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Libero Rassegna Stampa
11.02.2009 Mussolini era antisemita
Ma Marcello Veneziani fa finta di non saperlo

Testata: Libero
Data: 11 febbraio 2009
Pagina: 1
Autore: Marcello Veneziani
Titolo: «Quell'accordo sconosciuto ebrei-Mussolini»

Da LIBERO di oggi, 11/02/2009, riportiamo l'articolo "Quell'accordo sconosciuto ebrei-Mussolini "di Marcello Veneziani riguardante un accordo stipulato negli anni '30 fra ebrei e Mussolini. Veneziani scrive di "riconoscimento pieno, giuridico e morale, delle comunità israelitiche" e, dal suo pezzo, sembra quasi che Mussolini fosse in ottimi rapporti con gli ebrei italiani...peccato per le leggi razziali del '38. Veneziani, non potendo evitare di citarle, le ha relegate nell'ultimo paragrafo, con una riga "Poi arrivarono l’alleanza con Hitler e le sciagurate leggi razziali". Insomma, a Mussolini gli ebrei piacevano...ed è stato portato sulla "cattiva strada"da Hitler, senza essere colpevole delle sue sgiagurate azioni. Veneziani toglie la responsabilità per le leggi razziali italiane a Mussolini, attribuendola tutta a Hitler, e non ne comprendiamo il motivo.
Ecco il testo:

Sapevate che il primo riconoscimento giuridico degli ebrei in Italia, dopo secoli di semiclandestinità, avvenne con lo Stato fascista, sulla scia del Concordato? È una storia che merita di essere raccontata. Cominciamo dal Concordato. Ci volle addirittura il duce, il fascismo e lo Stato Etico per ricucire la breccia di Porta Pia e la ferita tra la Chiesa e lo Stato italiano, l’11 febbraio del 1929.
Quando andavo a scuola, e non era sotto il regime fascista ma molto dopo, era ancora festa a scuola. La Conciliazione fu difesa pure dal leader comunista Palmiro Togliatti, che da Guardasigilli nel primo governo repubblicano difese tanto il Codice Rocco che i Patti Lateranensi tra Stato fascista e Chiesa.
Ernesto Galli della Loggia e Dino Messina sul Corriere della Sera hanno ricordato come un evento positivo quel Concordato, dove Mussolini era riuscito a realizzare quel che l’Italia liberale, da Cavour a Giolitti, non era riuscita a fare. Una Conciliazione che rinnegava le origini anticlericali del fascismo e del Mussolini socialista, ateo e rivoluzionario, e che gettava nella disperazione i futuristi, sognatori dello svaticanamento d’Italia; ma anche i tanti fascisti neopagani e gli idealisti che vedevano la religione come una specie di stadio infantile e popolare della filosofia. Da Evola a Spirito e Gentile, per intenderci.
Ma non voglio raccontarvi la storia che si sa, anche se magari si preferisce dimenticare. Vorrei invece dirvi di un capitolo segreto di quella storia. Accanto al vistoso concordato con la Chiesa Cattolica, lo Stato fascista realizzò anche un Concordato più nascosto: con gli ebrei.
È una scoperta che feci da ragazzino. Una volta mio padre mi portò a casa di un illustre vegliardo che viveva tra Roma e Bisceglie, nostro parente. Lo chiamava zio Nicola, ed era Nicola Consiglio, giurista, direttore generale degli Affari penali e anche degli Affari di culto, stretto collaboratore del ministro Rocco. Sulla parete di questa casa che sembrava imbalsamata, ferma all’Ottocento, trovai una medaglia d’oro che la Comunità israelitica aveva donato a lui nel 1930.
Chiesi notizia di quella strana decorazione e venni a sapere che gli ebrei avevano voluto manifestare la loro gratitudine a quel giurista che aveva portato a compimento il riconoscimento pieno, giuridico e morale, delle comunità israelitiche. Fu - spiegò il vecchio don Nicola, che le governanti e i fattori chiamavano Sua Eccellenza - la Conciliazione tra Stato ed Ebrei, su impulso di Mussolini. D’altra parte, ricordava don Nicola, che fascista non fu mai, molti erano stati i fascisti ebrei dalla Marcia su Roma in poi. In particolare ricordava Finzi (non c’è una zeta di troppo). Lo Stato pontificio del Papa re e poi lo Stato laico e liberale non avevano riconosciuto giuridicamente la comunità israelitica in Italia; toccò al fascismo rimediare a questa lacuna.

