Gli sarebbe stato proibito di andare in Europa il 6 marzo scorso e si trattava della settima volta dopo la detenzione del 2007. La Tunisia comunque, se è vero che è un regime, è altrettanto vero che è molto ma molto moderato, senza gravi problemi di fanatismo islamico.
Malcom Smart, direttore del Programma Medio Oriente e Nord Africa di Amnesty International, a tale proposito ha dichiarato che "in quest’area coloro che lottano per i diritti umani e protestano contro gli abusi di potere delle autorità governative corrono grandi rischi".
Smart sostiene che " i governi dovrebbero appoggiare chi lotta per la tutela dei diritti umani. Invece queste persone vengono spesso viste come ribelli e sovversivi e si fa di tutto per impedire la loro attività. Molti attivisti si trovano in carcere solamente per avere esercitato pacificamente la libertà di parola".
Le leggi secondo "Amnesty" vengono spesso strumentalizzate per censurare i difensori dei diritti umani. Le loro parole vengono etichettate come "insulti", "diffamazioni", "calunnie" e "propagande contro lo stato". In questo tipo di mistificazione l’Iran è al primo posto, sostiene "Amnesty".
Al Cairo alcuni difensori dei diritti umani sono stati incarcerati per lunghi periodi. Il più famoso di loro è Musaad Abu Fagr, che si batte per la tutela dei diritti dei beduini del Sinai, e che è stato arrestato nel 2007.
Se dall’Africa si passa a esaminare il Medio Oriente la situazione è anche peggiore. Negli Emirati Arabi le leggi promulgate per la lotta al terrorismo penalizzano anche chi manifesta pacificamente le proprie idee, perché si reputa che metta a repentaglio l’ordine e la sicurezza della collettività.
Chi rischia di più sono i giornalisti, che vedono continuamente violata la libertà di stampa e più in generale la libertà di espressione. Anche gli avvocati subiscono persecuzioni. Le donne che lottano per la difesa dei propri diritti sono un’altra categoria a rischio.
In Siria, ad esempio, l’avvocato e attivista per i diritti umani Anwar al-Bunni sta scontando una pena di cinque anni per aver sostenuto in un’intervista rilasciata ad un giornale nel 2006 che la morte di Muhammad Shaher Haysa era stata causata dalle torture durante un interrogatorio della polizia.
A tale proposito risulta illusoria e un po’ consolatoria la frase di speranza con cui Malcom Smart ha accompagnato la presentazione del rapporto in questione: "È arrivato il momento per i governi di questi paesi di riconoscere l’enorme contributo dei difensori dei diritti umani e di sostenere il loro lavoro. Le persecuzioni devono finire ed è necessario rimuovere gli ostacoli legislativi che impediscono agli attivisti di lottare".
Si, peccato che parliamo di regimi dittatoriali del terzo mondo , alcuni dei quali dominati di fatto o di diritto dall’oppressione del fondamentalismo islamico. Caro Smart, non fai onore al tuo cognome. Scendi dal pero e ne riparliamo.
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