Riportiamo da PANORAMA di oggi, 23/02/2009, riportiamo l'articolo " Pregiudizio antiisraeliano " di Fiamma Nirenstein.
Che Hamas si dichiarasse subito schifato dai risultati delle elezioni israeliane, anzi «sioniste», non può sorprendere. Fawzi Barhoum, esponente di Hamas, ha definito i risultati «la dimostrazione del sostegno di Israele per un governo estremista guidato da una troika del terrorismo», intesa come Benjamin Netanyahu, Tzipi Livni e Avigdor Lieberman. Osama Hamdan, un altro alto dirigente, ha detto che «ambedue le parti (Netanyahu e Livni) agiscono contro Hamas, contro i palestinesi» e che la differenza fra «Bibi» e Tzipi è questa: il primo lo fa «in modo indifendibile da chiunque», la seconda «più delicatamente, così da poter essere difesa dall’Occidente e dagli Stati Uniti».
Fin qui nessuna sorpresa. Ma fa specie che Sa’eb Erakat, il più classico fra i negoziatori di Al-Fatah, abbia deciso che «considererà il prossimo governo un non partner». Per questi motivi: «Nessuno dei governi che possono uscire da queste elezioni accetterà la soluzione di due stati per due popoli». Ma come, non hanno detto ambedue che è una soluzione a cui guardare con fiducia, sia pure con sfumature diverse? Il fatto è che la delegittimazione di qualsiasi governo come partner di pace, il disprezzo degli israeliani, è una carta da giocare sul fronte interno, dove Al-Fatah cerca sempre simpatie nella zona di Hamas (che invece lo ritiene un traditore), ma anche un alibi per evitare la strada del compromesso e della messa al bando del terrorismo. È anche una specie di riflesso condizionato, tanto che già prima che fossero aperte le urne i giornali arabi prevedevano risultati spaventosi, legati soprattutto alla figura di Avigdor Lieberman e alla crescita del suo partito.
Al-Quds al-Arabi, pubblicato a Londra, informava i lettori di una questione non tanto nuova, ovvero l’opposizione al «diritto al ritorno» delle forze vincenti in Israele (cosa su cui peraltro nel tempo, data la sua impossibilità, si sono sviluppate varie ipotesi comuni) e l’opposizione a dividere Gerusalemme, opzione a cui Livni non è particolarmente contraria.
Il giornale di proprietà saudita Asharq Alawsat titolava: «Una gara fra la destra e l’estrema destra». Destra, di destra, ultra di destra, di superdestra... la delegittimazione delle elezioni ha accompagnato sia la campagna sia i risultati israeliani. Sul giornale Al-Hayat l’editorialista Mostafa Zein faceva una previsione sul futuro dei rapporti tra Israele e il mondo arabo. «Non c’è differenza fra i partiti» scriveva «sia quelli di destra che seguono la strada di Ze’ev Jabotinsky, sia quelli che seguono Ben Gurion, ancora più di destra di Jabotinsky e durante il cui mandato ebbe luogo il massacro di Kafr Khana. Jabotinsky sarebbe oggi il vincitore delle elezioni, nell’impersonificazione sia di Ehud Barak, sia di Netanyahu, sia di Lieberman, o, se prendesse la forma di una donna, di Tzipi Livni».
Questa valutazione prova che l’antiisraelismo non ha affatto la forma di una critica politica specifica, bensì di un puro pregiudizio. Lo stato ebraico, durante la guerra di Gaza ma anche in occasione delle elezioni, è stato schiacciato su alcuni stereotipi negativi che purtroppo vengono accettati con facilità dai disinformati.
In Europa l’innesto fra l’antisemitismo, che ritiene Israele amante della guerra e propenso allo spargimento del sangue dei civili, e la continua produzione di nuovi stereotipi dal mondo arabo ha prodotto l’ondata di odio antiebraico che in questi giorni l’Anti-defamation league media watch ha definito la peggiore dal dopoguerra, e di cui si è parlato in un’allarmata conferenza dei parlamenti europei contro l’antisemitismo.
Per inviare la propria opinione a Panorama, cliccare sull'e-mail sottostante