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La Stampa Rassegna Stampa
28.02.2009 Entro il 2010 via dall'Iraq, un bilancio positivo
L'articolo di Maurizio Molinari

Testata: La Stampa
Data: 28 febbraio 2009
Pagina: 4
Autore: Maurizio Molinari
Titolo: «Finisce la guerra in Iraq»

Gli Usa preparano l'uscita dall'Iraq. Lo racconta Maurizio Molinari sulla STAMPA di oggi, 28/02/2009, a pag.4, in un pezzo dal titolo "  Finisce la guerra in Iraq ". Noi l'avremmo titolato " Finisce la guerra di liberazione in Iraq ", ma agli esteri del quotidiano torinese non ci siamo noi. Entro l'agosto del 2010 il paese sarà restituito agli iracheni, senza più Saddam Hussein e con un sistema migliore di quello precedente. Un bilancio positivo. Ecco l'articolo:

«Ecco come finirà la guerra». Nel primo discorso sui temi della sicurezza nazionale il presidente americano, Barack Obama, illustra il percorso che porta alla conclusione delle operazioni di combattimento alla fine dell’agosto 2010 e al tempo stesso pone le basi per «un nuovo ruolo di leadership degli Stati Uniti in Medio Oriente».
Preceduto dall’inno nazionale e salutato dal picchetto d’onore della base di Camp Lejeune, in North Carolina, Obama parla ai marines di ritorno dall’Iraq e in partenza per l’Afghanistan spiegando che «sono qui per dirvi come finirà la guerra» iniziata sei anni fa. E’ la promessa che ha fatto agli elettori durante la campagna e la mantiene: «Entro il 31 agosto 2010 la nostra missione di combattimento in Iraq terminerà». Non sarà una fuga ma un ritiro «ordinato, responsabile, in consultazione con i comandi sul campo e il governo iracheno», teso a scongiurare l’incubo di un nuovo Vietnam. E se i capi della guerriglia jihadista immaginano di poter bersagliare le truppe in uscita come riuscì ai vietcong, gli manda a dire: «Il piano assegna alle nostre forze la flessibilità per sostenere gli alleati iracheni con successo».
Il ritiro riguarderà circa 100 mila uomini, che ne lasceranno indietro «35-50 mila» come «forza transizionale» che rimarrà «fino alla fine del 2011» quando «porteremo a casa le nostre truppe con l’onore che hanno meritato». Questo significa che nell’estate del 2011, in vista della campagna per la rielezione nel 2012, Obama si prepara a celebrare il ritorno delle ultime truppe come una promessa mantenuta e successo politico.
Nella seconda parte del discorso, Obama guarda già al dopo-ritiro, parla di un «Iraq sovrano con legittime istituzioni» che potrà contare sul «forte sostegno dell’America». Indica nel nuovo ambasciatore Chris Hill, un veterano delle crisi nei Balcani, il «pragmatico che ora ci serve». Preannuncia «impegno congiunto con l’Onu», «sostegno alle forze irachene per far rispettare lo Stato di diritto» e un ruolo da «onesto mediatore» fra i leader iracheni. Lo scenario è quello di un’America che sceglie di rimanere fortemente impegnata a Baghdad, anche se il focus saranno «aiuti e diplomazia» e non più le truppe.
Da qui l’appello agli iracheni, con termini misurati per aprire una nuova stagione: «Siete una grande nazione, radicata nella culla della civiltà, tenuta assieme da una Storia che vi accomuna con i due fiumi che attraversano la vostra terra, avete resistito alla tirannia e al terrore, all’insicurezza e alle violenze etniche, meritate rispetto». Obama traccia un paragone fra l’America lacerata dalla guerra civile e l’Iraq del dopo-Saddam, accomunati dalla volontà di «ricostruire e prosperare». Vede un futuro segnato da «mutuo rispetto» e «reciproci interessi» ripetendo il concetto-chiave dell’apertura all’Islam che segnò il discorso del giuramento a Washington. Fa capire che il ritiro delle truppe in realtà è un nuovo inizio perché segna il debutto di un’impegno «in tutta la regione del Medio Oriente».
E’ attorno ai legami con l’«Iraq sovrano» che Obama infatti immagina di ricostruire la «leadership americana», parlando di una «nuova cornice di sicurezza» tesa a «includere Iran e Siria». Ciò non significa abbassare la guardia nei confronti delle perduranti minacce che il presidente elenca, trasformandole in priorità d’azione: «Più impegno contro la presenza di Al Qaeda in Afghanistan e Pakistan», «impedire all’Iran di avere l’atomica», «cercare una pace durevole fra Israele e il mondo arabo». Un’agenda ambiziosa e difficile e per riuscire il presidente si affida ai «tre diplomatici di maggiore successo che abbiamo George Mitchell, Dennis Ross e Richard Holbrooke», i super-inviati responsabili di Medio Oriente, Iran e Afghanistan-Pakistan che potrebbero presto fare ombra al Segretario di Stato Hillary Clinton.

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