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La Stampa Rassegna Stampa
16.02.2009 Il programma del viaggio del Papa in Israele
La cronaca di Giacomo Galeazzi

Testata: La Stampa
Data: 16 febbraio 2009
Pagina: 8
Autore: Giacomo Galeazzi
Titolo: «Olmert, sì a Ratzinger - a maggio sarà qui»

Tutti i quotidiani di oggi riportano la notizia della conferma del viaggio del Papa in Israele e il suo programma. Di seguito la cronaca di Giacomo Galeazzi dalla STAMPA di oggi, 16/02/2009 :

Giacomo Galeazzi : " Olmert, sì a Ratzinger - a maggio sarà qui"

CITTA’ DEL VATICANO
Benedetto XVI nella patria di Gesù per chiudere il caso Williamson, il vescovo negazionista che ha provocato accese proteste nei rabbinati mondiali e nel governo israeliano. Lo storico viaggio del Papa in Terra Santa, con tappe in Giordania, Israele e Territori palestinesi, ora è ufficiale. Dopo l’annuncio fatto da Benedetto XVI ai rabbini statunitensi quattro giorni fa, ieri la conferma della visita è stata data dal primo ministro israeliano Ehud Olmert. «In maggio - ha dichiarato Olmert prima della seduta del Consiglio dei ministri a Gerusalemme - si svolgerà una visita importante, quella di papa Benedetto XVI. Il Capo dello Stato, Shimon Peres lo accompagnerà durante il soggiorno, che viene organizzato dall’ ufficio del primo ministro». Quale sarà il primo ministro israeliano per quel periodo non è ancora dato saperlo, ma la diplomazia dello Stato ebraico e quella vaticana stanno definendo dettagli e condizioni del viaggio che dovrebbe avvenire tra la prima e la seconda decade di maggio. Restano da sciogliere il nodo delle autorizzazioni agli arabo-israeliani per partecipare alla cerimonia papale a Betlemme e da attendere l’esito del voto palestinese (con la prospettiva della tregua con Hamas) per fissare gli spostamenti nei territori. La visita in Terra Santa di Benedetto XVI assomiglierà molto, come scansione logistica, a quella di Giovanni Paolo II del 2000. La prima tappa sarà ad Amman, in Giordania, dove il pontefice visiterà la New King Hussein Mosque, la nuova moschea dedicata al defunto re Hussein.
Un gesto importante, perché nella storia ultramillenaria dei rapporti tra cattolicesimo ed Islam, sarà la terza volta che un Papa sosterà in preghiera in un luogo di culto musulmano. La prima fu con Karol Wojtyla a Damasco nel 2001 e la seconda con lo stesso papa Benedetto XVI nella Moschea Blu di Istanbul nel 2006. Altra meta pontificia in Giordania sarà sul Monte Nebo, da cui Mosè, prima di morire, guardò la Terra Promessa. In Israele, Benedetto XVI visiterà Gerusalemme: oltre ai luoghi cristiani (il Santo Sepolcro, il Monte degli Olivi, la Sala del Cenacolo) farà sicuramente sosta al Muro del Pianto. Rimane ancora un grosso punto interrogativo sullo Yad Vashem, il museo dell’Olocausto dove è posta una targa che accusa Pio XII di silenzio sulla Shoah. Forse Benedetto XVI si fermerà solo sulla porta, o comunque gli sarà in qualche modo risparmiato di dover leggere i rimproveri al suo predecessore. Da Gerusalemme, il Papa poi si sposterà nei Territori palestinesi, a Betlemme, dove è previsto un incontro con Abu Mazen, presidente dell’Anp. Ultima tappa, di nuovo in Israele, sarà Nazareth, in Galilea. Se questo è il programma di massima, molti nodi rimangono da sciogliere, tra cui la condizione posta dal Vaticano che gli arabi cristiani dei Territori e di Gaza possano avere il permesso di superare i check-point israeliani per assistere agli incontri con Benedetto XVI. Intanto il vescovo negazionista Richard Williamson, a cui il Papa ha revocato la scomunica insieme ad altri tre lefebvriani, non demorde e, dopo aver rifiutato l’abiura, torna a farsi sentire, puntando l’indice sul suo blog contro «la Chiesa che collassa per mancanza di Dio». Dunque, come nell’incidente di Ratisbona, l’affaire lefebvriani si indirizza verso un viaggio apostolico che assume la valenza dell’epilogo e della riconciliazione con il mondo ebraico. Il discorso di Benedetto XVI in Baviera nel settembre 2006 sollevò le critiche e le proteste del mondo musulmano. Furono necessarie puntualizzazioni del Vaticano, dichiarazioni del Papa e incontri con ambasciatori dei paesi musulmani. Ma solo il viaggio papale in Turchia sancì, anche visivamente, il rispetto che Benedetto XVI tributa all’Islam e il valore che attribuisce al dialogo con i musulmani. Lo stesso