche occidentali sono le vere fonti di quell'insieme, nutritissimo, di norme e istituzioni che dopo il '45, al riparo della potenza americana, si è sviluppato al fine di offrire qualche protezione alle persone contro la tirannia. Cosa resterebbe di quelle norme e di quelle istituzioni nel momento in cui il primato americano venisse meno e, più in generale, ciò che siamo soliti chiamare Occidente vedesse drasticamente ridimensionata la propria capacità di influenza?
L'indebolimento relativo del mondo occidentale, sul piano economico, era già in atto da tempo. Negli ultimi anni si è tanto discusso dello spostamento verso l'Asia del potere economico mondiale. L'incertezza riguardava solo i tempi. La crisi potrebbe accelerare il processo.
Gli indizi non mancano. Da un lato, la comunità euro- atlantica vive un momento assai difficile, esemplificato dalle divergenze fra l'Amministrazione americana e i principali governi europei su diagnosi e terapie per affrontare la crisi economica. Al G20 di Aprile, probabilmente, un qualche compromesso verrà trovato (per tenere buoni i mercati) ma la divisione c'è e l'America non dispone di risorse di leadership tali da poter imporre agli europei le proprie soluzioni. Per giunta, gli europei stessi sono divisi: alcuni cercano, all'interno di una formale unità di intenti (come ha osservato André Glucksmann sul Corriere di ieri), di trovare da soli la via alla salvezza.
Dall'altro lato, sembra chiaro che se la crisi verrà superata moltissimo si dovrà al cosiddetto G2, alla capacità di Stati Uniti e Cina di coordinare fra loro le misure anticrisi.
Superata la crisi, potremmo trovarci con un'America almeno in parte politicamente ridimensionata, un'Europa ulteriormente indebolita e forse anche più divisa, e una grande potenza autoritaria ormai detentrice della
co-partnership nel governo degli affari mondiali.
Che accadrebbe ai diritti umani? Con una Cina autoritaria che uscisse rafforzata dalla crisi o anche con una Russia semi-autoritaria che consolidasse ulteriormente la sua capacità di ricatto energetico nei confronti dell'Europa, crescerebbe il tasso di ipocrisia a cui dovremo adattarci: Tibet, quale Tibet?
Omicidi di Stato in Russia? Ma quando mai?
Peraltro, abbiamo già prove abbondanti di cosa succede alle istituzioni dei diritti umani quando l'egemonia occidentale si indebolisce. È un po' ciò che accade a una democrazia quando al suo interno agisce un partito totalitario: esso usa le libertà democratiche per scavare la fossa alla democrazia. Le istituzioni dei diritti umani cambiano segno se l'Occidente ripiega. Accadde alla Conferenza Onu contro il razzismo di Durban del 2001, trasformata in una manifestazione di razzismo antisemita da tirannie islamiche e africane. Sarebbe successo di nuovo nella prossima Conferenza sul razzismo di Ginevra se la reazione americana prima e italiana poi non avessero spinto anche i più riluttanti fra i Paesi europei a imporre cambiamenti radicali del testo che la Conferenza sarà chiamata ad approvare. Per inciso, c'è un altro caso, che ci riguarda da vicino, in cui l'azione dei nemici dei diritti umani si manifesta: quei Giochi del Mediterraneo che si terranno a Pescara fra un paio di mesi e dai quali i fautori arabi della distruzione di Israele ne hanno ottenuto l'esclusione. Il ministro degli esteri Frattini, che ha avuto grandi meriti nell'azione per impedire una Durban 2, sostiene, con rammarico, che non è più possibile fermare la macchina dei giochi. Forse non è più possibile ma sarebbe stato necessario muoversi per tempo. Una luce assai sinistra illuminerà quei giochi dal primo giorno all'ultimo.
Contro la convinzione di chi pensa che la storia proceda in modo inesorabile, non c'è ragione per credere che i diritti umani siano destinati ad affermarsi sempre più. Ci sono invece ragioni per credere il contrario. Figli della cultura occidentale, i diritti umani, come la democrazia politica, sono legati al destino dell'Occidente, ne seguono e ne seguiranno la parabola.
Virginia Piccolillo - " Gli ultimi Giochi senza Israele "
ROMA - «Quelli di Pescara saranno gli ultimi Giochi del Mediterraneo senza la nazionale israeliana. E, aggiungo, senza quella palestinese ». Né strappo, né tutto come prima. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha escogitato una strategia diversa. Capace, a suo giudizio, non solo di eliminare questa situazione «paradossale». Ma anche di fare da «apripista a una road-map della pace nel Medioriente».
Progetto senza dubbio ambizioso. Come pensa di riuscirci?
«Promuovendo un incontro pubblico ufficiale, durante la cerimonia inaugurale dei Giochi del Mediterraneo, nel quale il presidente del Comitato olimpico israeliano e quello del Comitato olimpico palestinese si dicano pronti a partecipare assieme alla prossima edizione ».
Ma il problema non era l'esclusione, piuttosto che la mancata volontà di intervenire ai Giochi?
«Certo. Ma questo è un problema che non riusciamo a risolvere dall'alto. Dobbiamo trovare una soluzione che venga dalla base. Dagli atleti e dalle federazioni che dicano: siamo pronti a competere sul terreno sportivo invece che con le mitragliatrici».
E cosa otterrebbero?
