Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 06/03/2009, a pag.36,l'analisi " Le due società arabe " di Bernard Lewis sulla situazione dei paesi islamici mediorientali tra la fine dell'Impero Ottomano e la Guerra Fredda. Ecco l'articolo:
Con il volgere a conclusione del Ventesimo secolo, è apparso evidente come il mondo arabo stesse vivendo un cambiamento epocale. Per quasi due secoli, quelle terre erano state governate o dominate da potenze europee e, prima ancora, da regimi musulmani non arabi; primo su tutti l'Impero ottomano. Dopo la dipartita degli ultimi governanti imperiali, il mondo arabo divenne un campo di battaglia politica tra Stati Uniti e Unione Sovietica, durante la Guerra fredda. Che si è anch'essa conclusa con il crollo dell'Unione Sovietica, nel 1991. I governi e le dinastie arabe (reali o presidenziali) hanno così iniziato ad assumere e contendersi il controllo della regione.
Il paesaggio politico in seno al mondo arabo ha subìto importanti trasformazioni dopo la fine della Guerra fredda. Per alcuni, il disfacimento dell'Unione Sovietica ha rappresentato la tragica perdita di un protettore difficile o impossibile da rimpiazzare. Per altri, invece, ha simboleggiato la sconfitta di un nemico e una vittoria per i combattenti musulmani in Afghanistan, che avevano spinto i sovietici alla ritirata e al collasso. A loro modo di vedere, dacché si era riusciti a sistemare la più grande, esuberante e pericolosa delle due superpotenze infedeli, affrontare gli Stati Uniti sarebbe stato relativamente facile. E quest'ultimo compito ha acquistato rinnovata urgenza con gli interventi Usa in Iraq e altrove. Agli occhi degli integralisti islamici, tali operazioni hanno rappresentato attacchi di stampo imperialista all'Islam.
Un altro contendente per il mantello della leadership islamica e del dominio regionale è la Repubblica islamica dell'Iran. La Rivoluzione iraniana del 1979 provocò un importante spostamento di potere, con una forte base ideologica, ed esercitò un notevole impatto su tutto il mondo musulmano. L'influenza dell'Iran iniziò a estendersi, soprattutto — ma non esclusivamente — tra gli sciiti nei Paesi arabi confinanti. Queste popolazioni, anche laddove risultano presenti in gran numero, avevano vissuto per secoli sotto quello che potrebbe esser definito come un predominio sunnita. La rivoluzione iraniana, seguita nel 2003 dal cambio di regime in Iraq, ha dato loro nuova speranza.
Il panarabismo, che un tempo ricopriva un ruolo centrale nella regione, si è di fatto dissolto. Allo stesso tempo, le questioni legate all'identità nazionale stanno acquistando maggiore importanza. In passato, i curdi in Iran, in Iraq e in Turchia non avevano mai rappresentato una minaccia significativa per i governi centrali; dopo la sconfitta di Saddam Hussein nella guerra del Golfo, tuttavia, la situazione è ben diversa. Un altro grande problema per la regione va rintracciato nella questione palestinese. Se il nodo del conflitto sono le dimensioni di Israele, con lunghe e senz'altro difficili trattative si potrà alla fine risolvere il problema. Se invece esso verte sulla sua esistenza, ecco che un negoziato proficuo diventa impossibile.
Anche lo stato dell'economia della regione, e il quadro sociale e politico che ne risulta, è fonte di crescente preoccupazione nel mondo arabo. Per il momento, il petrolio continua a garantire un'enorme ricchezza, in via diretta ad alcuni Paesi della regione e in via indiretta agli altri. L'opulenza petrolifera, tuttavia, ha rafforzato i governi autocratici e inibito lo sviluppo democratico. I governanti che dispongono di abbondanti risorse di greggio non hanno l'esigenza di imporre tasse e, di conseguenza, non devono assecondare i rappresentanti eletti. La ricchezza petrolifera ha inoltre portato a trascurare o abbandonare altre forme di attività economica profittevole. Nell'ultimo quarto di secolo, il Pil reale pro capite ha fatto registrare una caduta in tutto il mondo arabo. Per quanto concerne il settore scientifico e tecnologico, la situazione è altrettanto negativa, se non peggiore. I Paesi arabi scontano i tassi di analfabetismo più alti al mondo, e il più basso numero di ricercatori attivi con articoli scientifici frequentemente citati.
Tutti questi problemi sono accentuati dalla rivoluzione nel sistema delle comunicazioni, che sta esercitando uno straordinario impatto sulla popolazione araba di qualsiasi classe sociale. I governi del Medio Oriente hanno appreso, in una certa misura, a manipolare le informazioni, ma tale controllo si sta velocemente ridimensionando man mano che le nuove tecnologie di comunicazione, in particolare la televisione via satellite e Internet, rendono la popolazione dei Paesi arabi, e non solo, fortemente consapevole degli elementi di contrasto tra diversi gruppi all'interno del proprio Paese e, ancor più importante, delle marcate differenze tra la situazione nel loro Paese e in altre regioni del mondo. Da tutto ciò è scaturita una forte ondata di rabbia e risentimento, spesso indirizzati contro l'Occidente, ma anche uno sforzo controcorrente a favore di riforme democratiche.
Così, oggi vediamo contrapposte due diagnosi dei mali della regione, ognuna delle quali prevede un'apposita ricetta. Secondo la prima, tutti i problemi vanno addebitati agli infedeli e ai loro pupazzi e emuli locali. Il rimedio sta nel rilanciare la battaglia millenaria contro gli infedeli, ritornando alle leggi e alle tradizioni di emanazione divina. Secondo l'altra diagnosi, sono le prassi d'antica data, ormai degenerate e corrotte, ad azzoppare il mondo arabo. La terapia, in questo caso, si basa sull'apertura e la libertà nell'economia, nella società e nello Stato: in due parole, su un'autentica democrazia. Ma la via della democrazia — e della libertà — è lunga e difficile, con molti ostacoli lungo il cammino. Il futuro del mondo arabo dipenderà, in non piccola misura, dall'esito di queste battaglie.
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