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11.02.2009 Elezioni in Israele: Tzipi Livni in testa, maggioranza alle destre
Rassegna di quotidiani: le analisi Fiamma Nirenstein,Danielle Sussmann, Antonio Ferrari, Anna Momigliano, Michael Sfaradi, cronache e interviste

Testata:Il Giornale - Informazione Corretta - Corriere della Sera - - L'Opinione - Il Riformista - La Repubblica -Il Manifesto - Il Sole 24 Ore
Autore: Fiamma Nirenstein-Danielle Sussmann -Davide Frattini-Antonio Ferrari-Anna Momigliano-Francesco Battistini-Michael Sfaradi-Michele Giorgio-Ugo Tramballi
Titolo: «Elezioni in Israele»

Ecco come i quotidiani di oggi, 11/02/2009, hanno riportato i risultati delle elezioni di ieri:
Di seguito le analisi di Fiamma Nirenstein sul GIORNALE, di Davide Frattini e Antonio Ferrari sul CORRIERE della SERA, di Anna Momigliano sul RIFORMISTA, l'intervista di Francesco Battistini a alla cantante Noa sul CORRIERE della SERA, le cronachedi Battistini e di  di Davide Frattini sul CORRIERE della SERA, un articolo di Alberto Stabile su REPUBBLICA e alcune brevi da MANIFESTO e SOLE 24 ORE.

Il GIORNALE - Fiamma Nirenstein : "Nel futuro un'instabile coalizione ", pagina 16

Israele seguita a sognare la pace, ma con cautela, e teme alquanto i passi falsi. È questa la prima conclusione che possiamo trarre dalle proiezioni che danno la vittoria a Kadima, ma in un testa a testa tale con Netanyahu, che si potrebbe dire che ambedue hanno vinto le elezioni. Adesso Peres non ha davvero un compito facile nel conferire l’incarico di governo, che in Israele si dà a chi ha più possibilità di formare una coalizione. E una coalizione di destra oggi conterebbe 63 seggi contro 57.
Con un graffio finale da grande tigre, porta a porta, telefonata dopo telefonata, macinando chilometri e sforzandosi di spremere la sua scarsa giovialità, Tzipi Livni ha strappato per due punti la vittoria a Bibi Netanyahu. E Bibi, investito dalla sfortuna di trovarsi appiccicata addosso la destra fondamentalista di Feiglin e poi di vedersi contendere i voti da Lieberman, adesso deve inghiottire una sconfitta inaspettata, se si pensa che solo un mese fa aveva almeno cinque punti in più. Lieberman, il concorrente novità, considerato di estrema destra, prende 14 seggi, un numero che ne fa l’ago della bilancia, ma con minore forza del previsto. Barak con 13 seggi registra un insuccesso, ma riporta l’altalena in equilibrio, e così accade con Shas a destra, 9 seggi, e con i 5 del Meretz, di estrema sinistra.
Le componenti della vittoria della Livni sono legate prima di tutto al fatto di essersi posta al centro del panorama, ottendo così consensi a destra e a sinistra, per la pace e contro il terrorismo; in secondo luogo, la Livni è un personaggio pulito rispetto alle marea di avvisi di garanzia che fluttuano sul mondo politico israeliano; poi, si è legata alla speranza, testimoniata da anni di indagini sull’aspirazione alla pace, che si possa trovare una soluzione al conflitto israelo-palestinese; l’ha aiutata il sostegno femminile a una candidata colta, intelligente, e anche dura col nemico; e infine ha pesato la preoccupazione che Netanyahu non sarebbe andato d’accordo con la nuova amministrazione di Barack Obama, che spingerà verso una road map consueta, terra in cambio di pace. Netanyahu ieri notte ha ripetuto che nonostante tutto sarà lui il prossimo primo ministro. Affermazione basata sul fatto che la destra è comunque cresciuta moltissimo in risposta alla minaccia nucleare iraniana. È presto per capire se il risultato sia positivo per il futuro del Medio Oriente. Esso è destinato in prima istanza a rallegrare coloro che immaginano che la destra sia una disgrazia per la pace nonostante la performance di Sharon con Gaza e anche di Netnayhau a Wye Plantation, e a restituire legittimità a Israele dopo la guerra. Ma i due maggiori contendenti, nonostante la vittoria di Livni, sono talmente vicini da non potere fare a meno l’uno dell’altro. Kadima deve tenere conto del grande, oggettivo bisogno di Israele di sentirsi difesa dai pericoli che la circondano e il Likud, per converso, se Netanyahu divenisse il nuovo premier si troverebbe di fronte un’opposizione portatrice di un’aspirazione immediata alla pace. Gli ostacoli che i due possono porre l’uno all’altro possono risultare paralizzanti. In questa situazione, o si va a un difficile governo di coalizione, o a una situazione di instabilità che potrebbe portare presto a nuove elezioni.

