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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
21.03.2009 Fareed Zakaria fedele alla dottrina della resa incondizionata dell'occidente al fondamentalismo
Entusiasta per la nuova politica estera americana

Testata: Corriere della Sera
Data: 21 marzo 2009
Pagina: 42
Autore: Fareed Zakaria
Titolo: «Se Obama spaventa i profeti dell'arroganza»

Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 21/03/2009, a pag. 42, l'articolo di Fareed Zakaria dal titolo " Se Obama spaventa i profeti dell'arroganza ".

Zakaria, entusiasta dell'apertura di Obama all'Iran, critica l'amministrazione Bush per la sua politica estera scrivendo " Il problema della politica estera americana va ben al di là di George Bush e comprende tutta la classe politica di Washington, tanto avvezza all'esercizio dell'egemonia americana che ogni compromesso appare un tradimento e ogni negoziato un cedimento. Gli altri paesi non possono vantare interessi legittimi propri e le richieste russe sono per definizione inaccettabili. L'unico sistema per trattare con tali paesi è quello di emettere una serie di condizioni massimaliste. Ma questa non è politica estera, è politica imperiale. E non ha nessuna possibilità di funzionare nel mondo di oggi.". Zakaria, insomma, non tradisce la sua teoria secondo la quale il modo migliore di rapportarsi col fondamentalismo islamico sia la resa incondizionata (si veda il suo articolo "Come convivere con l'islam radicale", commentato da Informazione Corretta cliccando sul link http://www.informazionecorretta.com/main.php?mediaId=2&sez=110&id=28427 ). Noi, invece, per fare un esempio che riguarda il caso specifico iraniano, riteniamo che il programma nucleare dell'Iran non sia un "compromesso" da accettare, ma un serio pericolo da affrontare. I negoziati sono un'ottima cosa, ma solo se vi si impegnano entrambe  le parti. Obama ha iniziato una politica di apertura verso l'Iran, ma essa non può essere unilaterale e non ci sembra che dall'Iran stiano arrivando segnali positivi (il programma nucleare continua, la repressione degli oppositori al regime anche).  
Ecco l'articolo:

