Riportiamo dal CORRIERE della SERA di oggi, 18/02/2009, la cronaca " Fatah-Hamas, prove di governo. Colloqui e un summit al Cairo " di Francesco Battistini sull'incontro avvenuto a Ramallah fra Hamas e Fatah. Ecco l'articolo:
GERUSALEMME — «Siamo l'acqua e l'olio. Il fuoco e il legno. Il sasso e il vetro. Ma stiamo tutti sulla stessa terra e dobbiamo imparare a vivere insieme, prima che qualcun altro ci divida per sempre». Azzam Al Ahmad usa parole di passione, nella saletta del Parlamento palestinese di Ramallah. È il capogruppo del Fatah e un mese dopo la guerra di Gaza, dopo le esecuzioni sommarie di decine di suoi uomini nella Striscia, dopo la tiepida solidarietà manifestata durante le bombe, per la prima volta ha di fronte gli arcinemici di Hamas. Due ore a guardarsi, lunedì sera. Non sempre per capirsi: «Questa riunione è per la nostra riconciliazione. Dobbiamo rimuovere gli ostacoli ».
Ad ascoltare c'è Naser Al Shair, che nell'unico tentativo di governo unitario palestinese faceva il vicepremier. Di fianco siedono Nazar Ramadan, Mahmud Maslah, nomenklatura islamica in Cisgiordania. Parlano meno, loro. E alla fine hanno solo qualche domanda da porre: «Quanti uomini volete schierare a Rafah? Quanti prigionieri ci rilasciate? Quanti soldi gestiremo a Gaza?».
Prove tecniche di riappacificazione. L'Egitto le vuole, i palestinesi le fanno. Domenica tutti al Cairo, per ricominciare da dove si fallì: dal vertice dello scorso autunno, dal rifiuto last minute
di Hamas, che portò alla suicida dichiarazione di finetregua e all'intervento militare israeliano. Hosni Mubarak preme sulle due anime, perché si fondano in un governo d'unità nazionale. Ma la spinta viene solo da lui: dagli Stati Uniti e soprattutto dall'Europa, l'appoggio è tiepido. Il punto sono proprio i soldi: l'Onu ha appena sbloccato i primi 274 milioni di euro in aiuti a Gaza, il 2 marzo Hillary Clinton e il mondo discuteranno in Egitto della ricostruzione, ma serve un soggetto politico più presentabile. E un governo d'unità palestinese con dentro ministri di Hamas, ancora sulla lista nera del terrorismo internazionale, non è quel che i donatori chiedono. Del resto, pure dentro il movimento islamico, dov'è fresco il ricordo del 2006 e del minigoverno unitario poi fallito nel golpe, i fautori di un'alleanza con l'Anp restano pochi. Come gesto di buona volontà, «per dimostrare la propensione al dialogo», Abu Mazen libera una ventina di capi del movimento islamico detenuti in Cisgiordania, proclamando lo «stop alla guerra mediatica che ci sta opponendo da mesi». Si aprono le manette anche a Gaza, dov'era agli arresti domiciliari Ahmad Naser, l'ultimo leader del Fatah rimasto nella Striscia. Ma basterà?
Ore di riposizionamento. Il presidente dell'Anp, dopo mesi di mobbing, rimuove finalmente Abu Ala da caponegoziatore con Israele: al suo posto Saeb Erekat, lo storico portavoce arafattiano, che con un (eventuale) premier Netanyahu ha già lunga consuetudine di scontro. Perché tutto dipende da lì, naturalmente: oggi il presidente Shimon Peres comincia tre giorni di consultazioni per il nuovo governo, e anche le ipotesi di tregua o d'uno scambio Shalit-prigionieri sono congelate. Chi comanderà, deciderà. Dopo le pressioni americane, dopo le indicazioni europee, dopo le interferenze turche, ora anche la Giordania — che sta in pace con Israele da 14 anni — mette le sue condizioni per il futuro esecutivo: in attesa d'un «processo per crimini di guerra all'Aja », ha deciso il Parlamento di Amman, nei prossimi mesi ci sono tre politici israeliani — Olmert, Barak e Livni — che non saranno considerati graditi nel regno hashemita. Per maggio, sono già partiti gl'inviti a un foro mondiale dell'economia, proprio sul Mar Morto giordano: e che si farà, se Tzipi sarà di nuovo al governo?
I dubbi degli islamici
«Quanti uomini volete schierare a Rafah?
Quanti prigionieri ci rilasciate? Quanti soldi potremmo gestire a Gaza?»
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