Non allineato

Nicola Consiglio era un cattolico liberale che come molti magistrati aveva conservato la sua autonomia durante il fascismo. Pur non essendo allineato, Mussolini e Rocco lo vollero a condurre le trattative con il Vaticano e poi con la Comunità degli ebrei. Già si era occupato con successo della spinosa vertenza sul santuario di Pompei dopo la morte di Bartolo Longo. Così fu chiamato a far parte del ristretto gruppo che doveva definire la Conciliazione.
Succeduto a Domenico Barone, Consiglio si riuniva con Rocco, con Pacelli, giurista della Chiesa e fratello del futuro papa, il cardinal Gasparri (che con Maurizio non c’entra un beato fico), e con Monsignor Borgoncini Duca. Si vedevano di nascosto la sera, e la governante di don Nicola, vedendolo uscire come un ladro per incontri misteriosi, pensava a chissà quale relazione amorosa. Invece, vedeva giuristi e preti. A volte in quegli incontri c'era anche lui, il Ducione.
Grazie a Consiglio, come attestano i verbali, la durata dei Patti non fu limitata a soli 5 anni, fu sdoppiata giuridicamente la parrocchia in chiesa e patrimonio; furono letti in chiesa gli articoli del codice civile sul matrimonio. Consiglio era timido e spesso era lo stesso Mussolini che si spazientiva per la sua ritrosia a parlare, e una volta lo incoraggiò a mormorare, aggiungendo che in Italia era stata abolita la critica, ma non la mormorazione. Un’altra volta si spazientì per la riservatezza di Consiglio che non beveva neanche un caffè e ordinò d’imperio alla sua governante Cesira una camomilla, che il timido don Nicola trangugiò doverosamente.
Ai nemici il duce dava l’olio di ricino, ai magistrati la camomilla (consiglio per Silvio dopo la separazione delle carriere). Quando il giorno fatale raggiunsero l’accordo, chiesero a don Nicola cosa bevesse per festeggiare. Lui chiese «acqua e zucchero» e Mussolini si associò: brindarono così con acqua (santa?) e zucchero al Concordato.

Gratitudine al Duce

Dopo la Conciliazione, Consiglio elaborò la legge sulle Comunità israelitiche. La commissione che se ne occupò fu salomonica: tre rappresentanti degli ebrei e tre giuristi, rappresentanti dello Stato italiano. Scrive Renzo De Felice: «Il governo fascista accettò pressocché in toto il punto di vista ebraico». Il presidente del consorzio ebraico, Angelo Sereni, telegrafò a Mussolini «la vivissima riconoscenza degli ebrei italiani» e sulla rivista “Israel” Angelo Sacerdoti definì la nuova legge «la migliore di quelle emanate in altri stati».
Poi arrivarono l’alleanza con Hitler e le sciagurate leggi razziali. A tale proposito è da ricordare lo strano caso del giurista Gaetano Azzariti, che fu tra gli autori dei Codici e poi tra i firmatari del “Manifesto sulla razza”, divenendo presidente del Tribunale della razza. Ma nonostante questi trascorsi, fu ministro di Grazia e Giustizia del governo Badoglio, poi stretto collaboratore di Togliatti ministro della Giustizia, e infine, nominato dal capo dello Stato Giovanni Gronchi alla Corte Costituzionale, ne diventò presidente, morendo in carica nel 1961.
Don Nicola si ricordava ancora, a 100 anni suonati, che Mussolini gli disse l’11 febbraio del 1929: «Lei passerà alla storia». E lui rispose: «Sono stato semplicemente la mosca cocchiera». Alla storia, in effetti, don Nicola non passò, ormai dimenticato; ma ottant’anni dopo non è male ricordare questo galantuomo risorgimentale, più vecchio del duce e decisamente più antico, che cucì la pace tra Stato e Chiesa e tra l’Italia in camicia nera e gli ebrei.

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