L'analisi di Danielle Sussmann, scritta per INFORMAZIONE CORRETTA, L’ombra di Sharon sulle elezioni 2009

L’affluenza alle urne, 3% in più delle precedenti elezioni, ha sfatato la propaganda della “stanchezza” degli elettori israeliani che hanno risposto alla chiamata dei leaders “a sfidare con coraggio il maltempo”. Il 65,2% degli elettori ha votato. Considerata la peculiarità degli elettori israeliani, l’affluenza è stata massiccia.

Gli exit poll danno vincente la Livni (per un seggio) su Netanyahu, con Lieberman terzo e i laburisti quarti. Con una vittoria talmente esigua (che ricorda i risultati elettorali del 1996) per entrambi i contendenti, da consentire un concreto timore sull’ingovernabilità, fino alla necessità di indire nuove elezioni. Netanyahu già afferra la preponderante vittoria del blocco di destra per imporre il suo premierato sulla vincente Livni che lo esorta a rispettare le scelte degli elettori. I partiti si oppongono alla rotazione del premierato come accadde con Peres e Shamir. Né appare si voglia un’unità di governo. Si profila una situazione incandescente. Ma quello che soprattutto emerge dal risultato elettorale che premia Netanyahu, è che abbiano vinto il cuore e la demagogia, non il realismo.

Sorprendono certe omissioni nelle analisi fatte sui candidati elettorali.

In piena operazione Cast Lead, Tzipi Livni buttò il sasso nell’acqua che ora viene indicato come un masso solo perché ripreso da Lieberman. La Livni disse che gli arabi israeliani che si considerano palestinesi (lo conclamano  dalla prima intifada) dovranno coerentemente risiedere nel nuovo stato palestinese. La novità di Lieberman è che chiede – ragionevolmente e coerentemente – un atto pubblico di lealtà verso lo Stato israeliano. Se i figli e nipoti di coloro che vollero rimanere nello stato ebraico, assumendone la cittadinanza con diritti e doveri (salvo l’obbligo nell’esercito), non è più avvertito come in origine, questi dovranno fare una scelta responsabile per il loro futuro e per il futuro di Israele. Non è tollerabile che sfruttando diritti e vantaggi, mostrino il loro odio per Israele fino a sostenere i suoi nemici e a collaborare con loro. Non è tollerabile che uno stato in guerra a causa dei vicini e lontani stati nemici, continui a legittimare l’esistenza di una quinta colonna al suo interno. Si deve dare atto a Lieberman di essere coerente a qualsiasi diritto statuale del mondo. Affrontare responsabilmente il tema palestino-israeliano all’interno di Israele, dimostrerà quanto minoritaria sia la quinta colonna che va espulsa, e responsabilizzerà nuovamente figli e nipoti di coloro che hanno accettato con vivo entusiasmo l’appello di Ben Gurion a rimanere in Israele. Le disparità sono emerse dalla prima intifada, cioè l’apice di un malessere che si è rivelato pericoloso nel tempo per Israele. Da tempo, andava risolto il problema. E il duo Livni-Lieberman mi sembra adatto allo scopo.

Lieberman è pronto a rinunciare a quella parte della Galilea con più alta densità abitativa araba, in cambio dei luoghi a maggior densità ebraica in Cisgiordania? Non si tratta altro che del programma “67 plus” ottenuto da Sharon con la Lettera di Intenti del Presidente G.W.Bush – approvata dal Congresso degli Stati Uniti – il 14 aprile del 2004. Il governo israeliano uscente era conscio – dopo gli incontri con Obama in Israele, durante la campagna presidenziale USA – che il neo Presidente degli Stati Uniti avrebbe “nicchiato” su questa Lettera, favorendo il realismo dei negoziati tra le parti, come d’altronde ha sostenuto in un’intervista. Come sempre accade nella politica israeliana, quando temi essenziali rischiano lo stallo, si avvicenda un nuovo governo a propugnarli. Questa volta, con un outsider. Il solo fatto che Lieberman sia demonizzato da arabi ed europei, dovrebbe essere un motivo ulteriore per sostenerlo. Anche Lieberman si muove nel segno realista di Sharon.

Tzipi Livni ha condotto parimenti l’Operazione Cast Lead, quale artefice di una forte e sostanziale Hasbarah per Israele. Talmente forte e sostanziale, che sta abbattendo nelle sedi opportune la propaganda antisraeliana con i fatti. La Livni, come ricordavo, non solo avvalla, ma sostiene la politica di Lieberman, in quanto tale politica era quella di Ariel Sharon. Non a caso, Kadima condivide con Israel Beitenu affinità maggiori rispetto al Likud.