copione si sta ripetendo ora nel caso Williamson che ha scatenato le proteste dei «fratelli maggiori» ebrei. Faccia a faccia con la «mediatrice» cattolica di Obama per tendere la mano alla nuova amministrazione americana. Dopo il braccio di ferro tra Vaticano e Casa Bianca sulle cellule staminali, quello di mercoledì con Nancy Pelosi, speaker della Camera Usa, è uno degli incontri più delicati nell’agenda papale. A differenza del suo predecessore Karol Wojtyla, Benedetto XVI, per consuetudine, riceve in udienza i capi di Stato e di governo, ma non i presidenti delle Camere o altri vertici istituzionali. Perciò, la «cattolica adulta» Pelosi (già entrata in rotta di collisione con l’episcopato americano per le sue posizioni abortiste) vedrà il Pontefice al termine dell’udienza generale nell’aula Paolo VI. Un colloquio, spiegano in Curia, che rappresenta un gesto di distensione e un segnale di dialogo rispetto al «muro contro muro» di novembre, quando Obama annunciò di voler rivedere le leggi restrittive sulla ricerca scientifica volute da Bush. Tre mesi fa, contro la prospettiva di un piano statale per l’utilizzo delle cellule staminali embrionali, la Santa Sede non esitò a mettersi di traverso al presidente Usa. «Non servono a nulla e finora non c’è mai stata una guarigione - tuonò il cardinale Javier Lozano Barragan, ministro vaticano della Sanità - Sì invece alle cellule staminali adulte e a quelle del cordone ombelicale». Ora, però, i toni si sono abbassati (nel rapporto tra scienza fede, ieri il numero due della Santa Sede, Bertone ha commemorato Galileo come «divin uomo»), quindi sul colloquio papale con Nancy Pelosi la diplomazia pontificia ripone molte speranze di ricucire lo strappo tra Roma e Washington. Un «vis-à-vis» preparato nei minimi dettagli dall’arcivescovo Dominique Mamberti, ministro degli Esteri vaticano, intenzionato ad instaurare «contatti costruttivi» con la Casa Bianca e favorito dal nunzio apostolico a Washington, Pietro Sambi, «garante» della Pelosi in Curia.
Eppure, aldilà della volontà di «disgelo» dei Sacri Palazzi, le difficoltà sono accresciute dai progetti anticipati dai più stretti collaboratori di Obama. La potentissima speaker democratica della Camera, che è accompagnata dal marito Paul e da una delegazione di sette rappresentanti del Congresso Usa, metterà piede mercoledì in Vaticano accompagnata proprio dalla temuta ufficializzazione del divieto imposto da Bush. «Barack Obama ripristinerà i finanziamenti statali alla ricerca sulle cellule staminali embrionali - ha annunciato ieri il consigliere del presidente Usa, David Axelrod - Sarà firmato presto un ordine esecutivo per revocare il divieto della precedente amministrazione». Nel 2001, infatti, George W. Bush limitò i finanziamenti federali alla ricerca sulle cellule staminali embrionali già esistenti. Una mossa che riscosse consensi nella fetta conservatrice e religiosa dell’elettorato americano che vedeva nella ricerca sulle staminali embrionali (da cui gli scienziati attendono importanti scoperte per la cura del Parkinson e del diabete e molte altre malattie) come un attentato alla vita umana. Un «no» che cementò l’asse «pro life» con la Santa Sede.
La «strategia del sorriso» della Santa Sede include una visita al Museo Vaticani e il saluto di alcuni presuli americani di Curia che hanno riferito delle aspettative riversate dalla Pelosi sull’incontro Oltretevere. Pur essendo una cattolica, Nancy Pelosi è annoverata tra i «liberl» favorevoli alla legislazione abortista assieme al vice di Obama, John Biden e al senatore John Kerry. Sui temi eticamente sensibili i vescovi degli Stati Uniti le hanno più destinato pesanti rilievi, ma ora per la Santa Sede, nell’«ostpolitik» verso Washington, diventa una preziosa alleata per far arrivare le proprie istanze alla Casa Bianca, dove mai come adesso lo staff presidenziale è sguarnito di esponenti cattolici. Dieci mesi fa, negli Stati Uniti è esplosa la polemica per la comunione eucaristica ricevuta durante le messe papali da Nancy Pelosi (allo stadio Nationals Park), Ted Kennedy e Rudy Giuliani, suscitando il duro rimprovero del cardinale di New York, Egan ai politici «pro choice», cioè fautori del libero aborto («La Chiesa cattolica insegna con chiarezza che l’aborto è un’offesa grave contro la volontà di Dio»).

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