Il 1985 era finito così.
Alle nove del mattino del 27 dicembre quattro palestinesi irrompevano all’aeroporto Leonardo da Vinci di Roma, lanciavano una bomba a mano nell’affollato spazio tra il banco della EL AL e quello della TWA, e sparavano raffiche di mitra sulla folla.
Immediata la reazione dei quattro agenti di sicurezza israeliani, che sparavano ai terroristi. A loro volta anche gli agenti di polizia italiani aprivano il fuoco.
Sessanta secondi di sparatoria, centinaia i colpi sparati, tredici morti (diventeranno sedici), una settantina di feriti, tra cui un poliziotto e due agenti israeliani. Dei quattro terroristi, tre venivano uccisi e il quarto, ferito, era catturato. Presso a poco alla stessa ora la scena si ripeteva, sempre contro obbiettivi israeliani, all’aeroporto di Vienna, dove i terroristi erano tre. Uccidevano due persone prima di venire a loro volta colpiti. Uno dei tre era ucciso, gli altri due, feriti, catturati.
Dopo questi due attentati è ora, 1986, revocata in dubbio la tesi secondo la quale, e proprio come era stato detto del terrorismo italiano, si tratta di “schegge impazzite” del movimento palestinese di resistenza.
Benché l’OLP si sia affrettata a rinnegare la paternità dei due attentati, quella paternità è accertata.
Sulla tragica vicenda di alcuni mesi prima, quella dell’assassinio di Leon Klinghoffer, un turista ebreo americano a bordo della nave da crociera “Achille Lauro” che veniva gettato in mare con tutta la sua carrozzella di invalido dai dirottatori palestinesi, Faruk Kaddumi, capo del dipartimento politico dell’OLP e dei dirottatori, al pranzo del 4 dicembre a New York della Lega araba e alla presenza del Segretario dell’Assemblea dell’ONU, dirà che Klinghoffer “era paralizzato, aveva 69 anni e forse la moglie lo ha spinto in mare per incassare l’assicurazione. Nessuno ha avuto le prove che sia stato ucciso”.
Agli aeroporti di Roma e di Vienna non c’erano assicurazioni da riscuotere.
Il 13 aprile un evento davvero straordinario. Per la prima volta nella Storia un Pontefice, Giovanni Paolo II, varca la soglia di una sinagoga, il Tempio Maggiore di Roma.
Alla presenza di decine di televisioni, giornalisti, personaggi politici e della Chiesa, oltre naturalmente gli invitati ebrei, l’abbraccio tra il Rabbino Capo Elio Toaff e Papa Wojtyla è immortalato da telecamere e macchine fotografiche che lampeggiano entro le mura del Tempio.
Le parole del Pontefice, con il suo riferimento agli ebrei come “fratelli maggiori” e con il suo pubblico pentimento per le persecuzioni che nei secoli la Chiesa ha loro inflitto, costituiscono una pietra miliare nella storia finora in qualche modo conflittuale tra cristiani ed ebrei, una sorta di viaggio senza ritorno, di vascelli lasciati con i loro roghi alle nostre spalle.
La presenza del Papa e le sue parole in Sinagoga tracciano un solco invalicabile. Da oggi chi si dichiara antisemita è fuori dalla Chiesa: magari continuerà ad esserlo nel suo animo ma non potrà più esternare questo suo sentire e tanto meno propalarlo.
L’antisemitismo è una piaga antica e non sarà questa storica giornata ad eliminarlo, ma proprio questo ha fatto la Chiesa cattolica apostolica romana, lo ha eliminato dalla sua teologia.
L’immagine di Karol Wojtyla al Tempio resterà negli animi, inciderà sulle coscienze, come le sue parole di deplorazione per “gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni dell’antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo da chiunque”.
Stati Uniti, Libia , Italia. Turbolenti i rapporti tra i tre paesi nel 1985 e 1986.
Se i rapporti tra Italia e USA si erano guastati nell’ottobre del 1985 con quella che poi si è chiamata “crisi di Sigonella” (dove i militari italiani impedivano a quelli della Delta Force americana di catturare i dirottatori dell’Achille Lauro, fatti atterrare in Sicilia dai caccia americani e messi poi in salvo in Jugoslavia dal nostro governo), nel marzo dell’86 si svolge uno scontro aero-navale tra libici e americani nel golfo della Sirte.