Chi critica la scelta del ritiro dalla Striscia di Gaza non si rende ancora conto della strategia politica e militare più ampia costruita da Sharon e dai suoi consiglieri. Mai sarebbe stata possibile l’Operazione Cast Lead con ebrei ed israeliani all’interno della Striscia. Lo stillicidio dei massacri di israeliani, “coloni” anziché soldati, sarebbe continuato all’infinito. Sharon ha tagliato il nodo di Gordio. Proprio perché sapeva cosa sarebbe accaduto, anche se molti nutrivano la speranza che i palestinesi approfittassero dell’occasione offerta, iniziando a costruire l’embrione di uno stato palestinese, confidando in forti spinte da parte americana ed europea. L’unico contributo americano ed europeo, è stato quello di uno sciagurato drappello di sostenitori ed osservatori che hanno avvallato la strategia dell’ancor più sciagurato ex presidente Carter, con le elezioni che hanno portato alla prevedibile vittoria di Hamas. Una scelta, rivelatasi ancor più criminale (già lo era eticamente, considerato che Hamas propugna l’annientamento di Israele e l’uccisione  di ogni ebreo) perché ha portato alla delegittimazione dell’AP nella Striscia e al golpe cruento e fratricida contro al-Fatah, creando l’Hamastan. Ma l’obiettivo dei carteriani, di tutti coloro che si riconoscono nel suo Centro per i Diritti Umani (a senso unico), era quello di impedire qualsiasi possibilità politica a sostegno di  un’offensiva contro la Striscia di Gaza. Per questo motivo, oltre a dover rispondere all’aggressione dal Libano, ci sono voluti tre anni per preparare le condizioni politiche e militari per l’Operazione Cast Lead.

Continuo a ritenere Netanyahu inadeguato al ruolo di Premier, tanto più oggi a fronte delle nuove e terribili sfide che attendono Israele. A suo merito, l’essere fratello dell’Eroe di Entebbe, l’essere un ottimo comunicatore, ma ha dimostrato nel suo precedente governo di valere poco. Né mi pare abbia dismesso la sua arroganza e la sua megalomania. Non solo ha ceduto in fatto di concessioni, ma ha anche umiliato Israele internazionalmente durante la visita ufficiale del Presidente francese Chirac a Gerusalemme. L’esuberante Chirac si lamentò vivamente della polizia israeliana che presidiava Notre Dame e che doveva scortarlo fino all’interno del centro religioso francese. Si fosse trattato solo di questo! Disse testualmente che “non accettava tale ingerenza in Territorio Francese” “In Territorio Francese” ???!!! La stessa sera, al King David Hotel, Netanyahu offriva il suo brindisi di scuse al Presidente francese. L’indomani, Chirac si recava in Libano ad incontrare il suo caro amico-cliente, il Premier Hariri. “Grazie” alla sua esuberanza a Gerusalemme e ad un umiliato Netanyahu, Hitzballah pensò bene di festeggiare, uccidendo due soldati israeliani nel sud del Libano. Ancora. Per aprire la seconda porta della Galleria del Tempio, non solo Netanyahu provocò (ovviamente non volontariamente, ma per irresponsabilità politica) la morte di 15 poliziotti nella spianata del Kotel, ma addirittura, lo sdegno occidentale. Eppure, Israele era nel suo Diritto come dimostrò troppo tardi. Da 10 giorni, Bibi promette che manterrà Gerusalemme unita e ha promesso che topplerà, ops, annienterà Hamas. Quest’ultima promessa sappiamo dipendere unicamente dai palestinesi. La prima, è di Sharansky con il suo impegno da ministro e con “One Jerusalem” ad oggi. Inoltre, non dimentichiamo che le promesse elettorali di Netanyahu – se opporrà un braccio di ferro come è nel suo carattere ed in alcuni del Likud - franeranno a fronte dei veti e del rifiuto americano a fornire finanziamenti ed armamenti.

Ehud Barak. Se politicamente, Olmert ha vinto la guerra in Libano rispettando le linee di Sharon, militarmente, Barak ha dimostrato che Israele ha ancora bisogno dei suoi grandi generali. L’abbiamo visto con Cast Lead. Ma quello che sembra sfuggire ai più, è che quando Israele promette tutto il possibile, ogni offerta verrà respinta in campo arabo. Questo lo sanno i governi israeliani, americani ed europei e tutti gli osservatori. Tale consapevolezza sfugge alle masse appassionate. Intendo dire che Barak, come qualsiasi altro PM israeliano, ha fatto solo e solo gli interessi di Israele. Gli unici incapaci a ricoprire tale ruolo sono stati Peres e Netanyahu.

Come ho pensato ad oggi, chiunque vinca le elezioni in Israele, non rappresenterà l’immediato governo israeliano. Chiunque vinca, non sarà il reale vincitore, anche perché nessuno degli attuali protagonisti, come gli uscenti,  ha l’abilità a governare da solo. Il reale vincitore sarà il governo di Israele che si formerà appena sarà chiara ed evidente la strategia della presidenza USA in Medio Oriente. A cui sarà necessario contrapporre un governo capace di affrontare le antiche e nuove sfide.  E questo governo che, secondo me, dovrebbe vedere un triumvirato Livni, Barak e Lieberman, sarà quanto di più coerente a proseguire nel nome e nell’eredità di Ariel Sharon, il più grande statista e stratega israeliano di tutti i tempi. Altrimenti, Israele rischia di ritornare all’isolamento internazionale e di disperdere i pochi ma sostanziali vantaggi conseguiti ad oggi. Danielle Sussmann

CORRIERE della SERA - Davide Frattini : " Tzipi spinta da donne e sinistra - 'tocca a me, in gioco la pace ' ", pagina 3

