Riportiamo dall'ESPRESSO n°11 del 13/03/2009, a pag. 82, due articoli di Gianni Perrelli. Il primo, " Partita finale a Teheran ", il secondo, " Sempre al fianco di Hamas ". Ecco gli articoli, preceduti dalla nostra critica:
Gianni Perrelli - " Partita finale a Teheran "
Dopo aver descritto la vera situazione dell'Iran, con l'inflazione altissima, con un tasso si disoccupazione molto elevato e la repressione degli studenti contrari al regime di Ahmadinejad, Perrelli scrive : " Nonostante la paranoia del complotto imperialista, la modernizzazione avanza.
L'antisionismo delle autorità non impedisce che la comunità ebraica (25 mila
persone, la più grande del Medio Oriente fuori da Israele) venga lasciata in
pace. Perrelli lascia capire che la comunità ebraica iraniana sia composta da 25.ooo persone e basta. Mentre non scrive che negli ultimi vent'anni almeno 50.000 se ne sono andati via. In più, se questa è davvero la più grande comunità ebraica del Medio Oriente, non lo è per merito delle condizioni di vita attuali. Non comprendiamo dove vuole arrivare Perrelli. Ciò che conta è che le libertà dell'individuo sono limitate, non che qualcuno riesca a sfuggire ai controlli!
Ecco l'articolo:
I giovani pittori che espongono le tele nel parco centrale di Teheran evitano
di cimentarsi su temi politici. Tutt'al più mettono il talento al servizio
dell'unico argomento che sotto la coltre del nazionalismo unifica l'Iran: il
diritto al nucleare. "Bomba o non bomba", sbotta una studentessa di belle arti
che preferisce omettere il nome dopo le recenti retate contro i leader delle
proteste universitarie, "non si capisce perché debba essere negato a noi ciò
che è concesso a Israele, India e Pakistan". Ma nelle chiacchiere che si
intrecciano nei campus universitari o al bazar, il soggetto dominante è
Mohammad Khatami, il riformista che accese, ma anche vanificò, le speranze di apertura tra il 1997 e il 2005 e che ha deciso di ricandidarsi per le
presidenziali del 12 giugno. Non c'è canale televisivo né giornale che lo
appoggi. Il suo potere mediatico è concentrato sul Web, ma anche i siti che lo
sostengono vengono periodicamente boicottati. O sul passaparola fra gli
intellettuali e le giovani generazioni delle metropoli che votarono in massa
per lui (22 milioni contro i 17 dell'attuale presidente Mahmoud Ahmadinejad) e
concederebbero alla 'colomba dalle ali spezzate' una seconda chance. Quel poco
che riuscì a smuovere in una società ingessata dalle rigide gabbie della
teocrazia sciita è ritenuto una buona base di partenza per alimentare le
speranze di un cambiamento.
Nella rosa degli sfidanti del falco Mahmoud Ahmadinejad, Khatami è il più
accreditato. "Potrebbe dialogare con Barack Obama", dice la guida turistica
Mohammad Khorasani, "anche se il nuovo presidente americano appare ancora
timido nelle aperture". Per esperienza è adatto a dischiudere una fase di
distensione Mehdi Karroubi, ex presidente del Parlamento sostenuto dall'anziano
ayatollah Akbar Hashemi Rafsanjani (punto di riferimento delle élite
economiche, con grande influenza sulle istituzioni), che sta tentando di darsi
un profilo riformista. O Mohammed Baqer Qalibaf, sindaco di Teheran ed ex
comandante dei pasdaran (i guardiani della rivoluzione) e Alì Larijani, il
presidente del Parlamento, che piacciono ai circoli occidentali, ma non
sembrano avere lo spessore politico per rappresentare un'efficace alternativa
al populismo di Ahmadinejad. Gli sfidanti belano e Ahmadinejad tuona. Il
presidente alza i toni per attenuare gli effetti dei fallimenti economici che
rischiano di erodere la base di consenso. La sua immagine resta forte nelle
campagne e fra i ceti urbani più disagiati conquistati alla causa dell'Islam
duro e puro con un attento dosaggio di sussidi. Ma il crollo del prezzo del
petrolio, la risorsa su cui ruota l'intera economia nazionale, ha prodotto una
inevitabile fase di restrizioni. Rompendo l'incantesimo che quattro anni fa
legava il popolo all'impetuoso e spartano ingegnere dalle giacche striminzite
che, per eccesso di propaganda anti-israeliana e anti-americana, ha rotto quasi tutti i ponti con l'Occidente. Ahmadinejad, nei primi cauti sondaggi filtrati
dagli organi di regime, rimane però ancor oggi il favorito. "Lo rimarrà",
osserva Mehdi Armadi, imprenditore edile, "a meno che gli Stati Uniti non
cessino le loro aggressioni, la smettano di trattarci da appestati".
