Antisemitismo : il più sensibile termometro dell’intolleranza diffusa nella società L'analisi di Giorgio Israel
Testata: Il Foglio Data: 11 marzo 2009 Pagina: 2 Autore: Giorgio Israel Titolo: «Perchè le aperture all’Iran sono un altro passo verso l’islamizzazione»
Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 11/03/2009, a pag. 2, l'articolo di Giorgio Israel dal titolo " Perchè le aperture all’Iran sono un altro passo verso l’islamizzazione". Ecco l'articolo:
Roma. Occuparsi attivamente e intensamente delle questioni dell’istruzione nel nostro paese rischia di riportare insistentemente alla mente la nota battuta di Mussolini secondo cui governare l’Italia non è difficile, è inutile. Ma non è ora né qui che voglio parlare dello sfinimento che provoca entrare nell’unica esperienza davvero realizzata di “democrazia dal basso” e confrontarsi con soggetti (gli “esperti” dell’istruzione) che non vivono e pensano nel mondo dei comuni mortali bensì nel mondo delle locuzioni a barre (conoscenze/abilità, abilità/competenze, conoscenze/competenze, documento/ proposta, consolidare e/o riprogettare) e degli anglismi (literacy, framework, teaching for test). Eppure ti rendi conto che questo è uno dei fronti cruciali su cui si gioca il nostro futuro. Tutte le battaglie che stanno a cuore a questo giornale, fin dai tempi del referendum sulla procreazione assistita, rischiano di non avere a priori futuro se continueremo a sfornare generazioni di teste “ben fatte” secondo i criteri dei tecnocrati dell’affettività e della morale confezionate scientificamente e della metodologia che fa premio sulle conoscenze. L’educazione e l’istruzione sono un pilastro portante. Eppure, mentre ti affanni a vedere se e come si possa intervenire sulle inquietanti crepe del pilastro, ti rendi conto che mettere puntelli qua e là è derisorio mentre intorno un esercito di bulldozer fa a pezzi la casa. Con la metafora dei bulldozer non mi riferisco agli “esperti”, alle congreghe corporative o agli eserciti di termiti che pascolano sul terreno devastato dell’istruzione. Poveri untorelli, a ben vedere. Penso allo sfascio morale e culturale generalizzato delle nostre società occidentali e al crescente sentimento di insicurezza che si addensa attorno al futuro. Dirlo in Italia può sembrare esagerato perché il male non ha raggiunto i livelli di altri paesi. Il quadro che Giulio Meotti ha tracciato su queste pagine della sparizione dell’Inghilterra che abbiamo conosciuto – sempre più paradigma di Eurabia – in fondo lo raccontano le cronache da qualche anno, in un crescendo rossiniano. Ma colpisce come un pugno nello stomaco leggerne la sintesi; e induce a svegliarsi e a riflettere su un domani assai vicino. Difatti, in Francia non siamo molto lontani da questa situazione, in Olanda ci siamo ormai e persino nell’Austria (felix?) si prospetta un non lontano orizzonte di islamizzazione. Parliamo di antisemitismo. Ah, ci risiamo con la solita tiritera – dirà quel giornalista cattolico che ha recentemente accusato gli ebrei di essere malati di una “concezione lagnosa della storia”. Ma non si diceva che l’antisemitismo è il più sensibile termometro dell’intolleranza diffusa nella società, un segnale che indica l’avvicinarsi di grandi cataclismi? Oppure si tratta soltanto di una filastrocca buona da ripetere la Giornata della Memoria per poi poter parlare d’altro? Ma certo, per parlar d’altro – si replica – perché i problemi gravi a questo mondo sono ben altri, per esempio quello palestinese; e comunque ogni confronto è indebito e mostra casomai quanto siano lontane le circostanze del passato: vi è forse qualche paese al mondo che prospetti di promulgare una legislazione razziale, di fare espulsioni o addirittura sterminii su basi razziali? Di certo quelle forme storiche appartengono a un passato sepolto e la pratica dell’antisemitismo di stato è completamente