TEL AVIV — «Siamo i bambini dell'inverno '73 / Ci avete guardato e abbracciato/ Con le lacrime agli occhi avete detto/ Speriamo che non dobbiate mai indossare la divisa/ Avevate promesso una colomba e un ramo d'ulivo». In uno degli ultimi comizi, Tzipi Livni ha scelto una canzone di 14 anni fa, 1995, assassinio di Yitzhak Rabin. Lei che allora si era opposta agli accordi di Oslo, dal palco ha proclamato: «Andate a votare, c'è in gioco la pace».
Nei mesi di campagna elettorale, gli strateghi di Kadima hanno suonato musiche diverse: l'integrità della candidata, il pericolo Hamas (prima e dopo i ventidue giorni di conflitto nella Striscia di Gaza), una politica diversa e più pulita. Il ritornello che hanno sempre ripetuto è stato «Rak Lo Bibi», com'è intitolato in ebraico un gruppo anti-Netanyahu creato su Facebook. «Chiunque eccetto Bibi» avrebbe trasformato la rincorsa di Tzipi in una vittoria, se gli exit-poll vengono confermati.
«Anche se abbiamo solo uno o due seggi in più, voglio vedere come il presidente potrà spiegare agli israeliani che il mandato non venga affidato a me», ha proclamato lei. La stessa formula è stata sostenuta dal quotidiano
Haaretz in un editoriale: «Chi vince deve provare a governare ». Il centro-sinistra non avrebbe i deputati sufficienti, il ministro degli Esteri ripete di volere una coalizione di unità nazionale, potrebbe proporre l'alternanza con Netanyahu e l'ingresso dell'ultranazionalista Avigdor Lieberman non è escluso.
Livni si è presentata al seggio senza il marito Naftali Spitzer, che l'ha seguita come manager tuttofare (dai panini per gli attivisti alla scelta degli slogan). Gli strateghi Reuven Alder e Eyal Arad hanno cercato di rendere più calda l'immagine dell'ex agente del Mossad. Lei che per rilassarsi suona la batteria è salita sul palco del deejay nella discoteca Haoman 17, ha fatto un giro dei bar di Tel Aviv e ha incontrato un gruppo di donne nel quartiere bohémien di Florentin (con la sponsorizzazione della cantante Orna Datz).
Solo nelle ultime settimane, i due consulenti avevano deciso di non nascondere più che il ministro degli Esteri è una donna, da quando avevano scoperto che il 59 per cento dei sostenitori di Kadima è fatto di elettrici. «Vero, è una sconosciuta — scrive il quotidiano Haaretz
in prima pagina — e l'ignoto fa paura. E' anche una fonte di speranza, crescita, cambiamento. L'ignoto ha un prezzo da pagare, il coraggio. L'atto coraggioso è scommettere su Tzipi Livni, anche solo perché non è mai stata primo ministro, anche solo perché è donna, anche solo perché è una sconosciuta».
Nel quartier generale di Kadima, risuona il rap del Livni Boy, che fa eco alla Obama Girl. «Oh oh oh Tzipi / tu sei quello che volevo/ tutto quello che aspettavo/ da un leader politico/ Tzipi se me lo permetti/ sarò il tuo uomo». Tutti ballano e dall'età e dallo stile si capisce che hanno qualche cugino dalle parti di Meretz. La figlia di Eitan e Sara, eroi delle bande clandestine ebraiche, cresciuta nel sogno revisionista di uno Stato israeliano dal fiume Giordano al Mediterraneo, è riuscita ad attrarre i voti della sinistra.
A due giorni dal voto, Ehud Olmert si è allineato pubblicamente con il partito e ha proclamato di sostenerla. Il premier uscente ha così cancellato le voci che lo davano come alleato segreto di Netanyahu. Lui e Livni si sono contesi l'eredità di Ariel Sharon e l'abbraccio silenzioso dell'ex primo ministro, in coma dal gennaio del 2006.
Il ministro degli Esteri ha aspettato i risultati a casa, con la famiglia. La villetta su due piani, periferia nord di Tel Aviv, è diventata il centro della politica. In soggiorno, una celebre foto di Sharon, seduto da solo su una panca al museo, circondato da quadri di Picasso. Il partito fondato dal generale, quando lasciò il Likud, potrebbe aver generato il Big Bang che prometteva nei suoi slogan: una donna premier dopo 35 anni, dai tempi di Golda Meir.

CORRIERE della SERA - Antonio Ferrari : " La rimonta e i rischi di confusione ", pagina 1-38:

