Ogni tanto Sergio Romano, all'appareza sempre così preciso nel suo impertubabile odio verso Israele, commette l'errore di lasciarsi cadere la maschera dello storico e si rivela quello che è, un fiancheggiatore di coloro che vorrebbero distruggere lo Stato ebraico. Nelle due lettere che seguono, l'odio di Romano traspare, come sempre, nella risposta al primo. Ma è nella seconda che gli cade la maschera. là dove scrive "Ma gli osservatori più attenti hanno già ammonito che il vincitore delle elezioni, soprattutto dopo la guerra dello scorso dicembre, sarebbe Hamas: una prospettiva che non piace né a Israele né agli americani." Capito ? Se vince Hamas, questo non piacerà solo a Israele e agli americani, la citazione ci dice chiaramente che la vittoria di Hamas piacerà a tutti gli altri, Romano in testa. Poco importa che Hamas sia stato giudicato un movimento terrorista persino dalla cauta UE, per Romano la prospettiva che vinca dispiace solo a Israele e America. Romano sta con Hamas. Non c'era bisogno di conferma, l'avevamo capito da tempo. Ma adesso l'ha pure scritto, sul CORRIERE della SERA di oggi, 08/03/2009 a pag.31, una data da non dimenticare.
Gradirei che mi spiegasse perché i danni causati dalla guerra scatenata da Israele a Gaza devono essere pagati dall'Europa e dagli Stati Uniti. Perché non li paga Israele?
Sergio Valeri valeriosergio@alice.it
Non trova contraddittorio il fatto che vengano stanziati e offerti 100 milioni di dollari per la Striscia di Gaza e nel contempo vengano negati dal governo i sussidi per i disoccupati italiani? Come al solito, quando bisogna fare bella figura all'estero siamo i primi a offrirci, salvo poi mettere in secondo piano le vere esigenze del popolo.
Sono un cassintegrato e la retta del mutuo della casa non credo che me la pagherà un palestinese.
Simone Baroni Simone.Baroni@virgilio.it
Cari lettori,
Alla domanda di Sergio Valeri un portavoce del governo israeliano risponderebbe che la guerra non è stata voluta da Israele, che le operazioni militari sono state legittima difesa e che gli Stati non hanno l'obbligo di riparare i danni provocati dalle loro forze armate quando agiscono per difendere il territorio nazionale. Qualcuno potrebbe replicare che il giudizio sulle cause del conflitto è perlomeno discutibile. E potrebbe aggiungere, in secondo luogo, che la Striscia di Gaza, anche dopo il ritiro degli israeliani, è soggetta a un regime sostanziale, se non formale, di occupazione militare. Esiste quindi, a mio avviso, una responsabilità israeliana. Ma questi argomenti perdono qualsiasi rilevanza politica nel momento in cui gli Stati donatori accettano di riunirsi senza pretendere che Israele partecipi all'incontro e assuma le proprie responsabilità. La conferenza di Sharm el Sheikh ha avallato, di fatto, la tesi del governo di Gerusalemme.
Il vero problema, tuttavia, è un altro. Dovremmo chiederci piuttosto quale uso verrà fatto dei tre miliardi e duecento milioni di euro stanziati dai donatori per l'insieme dei territori palestinesi. La parte destinata a riparare le distruzioni di Gaza (14 mila case, 219 fabbriche, 240 scuole) dovrebbe ammontare, grosso modo, a un miliardo e mezzo di euro. È difficile immaginare che questa somma possa venire impiegata senza la collaborazione di coloro che governano la Striscia. Soltanto Hamas ha i tecnici, gli amministratori, le istituzioni e i servizi necessari per un'opera di ricostruzione su vasta scala. Ma Israele sostiene che Hamas è un'organizzazione terroristica con cui non è possibile avere rapporti, ed esercita un rigido controllo su tutto ciò che passa attraverso i valichi di frontiera bloccando talora, come è accaduto nelle scorse settimane, persino generi alimentari. Gli Stati Uniti e gli americani chiedono al governo israeliano di allentare i controlli, ma sono altrettanto convinti che il compito della ricostruzione non debba essere affidato a Hamas. Insomma, non si può ricostruire con Hamas, ma non si può neppure ricostruire senza la sua partecipazione.
Esiste una via d'uscita? Le condizioni potrebbero cambiare se le due fazioni palestinesi (Hamas e l'Olp di Abu Mazen) si riconciliassero e si mettessero d'accordo sulla prospettiva di nuove elezioni in ambedue i territori. Gli egiziani stanno recitando la parte dell'onesto sensale e i negoziati hanno registrato negli scorsi giorni qualche progresso. Ma gli osservatori più attenti hanno già ammonito che il vincitore delle elezioni, soprattutto dopo la guerra dello scorso dicembre, sarebbe Hamas: una prospettiva che non piace né a Israele né agli americani. In attesa della soluzione del problema (chi controlla il denaro?) i fondi rimarranno nelle casseforti di coloro che li hanno stanziati.
Questa malinconica conclusione risponde, almeno in parte, alle preoccupazioni di Simone Baroni. Aggiungo, tuttavia, che un Paese, soprattutto quando è nel mezzo di una delle più agitate regioni del mondo, non può smettere di salvaguardare i propri interessi internazionali e, quindi, di fare politica estera. Siamo andati a Sharm el Sheikh perché nulla di ciò che accade nel Mediterraneo può esserci estraneo. E abbiamo stanziato cento milioni di dollari perché non esistono partite internazionali a cui sia possibile partecipare senza mettere sul tavolo il proprio denaro.
Invitiamo i nostri lettori a scrivere al direttore Paolo Mieli se condivide l'affermazione di Romano, uno degli opinionisti più importanti del giornale che dirige. cliccare sulla e-mail sottostante.