Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 22/02/2009, l'articolo " In difesa della 'quinta colonna' araba " di Fareed Zakaria.
Tutto il pezzo contiene critiche al leader di Israel Beitenu, Avigdor Lieberman.
Zakaria, per convincere il lettore che Lieberman sia davvero un fascista e un razzista, scrive : " Martin Peretz, direttore editoriale della rivista The New Republic nonché fervente sionista e critico del movimento pacifista, ha definito Lieberman come un «neofascista (…), un vero e proprio bandito (…), l'omologo israeliano di Jörg Haider». ". Prima cita una fonte qualificandola come "fervente sionista e critica del movimento pacifista" e poi riporta stralci di sue affermazioni negative su Lieberman. Insomma, se lo dice anche quel guerrafondaio sionista di Martin Peretz che Lieberman è un neofascista sarà vero, no? In realtà, questo è un sistema per manipolare, non per informare. Lieberman dovrebbe essere giudicato solo sulla base delle sue proposte politiche, non di ciò che Martin Peretz, o chiunque altro, pensa di lui.
Poi Zakaria scrive che gli arabi israeliani "subiscono discriminazioni in molteplici aspetti del loro vissuto quotidiano: dall'immigrazione alla proprietà terriera, all'istruzione e all'occupazione." senza mai specificare quali.
Infine arriva a stabilire quale sia la priorità di Israele e cioè non la difesa dagli altri Stati che ne desiderano la distruzione quanto risolvere il problema (inesistente) della minoranza araba discriminata ( " La gestione dei rapporti con la minoranza araba è, per Israele, un'esigenza ancor più cruciale dell'azione di contrasto a Hezbollah o al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad.").
Ecco l'articolo:
Il principale vincitore delle ultime elezioni in Israele è Avigdor Lieberman. Il suo partito, Yisrael Beytenu, si è assicurato uno straordinario swing power, la capacità cioè di determinare il futuro assetto politico in Israele. Lieberman ha ormai conquistato, con l'agenda di cui si fa promotore, il centro della ribalta. Per quanto stigmatizzi con fervore i militanti palestinesi di Hamas e Hezbollah, il suo obiettivo numero uno è la minoranza araba d'Israele, che ha definito come una minaccia peggiore di Hamas. Lieberman ha proposto la concreta espulsione di svariate centinaia di migliaia di cittadini arabi, con la riqualificazione in via unilaterale di alcune città nel Nord di Israele come territorio della Cisgiordania palestinese. E altre centinaia di migliaia potrebbero vedersi togliere la cittadinanza per mancata ottemperanza al giuramento di fedeltà o al servizio di leva obbligatorio (da cui gli arabi israeliani sono attualmente esentati). Martin Peretz, direttore editoriale della rivista The New Republic nonché fervente sionista e critico del movimento pacifista, ha definito Lieberman come un «neofascista (…), un vero e proprio bandito (…), l'omologo israeliano di Jörg Haider». Sin dal secondo dopoguerra, a quanto ne sappia, nessuna democrazia liberale ha mai espulso né privato dei diritti civili i suoi cittadini.
L'odierna popolazione araba-israeliana discende direttamente dai circa 160 mila arabi che dimoravano nelle terre dove, nel 1948, è sorta Israele. Oggi conta 1,3 milioni di abitanti, ossia il 20 per cento della popolazione totale di Israele, e i demografi prevedono che entro il 2025 sarà un quarto della stessa. Esenzione dal servizio militare a parte, questi individui hanno secondo la legge gli stessi diritti e doveri degli altri cittadini israeliani. Eppure, subiscono discriminazioni in molteplici aspetti del loro vissuto quotidiano: dall'immigrazione alla proprietà terriera, all'istruzione e all'occupazione.
«Il popolo che viveva in queste terre non è arrivato con un'ondata migratoria, questo è il nostro Paese» ha dichiarato Azmi Bishara, ex deputato arabo della Knesset, accusato di sedizione per le manifestazioni di sostegno a Hezbollah. «Ecco perché non potete piegarci alle dichiarazioni di fedeltà. Questo Stato è arrivato dopo, è stato imposto sulle rovine della mia nazione. Ho accettato la cittadinanza per poter vivere qui e non potrei mai compiere alcuna azione contro lo Stato e la sua sicurezza. Non è mia intenzione cospirare contro lo Stato, ma non potete chiedermi di dichiarare ogni giorno la mia fedeltà verso di esso. In quanto cittadino sono tenuto a prestare fedeltà alla legge, non ai valori e alle ideologie dello Stato. La fedeltà alla legge è già sufficiente».
Per decenni gli arabi d'Israele sono rimasti fedeli alla legge e al Paese, nelle tante guerre con i suoi vicini. Oggi questa fedeltà sta vacillando. Gli arabi israeliani — anche di fede cristiana e non musulmana — non votano più per i tradizionali partiti d'Israele. E nonostante la scarsa affluenza alle urne, i partiti arabi sono usciti piuttosto bene dalle recenti elezioni, strappando ben 11 seggi alla Knesset. I partiti arabi non sono mai stati invitati a far parte del governo e questo limita l'influenza della popolazione araba nella politica israeliana.
La gestione dei rapporti con la minoranza araba è, per Israele, un'esigenza ancor più cruciale dell'azione di contrasto a Hezbollah o al presidente iraniano Mahmoud Ahmadinejad. Israele deve scegliere in che modo trattare con gli arabi che vivono al suo interno. Per quanto possa suonare estremistico, l'appello di Lieberman a ripudiarli sembra aver fatto presa su molti israeliani. Benjamin Netanyahu ha ammonito che gli arabi d'Israele rappresentano una bomba a orologeria demografica. E questa situazione, a suo dire, è intollerabile.
È una spirale pericolosa: più si acuisce il senso di sfiducia, minore diventa la fedeltà degli arabi d'Israele verso il Paese; e viceversa. Le elezioni hanno alzato il velo su questo problema. Sarà la sua soluzione a determinare il futuro di Israele come Paese, come Stato ebraico e come democrazia.
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