Una donna, la prima dai tempi di Golda Meir, al timone di Israele? I sostenitori ne sono convinti, ma bisogna andarci piano.
La bella e coraggiosa Tzipi Livni, ministro degli Esteri, leader del partito centrista Kadima, grazie a un sorpasso in salita clamoroso, è in testa nei primi exit poll. Però il vantaggio su Benjamin Netaniahu, capo della destra del Likud, è così esiguo che non è prudente avventurarsi nella palude delle previsioni. L'esperienza ci insegna che per il momento si tratta di una temporanea vittoria ai punti, che conferma i timori della vigilia: il rischio di ingovernabilità. Anche perché la destra, complessivamente, avrebbe alla Knesset 64 seggi, mentre il centrosinistra soltanto 56. Una contraddizione che propone lo spettro di possibili nuove elezioni, a meno che i due leader decidano di dar vita ad un (improbabile, almeno per ora) esecutivo di unità nazionale, allargato ad altre formazioni minori.
L'uomo che ha regalato alla Livni l'inatteso vantaggio, è sicuramente il laico fondatore di Israel Beiteinu, l'anti-arabo e reazionario Avigdor Lieberman, che con la sua campagna di estrema destra ha prosciugato il vantaggio che Bibi Netaniahu aveva sino a pochi giorni fa. Con i suoi 15 seggi, Lieberman ha infatti raddoppiato i consueti voti che raccoglievano i movimenti di protesta (i superlaici di Shinui prima, i pensionati tre anni fa), mentre il ministro della difesa uscente, il laburista Ehud Barak, è al quarto posto con un'umiliante prospettiva di 13 seggi, il peggior risultato di sempre nella storia di Israele. Un'onta insopportabile per un partito che è sempre stato fondamentale, sin dalla nascita dello Stato ebraico. Un collasso clamoroso, che forse spiega l'enorme distanza tra il generale Barak, il soldato più decorato di Israele, e il suo disorientato e sfiduciato partito. In realtà, Barak è stato percepito come un leader più a destra della stessa Livni. La cui affermazione è sicuramente un segnale di fiducia per il rilancio del processo di pace, anche se «questo non significa pace», ha detto un analista arabo.
Notizie e anticipazioni che sicuramente verranno accolte con favore dal presidente dell'Autorità nazionale palestinese Abu Mazen, e allevieranno i timori di Barack Obama, impegnatissimo a rilanciare il dialogo fra le parti, anche perché Tzipi Livni è l'unica ad aver detto di credere alla necessità di tendere la mano ai vicini di casa, restituendo i territori in cambio della pace. Ma un conto sono le intenzioni, un conto è la realtà.
Se i risultati confermeranno gli exit poll (lo vedremo all'alba), la partita più delicata toccherà al presidente di Israele Shimon Peres, che dovrà affidare l'incarico di formare il governo a chi sarà in grado di assicurarsi il sostegno di almeno 61 deputati. Chi parlava di incertezza e confusione aveva pienamente ragione.

L'OPINIONE - Miachael Sfaradi : "Tranquillo Martedì elettorale caso unico in medio oriente   "

Ieri mattina alle 8.30 ora locale in Israele, cosa unica in Medio- oriente, si sono aperti i seggi elettorali per le elezioni politiche generali. In realtà una parte dei seggi era già stata aperta il giorno prima nelle basi dell'esercito e nelle stazioni di polizia, per permettere ai militari, ai poliziotti, ed alle guardie di frontiera di esprimere il loro voto. Questo perché gli uomini e le donne in divisa sono state impegnate nel mantenimento dell'ordine, del corretto svolgimento delle elezioni e allo stretto controllo sia ai confini con Gaza (si teme infatti che qualche lancio di missili o razzi verso le città del Neghev possa in qualche modo disturbare il normale svolgimento delle elezioni) sia ai valichi con la Cisgiordania che sono rimasti chiusi. Non bisogna dimenticare ch e Israele è una Repubblica Democratica situata in un angolo di mondo dove le parole Democrazia e Repubblica sono considerate una bestemmia, e che proprio il giorno in cui si esercitano i diritti fondamentali potrebbe essere scelto per attacchi o attentati terroristici. Ma in Israele non si lascia nulla al caso ed è per questo che agenti e soldati sono stati dislocati in tutti gli angoli nevralgici della nazione al fine di mantenere un costante controllo del territorio durante la tornata elettorale. Si tratta di elezioni anticipate, infatti l'attuale Primo Ministro Olmert è stato costretto a rassegnare le dimissioni sia dall'incarico ministeriale che da segretario del partito Kadima dopo gli scandali finanziari che lo colpirono. Tzippi Livni, attuale ministro degli esteri, gli succedette alla segreteria del partito ma non riuscì a trovare una maggioranza per un governo che potesse finire la legislatura; da qui la decisione del Presidente Peres di richiamare la popolazione al voto. L'affluenza alle urne registrata alle 17,30 e del 50,3%, secondo gli esperti una dimostrazione sublime di democrazia allo stato puro. La commissione di controllo ha fatto sapere che, stando ai calcoli, a fine serata la percentuale totale dei votanti sarà oltre il 73%. I leaders dei partiti che, secondo i sondaggi sono dati per favoriti, hanno votato, come da prassi, davanti alle telecamere per poi continuare a peregrinare nelle sedi dei loro partiti per incontrare gli iscritti ed attivisti e per lanciare appelli alla popolazione di recarsi a votare. Il primo della lista è stato Avigdor Libermann, il segretario del partito Israel Beitenu (Israele casa nostra), che si è presentato al seggio a lui assegnato di prima mattina. Libermann, dopo anni di purgatorio politico, sente nell'aria che sta arrivando un successo al di la di ogni più rosea previsione e sta sfruttando appieno la contingenza politica al punto che il suo partito potrebbe diventare il terzo in ordine di importanza della Knesset (il parlamento israeliano) dopo il Likud di Netanyahu e Kadima della Livni. Le elezioni si sono svolte con ordine anche se ci sono stati alcuni momenti di tensione. Il più grave si è registrato ad Hum el Fahem, a 70 km a nord di Tel Aviv, dove alcuni facinorosi non hanno permesso l'ingresso nel seggio locale del rappresentante di uno dei partiti religiosi. Ci sono stati momenti di tensione che sono sfociati con dei tafferugli e lancio di pietre verso la scuola che ospitava il seggio e verso le forze di polizia che dovevano mantenere l'ordine, causando la rottura di finestre e della rete protettiva dell'istituto scolastico. Solo dopo l'intervento della polizia è tornata la calma e il seggio ha potuto riprendere la sua attività