«Che la logica delle armi cederebbe il passo alla logica della sport, che è la logica della pace e dell'inclusione».
E a quel punto?
«A quel punto l'Italia dirà sì. E voglio vedere chi dirà no».
I Paesi arabi l'hanno detto finora a Israele. E Israele lo ha detto alla Palestina. Perché dovrebbero cambiare idea?
«Di fronte alle due delegazioni sportive che si presentano assieme metteremo con le spalle al muro la politica dei veti incrociati».
Ha già avuto modo di sondare se è un'ipotesi concreta o troppo ottimistica?
«Oggi stesso vedrò il commissario straordinario dei Giochi del Mediterraneo, Mario Pescante, e lo inviterò a promuovere questo incontro tra le due delegazioni all'inaugurazione per l'annuncio».
I radicali e quanti sabato hanno manifestato per includere Israele nei Giochi non speravano in un cambio di passo da un governo dichiaratamente amico di quel Paese?
«Noi siamo il Paese europeo più amico di Israele. E siamo anche quello che ha fatto il piano Marshall per la Palestina. Per questo non vogliamo perdere questa occasione per fare avvicinare i due popoli su un terreno di pace».
C'è chi fa differenza tra Israele che già è uno Stato e la Palestina che non lo è ancora. Lei?
«Non me ne importa niente. La Palestina deve diventare uno Stato. Credo che Israele abbia compreso che non ci sarà sicurezza senza uno Stato palestinese indipendente. I due Stati ancora non ci sono. I due popoli sì e noi qui li invitiamo a venire insieme a confrontarsi senza armi. E credo che questo possa fare da acceleratore per la pace».
Una soluzione regolamentare è fallita o non era percorribile?
«Non ci può essere. I Giochi del Mediterraneo, come tutte le manifestazioni sportive, hanno un regolamento deciso dal Cio che prevede per i nuovi ingressi una maggioranza dei due terzi. Israele non l'ha avuta nel passato e non l'avrebbe ora».
Nel Pdl c'era chi, come Fiamma Nirenstein, auspicava uno strappo del governo analogo al ritiro dalla conferenza dell'Onu di Durban sul razzismo. Perché non c'è stato?
«Perché Durban era un negoziato politico. Non possiamo mettere lo sport sotto il controllo politico. E stabilire il principio che quando c'è un problema lo risolvono i ministri degli esteri. Diverso è se gli atleti dicono, ai colleghi e non ai governi, eccoci. Siamo pronti a gareggiare ».
Cicchitto definisce inaccettabile il no a Israele. E un'aggravante quello alla Palestina.
«È inaccettabile. Ma dobbiamo prendere atto che qualunque pressione politica si deve fermare di fronte al voto segreto nel quale Israele riceverebbe un altro no».
Su Facebook, sostenitori di Israele chiedevano il boicottaggio da parte dei Paesi non arabi.
«Ci fu il boicottaggio delle Olimpiadi di Mosca negli anni 80, ma, al pari dell'esclusione di Israele dai Giochi del Mediterraneo, trovo che sia un caso limite. Della pace, così come dei diritti umani, si discute nelle sessioni politiche, non sui campi da gioco o nelle piscine».
Virginia Piccolillo " Era meglio uno strappo come su Durban2 "
ROMA — Solite squadre, soliti esclusi.
Non ce l'hanno fatta i radicali, né i manifestanti che sabato scorso hanno protestato a Pescara. I Giochi del Mediterraneo che si terranno dal 26 giugno al 5 luglio in Abruzzo non vedranno competere atleti israeliani. Il veto dei Paesi arabi non è stato rimosso. E serpeggia la delusione tra chi, come i radicali Perduca e Bernardini, auspicavano un «atteggiamento diverso del governo».
«Aveva fatto un'azione così dura a Durban2, speravamo la ripetesse», si rammarica la Bernardini. «Il ministro Frattini — aggiunge Perduca — un tentativo con i Paesi arabi di riconsiderare il veto a Israele potrebbe farlo, visto che alle Olimpiadi cinesi diceva che lo sport va oltre la politica». Un veto da rimuovere anche per la Palestina?
«Sì. Sì. Anche se non è uno Stato». Il pdl Cicchitto tuona: «È inaccettabile che non venga ammessa Israele ai Giochi del Mediterraneo. Né sana la situazione, anzi la aggrava, che sono esclusi anche i palestinesi». Il pd Fiano sta preparando una lettera al governo: «È di una gravità inaudita che un Paese venga escluso dai Giochi. Se il governo avesse come a Durban2 annunciato il ritiro degli atleti avremmo avuto l'attenzione e forse l'appoggio dell'Europa. E sentire in questi giorni di questa esclusione mentre Obama dice all'Iran "parliamoci" è un po' inquietante».
Manuela Di Centa, ex campionessa olimpica e deputata pdl, è anche membro del Comitato olimpico internazionale. «Certo ci sono i regolamenti. Ma la cosa più bella e più forte dello sport è far partecipare tutti.
Lo sport facilita il dialogo. Confido nel commissario straordinario Pescante, ma trovo che sarebbe molto bello se riuscissimo a far partecipare Israele. La Palestina non è ancora uno Stato e non è lo sport a decidere quali sono gli stati. Ma vorrei dare a tutti gli atleti la possibilità di confrontarsi sul campo. È lo scontro più duro. E non prevede armi. Facciamo un ultimo sforzo».
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