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ANSA Rassegna Stampa
28.02.2009 Ansa, uno scandalo nazionale
Ma a chi la finanzia va bene così

Testata: ANSA
Data: 28 febbraio 2009
Pagina: 1
Autore: Alessandro Logroscino
Titolo: «Gaza: venti nuovi dagli Usa? L'americano di Hamas ci crede»

Ogni tanto l'ANSA, dichiarata ufficialmente l'agenzia ufficiale di Hamas, mette in rete veri e propri articoli. Ci ha colpito questo che riprendiamo, di tale Alessandro Logroscino, addirittura inviato a Gaza. I lettori leggano il suo compitino, diligente, come si conviene ad un giornalista-carta-assorbente, che non ha altro compito che riprodurre quanto gli viene detto. E pensare che l'Ansa, una struttura - se non andiano errati - pagata da tutti i giornali italiani, non ha finora suscitato nei medesimi pagatori mai nessuna protesta, va bene così. In un paese civuile sarebbe uno scanmdalo enorme, da noi è la regola. Ecco il pezzo:

» 2009-02-27 18:17

Gaza: venti nuovi dagli Usa? L'americano di Hamas ci crede

dell'inviato Alessandro Logroscino

GAZA - La sede del 'ministero degli Esteri' di Hamas, nel cuore di Gaza City, e' aperta in due come una mela: sventrata a gennaio dai missili di un F16 israeliano con i due edifici che le sono accanto. Per incontrare Ahmed Yusef, l'uomo che nei giorni scorsi ha scritto per conto del movimento islamico radicale palestinese un'inattesa lettera al presidente americano, Barack Obama, non resta dunque che darsi appuntamento nell'anonima palazzina del ministero dei Trasporti, qualche isolato piu' avanti.

   Yusef, 'viceministro degli Esteri' del simil-Stato della Striscia di Gaza, vi ha trovato alloggio al sesto piano. Ed e' qui che riceve l'ANSA per parlare un po' di tutto: della nuova amministrazione Usa, da cui dice di aver colto ''segnali positivi'', a dispetto del fatto che Washington continui a considerare formalmente Hamas una organizzazione terroristica; delle prospettive di riconciliazione fra le fazioni palestinesi, rilanciate ieri al Cairo e senza le quali - ammette - ''non ci sarebbe nemmeno da sperare'' in un successo dell'imminente conferenza dei donatori per la ricostruzione di Gaza dopo la devastante operazione Piombo Fuso; dei timori di un governo israeliano ''di estrema destra'' a guida Netanyahu, che ''solo le pressioni di Usa e Ue'' potrebbero fermare.

   A vederlo, Yusef e' un integralista atipico, marchio che d'altronde neppure accetta. Una cravatta rossa e nera, allentata al collo di una camicia a scacchi,  stempera l'espressione severa, incorniciata dalla barba brizzolata a punta, da intellettuale islamico. Il resto lo fanno una certa inclinazione al sorriso e un fluente american-english. Dietro la scrivania risplende affissa alla parete una sura del Corano incisa in oro. Nel suo cassetto, pero', c'e' anche una foto di fine anni '90 che lo ritrae alla Casa Bianca, con una rappresentanza della comunita' musulmana, al fianco di una cordiale Hillary Clinton: allora first lady, oggi fresco segretario di Stato. Yusef, nella semplificazione dei media, e' 'l'americano di Hamas'. Negli Usa ha conseguito un master in ingegneria all'universita' del Colorado, un PhD in giornalismo in quella del Missouri e ha poi vissuto per anni. A Washington sono nati i suoi primi figli. Degli States serba ''un ottimo ricordo''. Aveva sognato di andarci - racconta - fin da quando, ''ai tempi della presidenza Carter'', gli si erano rivelati come ''la patria della difesa dei diritti umani''. E ha continuato sentircisi a casa, da ex profugo che era, almeno fino alle scelte fatte dall'amministrazione Bush dopo l'11/9.

   ''Una stagione che comunque e' alle spalle'', sospira Yusef motivando il suo ''cauto ottimismo'' sulla svolta di Obama sullo sfondo di un clima nel quale Hamas - trascorsi 40 giorni dalla fine della guerra di gennaio - comincia ad annusare il vento di una qualche chance di legittimazione internazionale. Della lettera al neopresidente Usa, fatta pervenire indirettamente nei giorni scorsi, preferisce non parlare nei dettagli. ''E' stato un passo informale'', si limita a dire, svicolando sui contenuti. Non nega tuttavia di avere gia' ''intuito'' qualche ''segnale positivo''. ''C'e' la sensazione - spiega - di un diverso approccio a Washington rispetto a Bush junior, ideologicamente schierato contro qualsiasi ipotesi di riconoscimento politico di movimenti di matrice islamica''. La sua convinzione e' che ''il clichet secondo cui Hamas sarebbe una congrega di fanatici fondamentalisti'' stia cedendo il passo a ''una riflessione piu' meditata riguardo a quanto noi diciamo: e cioe' che siamo semmai un movimento di liberazione nazionale con una visione islamica''. Certo, ''nessuno sa fino a che punto potra' spingersi la promessa di cambiamento fatta da Obama, ne' in che misura sapra' contribuirvi Hillary Clinton'', che Yusef ricorda come ''una persona intelligente e colta''.

   A incoraggiarlo c'e' l'atteggiamento ''nuovo di molti Paesi europei, piu' attento al nostro punto di vista''.  Un atteggiamento che ''non credo coinvolga l'Italia in prima fila'', sottolinea, ma ''che mi pare diffuso e capace d'influenzare in senso positivo la stessa amministrazione americana''. ''Del resto - riprende il ‘viceministro' -, se gli Stati Uniti vogliono davvero gettare un ponte verso il mondo islamico, devono affrontare in primo luogo la questione palestinese. E per farlo in modo equo non c'e' altra strada se non lavorare per uno Stato palestinese indipendente''.

   Prima di ogni speranza ventura occorre tuttavia pacificare il fronte interno. Yusef lo riconosce, indicando la riuscita del ''dialogo nazionale'' fra la Striscia di Gaza e la Cisgiordania, fra Hamas e i ‘moderati' di Fatah (il partito del presidente Abu Mazen), come ''una necessita' immediata''. ''Senza riconciliazione - osserva con realismo - i Paesi donatori non potranno stanziare concretamente il denaro per la ricostruzione, e la conferenza di Sharm el Sheik non avra' effetti pratici''. Ugualmente necessario, secondo Yusef, e' ''il consolidamento del cessate il fuoco'' con Israele, tuttora precario nonostante gli sforzi di mediazione intrapresi ancora una volta dall'Egitto. Un traguardo che malgrado tutto continua a considerare a portata di mano: ''Se non altro perche' in questa fase conviene a noi, ma anche a loro''.

   Il diplomatico di Gaza si mostra invece cupo sul governo destinato a nascere dalle recenti elezioni israeliane. ''Israele - taglia corto - rischia di andare di male in peggio poiche' Netanyahu e l'estrema destra minacciano politiche ancor piu' aggressive e belliciste''. Un ''pericolo'' che, di nuovo, ''solo le pressioni di Ue e Usa potrebbero scongiurare''. ''Soprattutto quelle di Washington che ha piu' carte da giocare'', rimarca il piu' yankee degli uomini di Hamas. Disposto a ''sognare'' almeno in nome dei figli, affinche' un giorno ''possano tornare a essere fieri di sentirsi palestinesi-americani. E a esibire il loro passaporto Usa senza vergogna''.

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redazione.internet@ansa.it

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