Il RIFORMISTA - Anna Momigliano : " Generazione Rabin confusa alle urne ", pagina 11:

Parola d'ordine: balagàn. Caos, confusione, dubbio, sconcerto. In altre parole, casino. Questa volta i proverbiali "giovani israeliani di sinistra", che per anni sono stati l'anima viva del movimento pacifista, non sanno dove sbattere la testa. Come ha votato ieri la «generazione Rabin»? Quelli che hanno seguito Yitzhak Rabin nelle piazze degli anni Novanta, che nel 2000 hanno votato Barak «perché Ehud ci tirerà fuori dal Libano», alcuni dei quali nel 2006 hanno votato Olmert, magari turandosi il naso perché «Ehud ci metterà tutti a nanna e ci darà la pace degli stanchi», come diceva il giovane scrittore Etgar Keret. È già da un po' di tempo che il movimento pacifista israeliano arranca. Ma stavolta sembra proprio alla frutta: indeciso, in parte arrabbiato, ma soprattutto deluso dal cosiddetto «Campo della Pace», quella galassia di partiti e movimenti di sinistra (il Labour, Meretz, l'associazione Peace Now) nata per sostenere la Roadmap.
In parte la stanchezza è demografica: molti dei ragazzi che hanno seguito Rabin nel periodo d'oro del movimento pacifista adesso hanno più di 30 anni. Il che in Israele significa avere messo su famiglia e guardare tutto da un altro punto di vista: «A un certo punto cambia la prospettiva, pensi ai razzi sulle scuole e cominci a renderti conto che la sicurezza è una cosa importantissima» racconta Dvorah Fitoussi, classe 1978. Militava nel movimento giovanile del Meretz, ma la sera prima delle elezioni non aveva ancora le idee chiare su come votare.
Il «campo della pace» sta subendo una vera e propria emorragia di voti. E questo è evidente soprattutto nella Tel Aviv "cool", tra i giovani laici e progressisti che finora erano il bacino d'utenza preferito del Labour ma soprattutto del Meretz, il partito sionista ma pacifista, social-democratico ma libertario, che recentemente si è fuso con il "nuovo movimento", cioè il "partito degli scrittori" di Amos Oz e compagnia.
I delusi del Meretz si sono spostati a destra o a sinistra? Difficile a dirsi: «Mai vista una confusione del genere» dice al Riformista Lisa Goldman, autrice di uno dei blog israeliani più seguiti (Al ha-panim/ On the Face). «Conosco tanta gente che per anni ha sostenuto il Meretz e questa volta ha votato Hadash», ossia il partito comunista anti-sionista, che un tempo si rivolgeva soprattutto agli arabi israeliani, ma che adesso sta facendo una campagna tutta indirizzata alla gioventù dorata di Tel Aviv. In parte per superare la perdita di consensi tra gli arabi, in parte per sfruttare la debolezza del Meretz. Il messaggio è: noi siamo gli unici davvero contro la guerra. Dall'altro lato conosco anche gente che ha sempre votato a sinistra, persino per Hadash, che questa volta ha scelto Kadima. Non perché amino Tzipi Livni, ma perché hanno paura di ritrovarsi con la destra al governo», prosegue la blogger. «L'unica cosa chiara e che il Peace Camp ha deluso molti».
L'impressione è che ci sia una polarizzazione. Da un lato chi non crede più nella vecchia Roadmap perché è convinto che gli arabi non vogliano la pace o che comunque manchino le condizioni: meglio allora votare Kadima, che propone un processo di pace pragmatico, e all'occorrenza unilaterale. Ma poi c'è anche il voto di protesta che si dirige alla sinistra anti-sionista , deluso dal fatto che la "sinistra sionista" abbia sostenuto (anche se con molte riserve) gli interventi in Libano e a Gaza. Una tendenza che ha notato la blogosfera "giovane" ma anche la stampa adulta e vaccinata: «Il Meretz è alle corde. Barak e Livni lo stanno cannibalizzando da destra, Hadash si prende quel che resta» scriveva Ari Shavit su Haaretz. Il pacifismo sionista è in crisi: non c'è più una generazione Rabin, quel che resta è una generazione balagàn.

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini: " Il Mondo ci isola, così cresce la destra ", pagina 2.