Alla conclusione del suo mandato, in politica estera George W. Bush poteva contare su ben pochi difensori. Persino i commentatori più conformisti concordavano quasi all'unanimità che gli anni di Bush erano stati caratterizzati da arroganza e incompetenza. «Il difetto principale del presidente Bush è stato quello di vedere in bianco e nero le molte aree grigie della sicurezza nazionale e degli affari internazionali», secondo un editoriale del Washington Post. Persino Richard Perle, il guru dei neocon, ha ammesso di recente che «Bush non è mai riuscito a far decollare una politica efficace né nella difesa, né nei rapporti con l'estero». Si sperava che il presidente Obama avrebbe abbandonato le posizioni ideologiche più rigide del suo predecessore. Ma, ammoniva il Washington Post, «non sarà facile disfare quanto è stato messo in piedi da Bush ».
In realtà, benché impegnata soprattutto con la crisi economica nei suoi primi 50 giorni di governo, l'amministrazione Obama è riuscita a mettere a segno importanti successi in politica estera. Obama ha annunciato la chiusura di Guantánamo e decretato la fine di qualsiasi avallo ufficiale della tortura. Nella sua prima intervista a una rete televisiva araba, in veste di presidente, Obama ha ribadito che il mondo musulmano va trattato con rispetto, affermazione premiata dai commenti entusiasti di giornalisti e politici arabi, solitamente ostili agli Stati Uniti.
Hillary Clinton, dal canto suo, ha fatto più strada nelle poche settimane in carica rispetto a molti dei suoi predecessori dopo mesi al ministero degli Esteri, e ai gesti simbolici di apertura e disponibilità sono seguiti colloqui concreti. Il governo ha mostrato la volontà di aprire negoziati con regimi difficili, come la Siria. La Clinton ha affermato pubblicamente che gli Stati Uniti sono pronti a lavorare con la Cina per risolvere la crisi economica e i problemi legati all'ambiente e all'energia, malgrado le divergenze sui diritti umani. Ha inoltre fatto balenare la prospettiva di un rapporto più costruttivo con la Russia. Obama si dichiara disposto a trattare con alcuni elementi dei talebani, nel tentativo di isolare il nocciolo duro dei jihadisti.
Sono passi piccoli, passi iniziali, ma vanno tutti nella direzione giusta e meriterebbero un elogio unanime. Ma no, l' establishment di Washington appare impaurito e assillato da mille ansie davanti alla nuova linea politica del governo. La reazione dei conservatori è apparsa quasi comica nella sua foga. A sole due settimane dal giuramento di Obama, Charles Krauthammer ha messo insieme un fascio di azioni e dichiarazioni russe — molte delle quali risalenti ad anni addietro — per classificarle tutte come «provocazioni spudorate» e poi accusare il presidente di non aver fatto nulla per controbatterle. La «diplomazia in ginocchio» di Obama, tuonava Krauthammer, ha messo in moto una reazione a catena che ha provocato catastrofi da un punto all'altro del globo. Il governo pakistano, per esempio, avendo avvertito chiaramente la debolezza di Washington, «ha capitolato davanti ai talebani» nella valle di Swat. Ovviamente Krauthammer non aveva avuto sentore dei molti accordi siglati dal Pakistan con i talebani nel corso degli ultimi tre anni - — vale a dire sotto il mandato di Bush — accordi elaborati in tutta fretta, a condizioni sfavorevoli e con risultati ancora peggiori.
Molti analisti, di solito intelligenti, si sono uniti al coro di preoccupazioni. Leslie Gelb, autrice di un libro acuto e intrigante, Le regole del potere, dichiara che i commenti di Hillary sulla situazione dei diritti umani in Cina erano corretti, ma è stato un errore esternarli in pubblico. Peter Bergen della Cnn afferma che «negoziare oggi con i talebani rischia di destabilizzare ulteriormente l'Afghanistan ». «Si cambia tattica, tanto per cambiare», scrive la Gelb, con qualche rimpianto. Che dire? Magari ci fossimo tenuti le strategie di Bush, che stavano funzionando così bene!
Consideriamo la mossa iniziale con la Russia. La classe politica di Washington è concorde nel ritenere che il programma nucleare dell'Iran rappresenta la massima sfida per la nuova amministrazione. Molti dubitavano che Obama avrebbe preso sul serio la questione, ma lo ha fatto, chiedendo sanzioni più efficaci, aprendo a sorpresa ai dirigenti iraniani con il videomessaggio di ieri e nel frattempo avviando il dialogo con la Russia. L'unica potenza esterna che possa vantare qualche influenza reale su Teheran è appunto la Russia, che sta costruendo il reattore nucleare iraniano e lo rifornisce di uranio. Appare pertanto utile saggiare la possibilità che Mosca faccia pressione sugli iraniani, voi che ne dite?
Sbagliato. Il Washington Post ha reagito insinuando che Obama potrebbe arrendersi al potere russo. Il suo errore è stato quello di accennare, in una lettera al presidente russo, che se Mosca si attiverà per scoraggiare attacchi missilistici da Teheran, gli Stati Uniti non si sentiranno costretti a installare i loro sistemi difensivi in Polonia e nella Repubblica Ceca — ideati appunto per fare da scudo ai missili iraniani. Il ragionamento è di una logica elementare. A mio avviso, mi pare inoltre un ottimo baratto, dato che in questo momento la tecnologia di uno scudo missilistico contro l'Iran è tuttora, nelle parole di un esperto citato da Gideon Rachman del Financial Times,
«un sistema che non può funzionare, contro una minaccia che non esiste, e finanziato con i soldi che non abbiamo ».
Il problema della politica estera americana va ben al di là di George Bush e comprende tutta la classe politica di Washington, tanto avvezza all'esercizio dell'egemonia americana che ogni compromesso appare un tradimento e ogni negoziato un cedimento. Gli altri paesi non possono vantare interessi legittimi propri e le richieste russe sono per definizione inaccettabili. L'unico sistema per trattare con tali paesi è quello di emettere una serie di condizioni massimaliste. Ma questa non è politica estera, è politica imperiale. E non ha nessuna possibilità di funzionare nel mondo di oggi.

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