fuori dell’orizzonte dei paesi occidentali. Ma non siamo nell’era della globalizzazione? Forse dovremmo aggiornare i metodi di analisi e chiederci se la via per la codificazione dell’antisemitismo in termini legislativi non stia seguendo linee diverse e più complesse, ma non meno inquietanti perché, se avessero successo, non lascerebbero via d’uscita. A ben vedere il primo tentativo è stata la famosa dichiarazione dell’Onu che equiparava sionismo e razzismo. Non ha funzionato, i tempi non erano maturi, era una scelta troppo marcatamente imposta dalla maggioranza araba e terzomondista dell’Onu; ma ha lasciato tracce. Poi è venuta la Conferenza contro il razzismo di Durban 2001 che ha colto di sorpresa tutto il mondo e ha mostrato il volto di un antisemitismo che vuol farsi riconoscere come dottrina ufficiale delle istituzioni internazionali. Si poteva sperare che la lezione fosse stata appresa. Niente. E’ da più di un anno che è arcinoto cosa stia cucinando per Ginevra 2009 (Durban II) una cricca di paesi altamente qualificati per giudicare di diritti umani come Iran, Libia, Cuba: una condanna senza appello per Israele e il sionismo, come unico agente mondiale di razzismo e crimini contro l’umanità – non una parola su sterminii di dimensioni epocali tuttora in corso – assortita da una insidiosissima richiesta di proscrivere l’islamofobia, di fatto un bavaglio alla libertà di opinione ed espressione che colpirebbe mortalmente l’occidente. Non si può abbastanza apprezzare il fatto che il Canada e l’Italia si siano ritirati a priori dalla Conferenza. Altrettanto apprezzabile è che si siano ritirati gli Stati Uniti, anche se era sorprendente il proposito, fortunatamente rientrato, di partecipare per tentare di cambiare l’esito della conferenza. Cambiare cosa? La base di partenza è talmente efferata che l’unica trattativa possibile dovrebbe partire dal ritiro della bozza iniziale. Tanto più è sconcertante che, a parte l’Italia, gli altri paesi europei stiano esercitandosi in un penoso minuetto: andiamo, pur non volendo andare, andiamo per cambiare, se non si cambia vedremo, per il momento andremo. Come se non ci fosse stata Durban, come se non sapessero cosa si prepara, cosa li aspetta, cosa si rischia di legittimare. Antisemitismo ancora una volta come termometro? Proprio così, perché chi andrà a Ginevra non soltanto non potrà evitare un proclama efferato, ma rischia di trovarsi attorno al collo il capestro della limitazione della libera espressione. Avrà il coraggio di fare come l’ambasciatore israeliano Herzog una trentina di anni fa, e cioè di dire: “Il vostro proclama non vale la carta su cui è scritto e ve lo stracciamo in faccia”? Ne dubitiamo. Difatti, il multilateralismo è tornato ad essere un totem: “Vorremo forse delegittimare l’Onu già indebolito?” è il mantra che si ode in questi giorni. E sono inquietanti le “aperture” del presidente Obama senza chiedere nulla, neppure all’Iran di piantarla con i propositi di distruzione di Israele e con il negazionismo. Negli anni Trenta soltanto gli ebrei dell’Europa orientale – quelli che essendo abituati alle persecuzioni vivevano “con la valigia in mano” – se ne andarono per tempo. Gli altri restarono fino all’ultimo ripetendo che “non era possibile”. Anche oggi, soprattutto in paesi come l’Italia (e per suo merito) appare impossibile. Ma ove le cose andassero peggio la globalizzazione dell’antisemitismo legalizzato dalle istituzioni internazionali renderebbe difficile trovare dove portare la valigia, salvo che in quel piccolo paese su cui pende la futura atomica iraniana. Il Presidente Obama vuole contrattare con l’Iran la rinuncia alla bomba con il riconoscimento di “potenza regionale equilibratrice”. Ma anche questa faccenda ricorda qualcosa e qualcuno, un signore inglese che andava in giro con l’ombrello
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