Tutto quel tratto di mare, da punta a punta, era rivendicato dalla Libia come acque territoriali, contro ad ogni sostegno giuridico.
Il 14 aprile Il Presidente americano Ronald Reagan, ordina il bombardamento di Tripoli e di Bengasi, in ritorsione dell’attentato compiuto a Berlino Ovest in una discoteca frequentata da militari statunitensi, alcuni dei quali rimasero uccisi e oltre duecento feriti. Mandanti ed esecutori dell’attentato erano terroristi libici.
Il 15 aprile da due portaerei americane decollano 14 aerei che colpiscono la residenza di Muammar Gheddafi. Il Rais scampa al bombardamento (muore una delle sue figlie adottive), e il giorno dopo pensa bene di scagliare due missili contro Lampedusa, sede di un centro di osservazione USA. Per fortuna uno dei missili finisce in mare, vicinissimo alla spiaggia, e il secondo cade in un tratto di terreno sabbioso, lontano dalle abitazioni.
L’attacco libico è rivendicato da Tripoli. il Presidente del Consiglio Bettino Craxi ammonisce Gheddafi di non farlo più.
La Libia si vendicherà due anni dopo quando organizzerà l’attentato un aereo della Pan Am su Lockerbie in Scozia, che precipiterù uccidendo 270 persone tra passeggeri ed equipaggio (solo nel 2003 Gheddafi confesserà la sua responsabilità. accettando di risarcire i parenti delle vittime). Una sciagura di tutt’altro genere getta nel lutto migliaia di persone e nel panico mezza Europa. Succede il 28 aprile quando esplode il reattore della centrale nucleare di Cernobyl in Ucraina. Il governo sovietico confermerà il disastro solo alcuni giorni dopo. Non verrà mai riferito il numero delle vittime e di quanti moriranno negli anni successivi a causa delle radiazioni che tra l’altro contaminano (e chissà per quanti anni) il terreno.
A giugno Kurt Waldheim viene eletto in Austria alla Presidenza della Repubblica. Un gesto politico del Parlamento di Vienna che sfida così l’opinione pubblica mondiale (dalla parte di Waldheim ci sono però i paesi arabi), a lui molto ostile fin da quando, mentre era Segretario Generale delle Nazioni Unite, si veniva a sapere della sua partecipazione a crimini contro civili e partigiani jugoslavi nel corso della II guerra mondiale.
Malgrado i suoi dinieghi, a termine del suo alto incarico all’ONU nel 1981, gli Stati Uniti o dichiarano “persona non grata”, ma l’Austria vede le cose in modo diverso. Waldheim, dice, ha combattuto in Jugoslavia nell’esercito tedesco e si limitava ad eseguire gli ordini.
Kurt Waldheim resterà Presidente del suo paese, anche se praticamente isolato dal consesso internazionale, fino allo scadere del mandato nel 1992. Morirà a 88 anni nel 2007.
Andrej Sacharov, il “padre” dell’atomica sovietica e geniale scienziato (sue le scoperte sull’asimmetria tra materia e antimateria nell’universo), è “riabilitato” da Mikhail Gorbaciov che lo fa rientrare in patria dall’esilio di Gorkij, dove era stato confinato nel 1980.
Sacharov, membro dell’Accademia delle Scienze dell’URSS (una prestigiosa carica che riuscirà solo in parte a proteggerlo dalla “vendetta” sovietica) contestava negli anni Cinquanta gli esperimenti nucleari sovietici a scopo bellico.
Successivamente la sua critica diventava vera e propria contestazione del regime liberticida comunista e delle sue durissime repressioni contro ogni tipo di opposizione, e specialmente contro il movimento ebraico di liberazione che rivendicava il riconoscimento dei suoi diritti culturali, religiosi e nazionali in URSS, e quello di emigrare in Israele.
Per questa sua coraggiosa militanza, a Sacharov veniva attribuito nel 1975 il Premio Nobel per la Pace (che tuttavia non poté ritirare), ma anche, appunto, l’esilio a Gorkij.
Ora, 1986, finalmente Sacharov è di nuovo libero, grazie alla “glasnost” e alla “perestroika” di Gorbaciov.
Eletto deputato nel 1989, morirà a Mosca alla fine dello stesso anno.