Riportiamo dal FOGLIO di oggi, 26/02/2009, l'analisi" Italian Jihad " a pag. 1-II di Giulio Meotti sulla provenienza italiana di molti terroristi della jihad islamica. Ecco l'articolo:
Roma. L’11 aprile 2002 un bus di turisti tedeschi arriva alla sinagoga di La Ghirba a Djerba, in Tunisia. Si ferma nella piazzetta della sinagoga, vicino a un camion della Iveco pieno di propano. Il kamikaze Nizar Nawar uccise 14 turisti tedeschi, due francesi e cinque tunisini. Fu il primo attentato di al Qaida dopo l’11 settembre. Christian Ganczarski, capofila del jihad in Europa e complice di Nawar, è stato appena condannato a vent’anni da un tribunale francese. Anche dall’Italia sono partite molte “bombe umane” contro gli occidentali in Iraq e Afghanistan. Immigrati a cui i predicatori nostrani avevano instillato il culto del martirio. La notizia che portano a Brescia le tracce lasciate dai terroristi di Mumbai conferma l’Italia come pista di lancio di prim’ordine del jihad. Dalla Lombardia è scattato l’accredito per le schede telefoniche usate dai dieci terroristi negli alberghi di Mumbai. La strage si concluse con quasi 200 morti e otto ebrei trucidati alla Chabad House. Il nostro paese è una delle principali centrali di reclutamento dei jihadisti. Assieme all’Inghilterra e alla Francia. L’Italia ha un ruolo determinante nel reperimento dei documenti falsi e nell’invio di mujaheddin. In questi ultimi tre anni almeno 29 terroristi che si sono fatti saltare in aria in Iraq o in Afghanistan provenivano dall’Italia e spesso vivevano qui da noi da anni. Sono otto gli islamisti “italiani” detenuti a Guantanamo dopo la cattura da parte delle truppe americane. Alcuni sono marocchini, come Mohamed Aouzar di Torino. Ci sono i fratelli Younes e Radwan Chekkouri, collegati all’Italia da un altro fratello ex bibliotecario della moschea di viale Jenner. La filiera faceva capo ad Ahmed el Bouhali, già imam della moschea di Cremona. Ha fatto perdere le tracce nel luglio 2001 in Afghanistan. Dopo la disfatta dei talebani, da Cremona e Milano cominciarono a partire volontari per l’Iraq, ancora prima del crollo di Saddam Hussein. E’ qui da noi che fu pianificata parte della strategia terrorista da mettere in atto dopo la sua fine. Gli “italiani” raggiunsero Ansar al Islam, nel Kurdistan iracheno, e furono addestrati da Abu Musab al Zarqawi, luogotenente di Osama bin Laden. “Prima puliremo l’Iraq, poi andremo in Europa e negli Stati Uniti” ripeteva agli italiani il mullah Krekar, fondatore di Ansar al Islam. “Vivremo in un mondo abitato solo da musulmani”. Scappato dopo la strage di Halabaja, quando Saddam sedò la rivolta curda con il gas, Krekar volò in Pakistan per insegnare gli Hadith del Profeta. Dal 1993 teneva seminari in Lombardia a centinaia di allievi. Hussien Saber Fadhil, detto “il califfo” e “il colonnello”, iracheno arrestato a Venezia prima di andare in Siria, era il legame italiano con al Qaida. Frequentava i centri islamici di Padova e Venezia, investiva denaro nella causa palestinese e in armi destinate al jihad iracheno. Era stato ufficiale di Saddam fino al 1982, l’anno del suo arrivo in Italia. Questi pochi casi basterebbero già a far capire come L’Italia sia un paradiso di al Qaida. E’ stato arrestato a Milano Essid Sami Ben Khemais, “il corriere” di Bin Laden per l’Europa. Subito dopo l’attentato di Nassiyria salirono alle cronache due seguaci dell’imam milanese Abu Imad al Masri e reclutatori di kamikaze, il marocchino Jousni Jamal e il tunisino Bouhaya Maher ben Abdelaziz. Fu fondamentale la scoperta di settanta documenti d’identità italiani a Kurmal, Iraq. Tra i kamikaze nostrani, il più noto è Abu Farid Al Masri, responsabile dell’uccisione di cristiani copti e dell’attentato alla sede delle Nazioni Unite a Baghdad, dove morì Sergio