Per gli osservatori politici che cercano di decifrare gli equilibri dalle
sfumature, anche Ahmadinejad si appresterebbe a smorzare i decibel, lasciando lo stipite socchiuso alla mano tesa da Obama. Nella conferenza di Teheran sulla Palestina ha sì inveito con l'abituale enfasi retorica contro l'Occidente e "la grande bugia dell'Olocausto costruita per creare lo Stato di Israele". Ma il suo intervento è apparso meno duro di quello della massima autorità dello Stato, la Guida Suprema Sayyed Alì Khamenei, che non ha esitato a definire lo Stato ebraico un "tumore canceroso" e ha messo Obama sullo stesso piano di George Bush. "È una sorpresa relativa", commenta un politologo che pure si trincera dietro l'anonimato: "L'ayatollah Khamenei mantiene un profilo più alto e più spirituale perché la sua è una carica a vita. È il capo dello Stato con potere di veto su tutto. Non deve preoccuparsi dei risvolti elettorali. In questo momento sente il dovere di ribadire la supremazia del clero sul presidente per la prima volta laico". Ahmadinejad ha invece, problemi di
rielezione. Obama, per bocca di Hillary Clinton, ha risposto a brutto muso alle
invettive, inducendo anche il nostro ministro degli Esteri Franco Frattini ad
annullare l'annunciata visita a Teheran. Ma il giorno successivo - la carota
dopo il bastone - ha invitato la leadership iraniana alla conferenza
sull'Afghanistan. Il dialogo, insomma, resta aperto. E Ahmadinejad ne ha tutto
l'interesse. L'allentamento delle sanzioni favorirebbe con il rilancio
dell'economia il recupero dei voti forse in uscita. La priorità resta la
crescita, frenata proprio nel trentennale della rivoluzione khomeinista, dalla
fuga dei capitali e dalle enormi spese militari (5 miliardi di dollari l'anno
per un esercito di quasi 500 mila soldati). La teocrazia non sa più come
fronteggiare l'inflazione (28 per cento) e la disoccupazione (26 per cento) che
colpisce i giovani (oltre 40 dei 70 milioni di iraniani ha meno di 30 anni), in
bilico fra precarietà e piani di emigrazione. "Alla crisi mondiale stiamo
resistendo meglio di altri paesi", minimizza in un colloquio privato concesso a
'L'espresso', l'hojatoleslam Alì Akbar Mohtashami, fra i fondatori nel '79
della Repubblica Islamica dopo essere stato discepolo dell'ayatollah Ruollah
Khomeini nell'esilio iracheno di Najaf. Nonostante una reputazione da falco,
oggi in Parlamento fa da ago della bilancia fra conservatori e riformisti, con
pubbliche aperture di credito sia per Khatami che per Karroubi.
"L'economia iraniana", sottolinea il leader religioso, "è svincolata da
quella internazionale. Anche perché abbiamo provveduto per tempo a ritirare i
capitali dagli Stati Uniti e dall'Europa. Ma, pur non essendo in emergenza, ci
aspettano pesanti sfide. E abbiamo bisogno che alle elezioni prevalga un leader di grande popolarità, sostenuto dal consenso indispensabile per poterci
difendere anche dall'ostilità dell'imperialismo. Perché è vero che Obama ha
promesso sensibili cambiamenti, ma durante la terribile aggressione israeliana contro i palestinesi di Gaza non ha mai fatto sentire la sua voce. Ho la sensazione che voglia inseguire anche lui i vecchi schemi anche se con una
tattica diversa, ma altrettanto pericolosa. È meno subdolo e infido chi per
tagliarti la testa si presenta con la spada in pugno, di chi ti sorride ma
intanto progetta di recidertela con un filo di cotone nascosto nella tasca.
Contro chi cerca di ingannarti, hai meno possibilità di proteggerti.