GERUSALEMME — Contenta? «Sì e no. S'è capito che Netanyahu e Lieberman sono gli eroi di questo Paese. Però se Tzipi la spunta, abbiamo qualche speranza».
Cade l'acqua, ma non si spegne: Noa è andata tardi a votare per la Livni, sotto un diluvio, e quando rincasa per accendere la tv ha già saputo com'è andata dalle chiamate degli amici: «E va bene, un sacco di destra e una buona notizia». Quarant'anni a giugno, la voce bella quanto il viso, la più famosa ebrea yemenita d'Israele è abituata a non sentirsi mai nel posto giusto: quand'era bambina a New York, non si sentiva americana, quando faceva la naja in Israele, non capiva una parola d'ebraico. E anche ora che è La Voce d'Israele, resta senza voce: «Non condivido una parola della destra. Ma capisco chi l'ha votata».
Una valanga annunciata. E quel crollo a sinistra...
«Il motivo non va cercato solo dentro Israele: va cercato fuori. È da anni che noi israeliani ci sentiamo isolati. Ogni volta che vado all'estero, mi sento attaccata. Quanto fanatismo, soprattutto in Europa. Un processo sommario a un intero popolo. Israeliani tutti cattivi. Allora, capisco questa necessità di difendersi: la destra dà risposte a chi si sente fuori posto. Io credo nella pace, ma non condanno chi vota a destra. Ogni giorno, nel mondo c'è una manifestazione antistraeliana. Non ne ho mai viste tante contro la Russia, o per le libertà schiacciate nei Paesi arabi. Ci fanno venire il complesso di dirci israeliani. E che cosa credono d'ottenere, se mettono un popolo intero in un angolo, se lo identificano nei suoi governanti? Vince chi parla di forza, di sicurezza, d'orgoglio delle radici».
Ma se ci sarà un governo Livni...
«Bisogna vedere quanto peseranno, i suoi voti. Io sto con Tzipi, perché è una donna e ha un vissuto. L'ho conosciuta anni fa. Mi ha dato subito l'impressione d'una capace d'attraversare gli schieramenti. Kadima non è il mio partito. Ma lei è la mia premier».
Quanto ha pesato Gaza?
«La guerra è stata un momento d'incubi. Ogni israeliano che crede nella pace l'ha vissuta malissimo. I miei amici che stanno a Gaza mi hanno sempre parlato di che inferno sia. Non si racconta spesso che cos'è vivere sotto Hamas. Senza libere opinioni, senza democrazia. Se la sera parli in casa di politica, devi chiudere le finestre. Ho aiutato un mio amico del Fatah a venirsene a Ramallah. Mi ha descritto torture terribili. Mi piacerebbe, un concerto per ricostruire Gaza. Ma bisogna essere sicuri: nemmeno l'Onu ha la certezza che gli aiuti per Gaza non finiscano nelle casse di capi di Hamas, quelli che poi comprano i razzi e ammazzano la gente».
Questo Paese non sembra mai stanco di muscoli, di fanatismi.
«È per questo che canto. Cantare è amicizia. Far nascere amicizia fra due popoli. È il mestiere dei politici, dei leader religiosi, ma anche degli artisti».
I leader religiosi: lei è la cantante del Papa...
«Non chiamatemi la cantante del Papa, per piacere! Sono anche altro! In Italia ho fatto concerti, ho lavorato con Benigni per "La vita è bella". Ho fatto perfino concerti in napoletano ».
Va bene: ma canterebbe ancora, per questo Papa?
«Entrare in Vaticano sotto Giovanni Paolo II è stato un grande onore. Era un uomo fantastico, ha avvicinato le genti e le religioni. Con Ratzinger, non si fanno più concerti. Ha bloccato tutto. Non sono stata più invitata e non so se accadrà mai. È un Papa diverso. Penso abbia capito d'aver fatto qualche errore, quando s'è dimenticato di citare le sofferenze degli ebrei, quando ha tollerato il vescovo negazionista. L'ha capito, ma s'è fermato lì. Il suo è un dialogo più complicato».

CORRIERE della SERA - Francesco Battistini : " Netanyahu : io premier. Ma la Livni in vantaggio: ora al governo insieme ", pagina 2.