Vieira de Mello e due dozzine di persone. Kamal Morchidi dal capoluogo lombardo partì per immolarsi nella capitale irachena. A Milano aveva fondato la cooperativa “General Service” e selezionava i kamikaze da inviare in Afghanistan. Kamal si fece esplodere contro l’Hotel al Rashid nel momento in cui vi soggiornava il sottosegretario alla Difesa americano Paul Wolfowitz. Quest’ultimo uscì vivo per miracolo. Fadhal Saadi era il più giovane tra i kamikaze “milanesi”. Insieme al fratello Nassim, era domiciliato a Milano in via Cefalonia 11. Si è fatto esplodere uccidendo due soldati americani. Lofti Rihani abitava in via Bolgeri 4 a Barni e partecipò a un attacco suicida contro i marine. Mohamed Daki, prima prosciolto e poi condannato in Italia, viveva a Reggio Emilia. Ad Amburgo aveva avuto contatti con la cellula di cui faceva parte Mohammed Atta, capo attentatore dell’11 settembre. Aveva uno stretto legame con Ramzi Binalshib, leader di al Qaida oggi a Guantanamo e pianificatore degli attentati alle Torri Gemelle. In Italia Daki aveva il compito di procacciare documenti falsi per kamikaze in partenza per l’Iraq, ma il suo nome è emerso anche dopo l’attentato di Madrid. Il kamikaze Habib Waddani risultava domiciliato a Milano in via Bolla 30. Era riuscito a sfuggire all’arresto per traffico di armi ed esplosivi dalla Russia al Pakistan destinate ai campi di al Qaida. Il suo nome di battaglia era Said, in arabo vuol dire “Felice”. Di Milano erano anche Mohamed Khalifa e Mohamed ben Amor, morti entrambi in Iraq in attentati kamikaze. Grazie alle rivelazioni dei pentiti Riadh Jelassi e Thili Lazhar, si è capito come in viale Jenner a Milano fossero stati istruiti i kamikaze. Fra i predicatori più violenti c’è l’ex imam torinese Ebid Abdel Aalil, arrestato per gli attentati a Luxor nel 1997 contro i turisti occidentali. Abdelkader Es Sayed, ex imam della moschea di via Quaranta sempre a Milano, uno dei capi di al Qaida in Italia, riuscì a sfuggire all’arresto nel luglio 2001. Riparò con la famiglia in Iran. Da lì andò a combattere in Afghanistan, dove si ritiene sia morto sotto i bombardamenti. Nel novembre 2004 le autorità italiane hanno espulso l’imam di Carmagnola, Abdel Qadir Fadlaallah Mamour, propagandista del jihad e proselitista di kamikaze. Bourika Bouchta è l’ex imam di Porta Palazzo che ha esaltato pubblicamente Osama bin Laden. La moschea di via Cottolengo è diventata famosa per le prediche incendiarie dell’imam Khohaila, per cui “gli infedeli vanno uccisi”. A Bergamo si muoveva Abou Britel El Passim, il cui indirizzo spuntò nelle carte di al Qaida a Kabul. Alla moschea di Centocelle a Roma dell’imam Samir Khaldi è passato Hamdi Adus Issac, ricercato per le bombe di Londra del luglio 2005. Ansar al Sunna, che ha trucidato in Iraq i dodici operai nepalesi, aveva il suo avamposto a Paderno Ponchielli, vicino a Cremona. Lì viveva Laagoub Abdelkader, ex bibliotecario della moschea arrestato dopo che nella sua abitazione erano state trovate le immagini e le rivendicazioni di 285 attentati in Iraq. Fra cui quello di Abutabet Al Muhajer, autore di un attacco suicida il 9 dicembre del 2003 contro una base americana. Il kamikaze aveva incitato gli islamici contro l’Italia: “Roma verrà invasa e conquistata”. Così come al Masri, prima di dilaniare l’Onu a Baghdad, aveva confessato: “Voglio ammazzare quanti più cristiani possibile”. La rete italiana cominciò a scricchiolare quando Kaler Dedar Khalid, che si guadagnava da vivere facendo il carrozziere, in un pomeriggio di sole del giugno 2002 indossò il corpetto esplosivo, salì su un bus zeppo di persone e, davanti alla sede del Partito comunista curdo, si accasciò davanti alle guardie confessando di essere imbottito di tritolo.
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