All'Europa, che segue quasi sempre le direttive di Washington, mi permetto di
dare, invece, un suggerimento: quello di essere più neutrale, di non legarsi
così strettamente ai destini degli Stati Uniti che pensano solo ai loro
interessi, mai a quelli degli altri".
L'obiezione è che la rapida corsa verso il nucleare nelle centrali di Bushehr
e di Natanz (secondo alcuni esperti americani Teheran avrebbe già il potenziale
per costruirsi un'atomica grezza) e le continue minacce della leadership
iraniana di cancellare Israele dalla faccia del pianeta, non possono che
mettere in guardia l'Occidente.
"Il nostro nucleare", ribatte Mohtashami, "è un passo scientifico
straordinario, che sarà impiegato a uso civile solo al servizio del popolo e
che per questo è difeso da tutti i cittadini. Abbiamo sempre rispettato i
parametri fissati dall'Aiea (l'agenzia atomica internazionale). E siamo
francamente sorpresi per le paure dell'Occidente. Come si spiega che Israele,
da anni potenza atomica che non ha aderito al Trattato di non proliferazione
nucleare, non suscita alcuna apprensione mentre l'Iran che lo ha firmato e sta
ancora sperimentando per soddisfare il fabbisogno di energia elettrica
rappresenterebbe una minaccia?".
Nonostante la paranoia del complotto imperialista, la modernizzazione avanza.
L'antisionismo delle autorità non impedisce che la comunità ebraica (25 mila
persone, la più grande del Medio Oriente fuori da Israele) venga lasciata in
pace. E dove le chiusure dei mullah vengano eluse dai borghesi delle grandi
città: non possono acquistare i dvd occidentali, ma se li procurano al mercato
clandestino. Non hanno l'autorizzazione a bere alcolici o a scambiare effusioni
amorose per strada, ma alle feste private scorrono fiumi di bevande al bando e
le ragazze si liberano di tuniche e chador sfoggiando i capi sexy. Ma
soprattutto, indistintamente tutti, sfogano il bisogno di aprirsi al mondo
tramite i gli sms e Internet (il farsi è la terza lingua più diffusa del Web)
censurato solo sui temi politici più scabrosi.
Gianni Perrelli - " Sempre al fianco di Hamas "
In questo articolo Perrelli dà credito al fatto che in Iran possa svolgersi un referendum in condizioni credibili. Il che non è assolutamente possibile.
Ecco l'articolo:
Gli ayatollah usano il movimento fondamentalista per essere decisivi nella
regione
Il più omaggiato della conferenza di Teheran sul martirio palestinese nella
guerra di Gaza è stato Oussama Hamdan, il portavoce di Hamas che vive
a Beirut. Uno dei meno riveriti fra i leader palestinesi è stato Farouk
Kaddumi, alto grado dell'Olp ed ex vicepresidente ai tempi di Yasser Arafat. Applausi molto più calorosi hanno accolto gli interventi in favore dei diritti femminili dell'ex pasionaria ed ex combattente Laila Khaled. E perfino quelli dei rabbini dissidenti della Nkusa Org, un gruppo che ha base a Londra e si batte per dimostrare che il giudaismo non ha niente a che vedere con il sionismo.
Il governo iraniano, grande sponsor di Hamas, perora la causa della Palestina
con un occhio di riguardo per la fazione dura che si oppone al riconoscimento
di Israele. Sia l'ayatollah Sayyed Alì Khamenei che
il presidente Mahmoud Ahmadinejad, hanno invocato la punizione internazionale
degli "autori del massacro di Gaza". Il secondo ha in più richiesto che il
conflitto in Medio Oriente venga risolto attraverso un referendum in cui
ciascun membro della comunità musulmana, ebrea o cristiana possa liberamente esprimere le proprie preferenze sullo Stato in cui vivere. Una consultazione
che, visto il trend demografico assai sbilanciato, sfavorirebbe nettamente
Israele. Abu Mazen, leader di Al Fatah
e presidente in uscita dell'Autorità nazionale palestinese, considera la
mossa un'indebita invasione di campo proprio nel momento in cui sta cercando di ricucire con Hamas e in vista delle elezioni si prospetta la possibilità di
un'intesa. Ma al momento è impossibile che Hamas recida il rapporto
privilegiato con Teheran che fornisce armi e finanziamenti
e che con la tutela della fazione che governa a Gaza accentua il suo ruolo di
potenza regionale mantenendo una voce in capitolo anche nel conflitto
mediorientale.
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