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Luciano Tas
Le storie raccontate
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1985: l'anno dell'Operazione Mosé

Per noi il 1985 comincia con un altro guaio.

Walter Reder, il maggiore delle SS responsabile delle stragi di Marzabotto, che era stato catturato verso la fine della guerra in Austria dagli americani e subito estradato in Italia, dove nel 1951 era stato condannato all’ergastolo e tradotto nel carcere militare di Gaeta a scontare la pena.

Ma nel 1980 un altro tribunale militare la commutava e gli concedeva un regime di semi-libertà condizionale, con ritorno serale in carcere.

Infine cinque anni più tardi, dopo aver cercato invano il “perdono” dei famigliari delle sue 1830 vittime, la manovra per rimetterlo in libertà e rimandarlo a casa sua in Austria, aveva successo. Per lui si erano mosse altissime personalità in Austria e in Italia.

Ma chi era Walter Reder? Un maggiore delle SS che comandava il 16° Panzergrenadier “Reichsführer” di stanza in Versilia dopo l’occupazione tedesca dell’Italia nel settembre 1943.

Reder aveva un curriculum militare di prim’ordine. Era stato lui, nel 1939, dopo l’invasione tedesca della Polonia, a dare il via allo sterminio degli ebrei. Sarebbero dovuti passare più di due anni prima di arrivare a Wannsee, nei dintorni di Berlino, dove i massimi capi nazisti deliberarono, con tanto di documenti ufficiali, la Endlosüng, la “Soluzione Finale”, lo sterminio “scientifico” degli ebrei. Ma lui, Reder, non ancora maggiore, si arrangiava con sistemi ancora artigianali di morte. In questo era stato il primo.

In Italia il maggiore Reder non volle venir meno alla sua fama. Appena ebbe ricevuto l’ordine di spazzar via i partigiani dalla Lunigiana, vi si recò con la massima buona volontà e alle sue SS si aggregarono anche reparti di Carrara di Brigate Nere italiane che collaborarono con entusiasmo alla caccia al partigiano. Ma quando questi non si facevano trovare, ecco Reder e i suoi seminare la morte tra i civili a Granone, Monzone, Santa Lucia, Vinca.

Ma alla fine i partigiani della Brigata “Stella Rossa” vennero scovati ai piedi del monte Sole, o meglio, vennero solo scoperti.

Ad essere trovati furono invece gli abitanti di Marzabotto, Grinzane e Vado di Monzumo. La rappresaglia fu tremenda. In località Caviglia le SS di Reder irruppero nella chiesa dove il parroco don Ubaldo aveva fatto riunire, per proteggerli, gli innocenti abitanti, e li sterminarono tutti.

In frazione Castellano vennero fucilati una donna con i suoi sette figli, a Caparra tutti i 108 abitanti.

A Marzabotto inoltre vennero distrutti 800 appartamenti, sette ponti, cinque scuole. Complessivamente i morti furono 1830, 95 dei quali tra gli 11 e i 16 anni, 110 sotto i dieci, 22 di due anni, otto di un anno. Il più giovane, Walter Cardi, aveva due settimane.

Complici delle stragi furono anche, come si è ricordato, elementi repubblichini delle Brigate Nere. Due di loro, Lorenzo Mingardi e Giovanni Quadri, furono processati e condannati, il primo a morte e il secondo a 30 anni. Di riduzione in riduzione, di amnistia in amnistia, i due presto tornarono liberi. La certezza del diritto e della pena.

Qualche migliore sorpresa la procura Israele che, con la sua “Operazione Mosé” riesce a fare arrivare sul suo suolo circa la metà della popolazione ebraica d’Etiopia, i “Falasha”, praticamente tutti quelli che, fuggiti dalla dittatura del loro paese erano stati sistemati in campi di raccolta sudanesi. Erano campi in cui le condizioni erano di estrema indigenza, ma non tanto peggiori di quelle delle popolazioni sudanesi.

La “Operazione Mosé” ricordava da vicino quella chiamata “Tappeto volante” che aveva precedentemente salvato gli ebrei yemeniti, tutti portati “sulle ali delle aquile”, cioè nei capaci aerei da trasporto, in Israele.

Questo salvataggio di ebrei etiopi (quasi tutti gli altri avrebbero raggiunto un po’ alla volta lo Stato ebraico) sollevava però le più fiere proteste di Arafat e di tutto il mondo arabo e qualche severa perplessità dai cultori del diritto a senso unico in Europa, dove non bastava a intenerirli il ritiro delle forze israeliane dalla fascia di sicurezza occupata nel sud del Libano. Eppure qualcuno avrebbe potuto giudicare il ritiro come una mano tesa, tanto più che quella fascia evitava che i terroristi di varie sigle si esercitassero al tiro a segno sui paesi e villaggi israeliani nella zona di confine.

Un altro e più importante avvenimento dà ora inizio a un processo pacificotra Occidente e Unione Sovietica.

Muore a marzo il leader sovietico Konstantin Cernenko, un ottuso e spento burocrate che doveva durare soltanto tredici mesi senza lasciare segni né rimpianti. Al posto suo è chiamato Michail Gorbaciov. Lui sì farà la Storia.

Tra il 19 e il 21 novembre i due super-grandi della Terra, Ronald Reagan, Presidente USA, e Michail Gorbaciov, leader dell’URSS, s’incontrano a Ginevra. Con loro riprende il dialogo Est-Ovest e, con la glasnost (trasparenza) e perestroika (ristrutturazione) di Gorbaciov, crolla con il Muro di Berlino anche l’impero sovietico e il comunismo.

A marzo muore a 96 anni Marc Chagall, il pittore dei violinisti sui tetti e dei fidanzatini che li sorvolano come angeli di terra, il cantore delle shtetl, le cittadelle ebraiche di Polonia e delle “zone di residenza coatta” di Russia, l’estroso narratore a segni e colori vivi e carnali delle povere e squinternate casette di legno dove il pittore era nato da una famiglia poverissima.

E’ curioso che nel 1917, dopo la vittoriosa “Rivoluzione d’Ottobre”, Chagall venisse nominato Commissario alle Belle Arti a Vitebsk, ma la sua pittura non incontrava il favore dei nuovi dirigenti bolscevichi, gli chiedevano sospettosi.

Così Chagall, per prudenza perché aveva già capito l’aria che tirava anche in campo artistico, lasciava l’URSS nel 1922 per stabilirsi in Francia. I fidanzatini volavano anche sui tetti di Parigi.

Il 19 luglio primo “venerdì nero” dell’economia italiana con un grande scossone monetario. Il dollaro passa da quota 1840 a 2200 lire. Il giorno successivo svalutiamo la lira dell’8%. Ci riprenderemo, ma con le ossa un po’ doloranti. Non sarà l’ultima volta.

In agosto a Bari si chiude il primo processo per la strage di Piazza Fontana  a Milano del 1969. Sono passati sedici anni e tutti gli imputati sono assolti per insufficienza di prove. Non sarà l’ultimo processo e di quella strage non si conosceranno mai (almeno ufficialmente) i responsabili. Uno dei molti “misteri d’Italia”.

Luciano Tas


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