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La Stampa Rassegna Stampa
08.03.2009 Ecco la nuova politica estera di Obama
nel servizio di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 08 marzo 2009
Pagina: 8
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «La realpolitik di Hillary accerchia l'Iran»

Come si sta muovendo la politica estera americana sotto la presidenza Obama ? Lo descrive con accuratezza Maurizio Molinari sulla STAMPA di oggi, 08/03/2009, a pag.8, in un  pezzo dal titolo " La realpolitik di Hillary accerchia l'Iran ". Dallo scenario tracciato da Molinari, si vede chiaramente come le linee guida sono cambiate rispetto alla presidenza Bush. Se produrranno cambiamenti positivi lo sapremo presto.

New York. Un nuovo trattato sul disarmo con Mosca, due inviati a colloquio a Damasco e la Turchia come palcoscenico del discorso che Barack Obama rivolgerà all’Islam: la prima missione europea di Hillary Clinton si conclude con una raffica di novità che confermano la scelta di puntare sulla Realpolitik per scongelare le crisi internazionali ereditate da Bush, a cominciare dall’Iran.
A parlare da Ginevra è Sergei Lavrov, il ministro degli Esteri russo reduce dalla cena con il Segretario di Stato, facendo sapere di aver raggiunto un «accordo di massima» per concludere «in tempi rapidi» la revisione del trattato strategico sulla riduzione delle armi nucleari. «Siamo pronti a resettare le nostre relazioni come chiesto dagli americani», ha detto Lavrov, sottolineando che Washington ha fatto un passo avanti: se Bush era disposto a concordare solo un taglio di testate nucleari, Obama è pronto ad accogliere la richiesta russa di inserire nel negoziato le altre armi strategiche, dai bombardieri ai sottomarini. È l’attesa schiarita che Hillary cercava per aprire la strada a un summit fra Obama e Dmitri Medvedev dove sarà in agenda l’offerta messa per iscritto dal presidente Usa: la rinuncia allo scudo antimissile in Europa in cambio della piena collaborazione contro il nucleare di Teheran.
Incassato il via libera di Lavrov a una «nuova stagione di rapporti», Hillary è volata ad Ankara dal premier Recep Tayyip Edogan per concordare l’arrivo «entro circa un mese» di Obama che proprio dalla Turchia si appellerà all’Islam per chiedere di aprire una «nuova fase» di rapporti con l’America basati su «mutuo rispetto e comuni interessi» come da lui anticipato sin dal discorso dell’insediamento. Per Erdogan si tratta del riconoscimento di un ruolo di leadership regionale, al quale ha risposto assicurando al Segretario di Stato che Ankara «consentirà alle truppe Usa di attraversare il nostro territorio quando usciranno dall’Iraq» in maniera opposta di quanto fece nel 2003, quando impedì il transito a Iraqi Freedom. Il colloquio con Erdogan è servito a Hillary anche per discutere lo scenario di un recupero diplomatico della Siria, al fine di staccarla dall’alleanza strategica con l’Iran. Negli ultimi mesi Ankara ha ospitato a tal fine «colloqui indiretti» fra Israele e Siria sull’ipotesi di una composizione del contenzioso territoriale, ora il canale si è raffreddato a causa delle tensioni con Gerusalemme sulla guerra a Gaza ma Erdogan ha assicurato di «essere pronto a riprendere il lavoro».
Nelle stesse ore a Damasco si trovavano in missione due degli uomini di punta del Dipartimento di Stato sul Medio Oriente: Jeffrey Feltman e Daniel Shapiro. La seduta di lavoro con Walid al-Moallem, ministro degli Esteri, è servita per discutere di Libano, Iran e possibili negoziati con Israele rinnovando il messaggio recapitato al presidente Bashar Assad da John Kerry - presidente della commissione Esteri del Senato e stretto collaboratore di Obama - sulla volontà di Washington di rilanciare le relazioni bilaterali, rimaste congelate dopo l’assassinio a Beirut dell’ex premier libanese Rafik Hariri. A confermare che l’atmosfera Washington-Damasco sta cambiando è Imad Moustapha, ambasciatore siriano negli Usa, secondo cui «questa amministrazione è intenzionata ad ascoltare cosa diciamo».
A tenere assieme il rilancio dei rapporti con la Russia, il viaggio di Obama in Turchia e la missione degli inviati a Damasco è la tela diplomatica che Hillary sta tessendo - su mandato di Obama - per disinnescare la crisi iraniana con un approccio definito «regionale» e «pragmatico» al Dipartimento di Stato. In questo mosaico di mosse rientrano anche le aperture all’Iran: prima con le indiscrezioni sulla lettera di Obama a Mahmud Ahmadinejad e poi con la decisione di invitare Teheran alla Conferenza internazionale sulla stabilizzazione dell’Afghanistan che potrebbe tenersi in Olanda a fine marzo. A tale riguardo il ministro degli Esteri della Repubblica islamica, Manouchehr Mottaki, ha detto: «Stiamo considerando l’invito». Obama crede a tal punto che la stabilizzazione dell’Afghanistan possa essere una svolta strategica da dire al «New York Times» di essere favorevole a «trattative con gruppi di taleban moderati» tentando di ripetere il successo ottenuto da Bush con le tribù sunnite del nord dell’Iraq.
C’è l’Iran nel mirino dell’offensiva di Realpolitik di Hillary e Kerry, parlando al Centro Saban della Brookings Institution di Washington, lo ha spiegato così: «Teheran è al centro delle tensioni in Medio Oriente a causa della corsa all’atomica e del sostegno al terrorismo». È una convinzione condivisa dagli ex Segretari di Stato che Hillary ascolta di più - James Baker, Madeleine Albright ed Henry Kissinger - come da Brent Scowcroft, già consigliere per la sicurezza di Bush padre, e dalla pattuglia di inviati ai quali spetta di gestire i singoli fronti d’azione: George Mitchell tenta di spingere i palestinesi verso un governo di unità nazionale; Richard Holbrooke prepara la conferenza sull’Afghanistan per far firmare agli iraniani specifici impegni anti-taleban; Dennis Ross tratta con Paesi arabi moderati e Israele preparando uno schema di pace regionale partendo dal piano saudita del 2002; Philip Gordon, neo-insediato sottosegretario per l’Europa, ha in agenda una raffica di colloqui sull’inasprimento delle sanzioni internazionali contro il programma nucleare iraniano.

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