GERUSALEMME — Zitta zitta, Tzipi forse ce la fa. La lunga marcia su Bibi Netanyahu, cominciata mesi fa e passata per uno scandalo, per le dimissioni d'un premier, per la leadership d'un partito, per un tentativo fallito di formare un governo e infine pure per una guerra, la lunga marcia di recupero finisce con un sorpasso certificato dagli exit poll: 1-2 seggi di distacco del suo Kadima centrista sulla destra Likud. Per la prima volta dai tempi di Golda Meir, una donna alza le braccia la sera del voto e già s'incorona: se sarò premier, dice Tzipi Livni, «mi piacerebbe avere vicino sia Netanyahu che Barak». E lancia un'offerta concreta al primo. Se è davvero la vincitrice, lo diranno i risultati definitivi. Se sarà premier, lo deciderà il presidente Shimon Peres. Anche perché la sua volata sbatte sul muro duro del blocco di destra: Yisrael Beiteinu, quello dell'ultranazionalista Avigdor Lieberman, non sbanca come ci si aspettava, ma con 15 seggi diventa pur sempre il terzo partito del Paese. E la decina di posti conquistati dai religiosi Shas, più gli altri dieci dei minipartiti di destra estrema (Unione della Torah, Casa ebraica, Unione nazionale), sono una bella dote perché sia Bibi, e non Tzipi, a varcare la fatidica soglia della maggioranza alla Knesset: quasi 65 seggi su 120.
Si sa chi ha vinto, non si sa bene chi ha perso. «Sarò io il futuro premier», è certo Netanyahu, mentre nella notte aspetta ancora i due seggi che potrebbe regalargli il voto nelle caserme. «Israele ha scelto Kadima», insiste la Livni. Resta un dato a indebolire la posizione della ministra: il disastro della sinistra. I 13 seggi raggranellati dal laburista Ehud Barak, il capo della Difesa che ha bombardato Gaza, sono a tutt'oggi il minimo storico mai toccato dal partito che fu dei padri fondatori d'Israele. E questa miseria di risultato, unito ai 12 seggi che mettono insieme i socialdemocratici di Meretz e i due partiti arabi, fa tutt'insieme 55: troppo poco, perché i progressisti possano rivendicare una maggioranza. In un'elezione con buon numero di votanti, 60 per cento, nelle difficoltà della sinistra pesa di sicuro la forte astensione delle città arabe, traumatizzate dalle bombe su Gaza, indignate dall'arabofobia di Lieberman, deluse dai rappresentanti alla Knesset: ieri eravamo a Um el Fahem, 45 mila abitanti, e a metà giornata i presidenti dei seggi guardavano sconsolati l'affluenza del 10 per cento. «Vincono gli estremisti», è la nota politica di Hamas: «Con la destra, nessuna tregua sarà possibile ». Anche in Israele, qualcuno già si spaventa: «Che meraviglioso Paese», la satira tv di Canale 10, un'ora dopo gli exit poll, mostra l'imitazione d'un Lieberman vestito di nerofascista, coi dobermann al guinzaglio e gli sgherri neri dietro, ghignante e pronto a «governare questo Paese da rigovernare ». Le sirene cominciano a cantare: Grosse Koalition, piccole alleanze sottobanco, un incarico di governo da conquistare seggio su seggio. La prima offerta politica, sorpresa, non viene dalla destra: Roni Bar On, ministro di Kadima, allunga la mano e propone un'alleanza elettorale nientemeno che a Yisrael Beiteinu. «Non vorrete mica suicidarvi all'opposizione con Netanyahu?», è l'invito. Meglio Lieberman di Bibi: oggi alle 13, il corteggiato Avigdor dirà per chi batte il suo cuore.

La REPUBBLICA - Alberto Stabile : " E la città trincea dei palestinesi caccia i leader dei partiti razzisti ", a pagina 1- 12. Il titolo è scorretto perché attribuisce la patente di "razzismo" indistintamente alla destra nazionalista israeliana, descritta per altro da Stabile con disprezzo, come una  "variegata compagnia di militanti dogmatici, nazionalisti e messianici ". Gli arabi israeliani sono secondo il giornalista di REPUBBLICA "cittadini di serie B". Lui stesso, tuttavia deve ammettere che "godono delle libertà fondamentali". Ecco allora che il problema viene spostato: "vivono emarginati". Dalle righe che seguono,  nelle quali vengono riportate dichiarazioni di abitanti della città di Umm El Fahem e di politici arabo-israeliani, si capisce però che l'"emarginazione" è autoimposta. E che coincide con  il rifiuto di considerarsi israeliani, in nome della negazione del diritto all'esistenza dello Stato ebraico.

Ecco il testo:

UMM EL FAHEM - La guerra annunciata alla fine non c´è stata. Almeno per oggi. Ma si respira una certa atmosfera di vittoria al seggio N.12, della scuola media Razi, di questa cittadina arroccata sui monti della Galilea, dopo che una folla di alcune decine di persone, più rumorosa che tumultuante, ha costretto il deputato di estrema destra, Arieh Eldad, ad allontanarsi sotto scorta della polizia. «Oggi questo è diventato il seggio più famoso d´Israele», dice con ingenua soddisfazione Kraman, un giovane farmacista che ha studiato a Firenze e parla l´italiano con lieve accento toscano.
In realtà, quello che è successo è l´ultimo atto di una vicenda cominciata prima delle elezioni e destinata a proseguire anche dopo. Tema: l´eterno conflitto sulla terra messo in scena da figure estreme e marginali, dunque, potenzialmente pericolose. Succede, all´indomani dello sgombero da parte della polizia della casa palestinese illegalmente occupata dai coloni di Hebron, che uno dei leader più estremisti, Baruch Marzel, già seguace del movimento razzista e anti-arabo Kach, rilancia la vecchia idea di una marcia su Umm el Fahem. Al cento per cento araba, la cittadina è considerata una roccaforte del movimento islamico in Galilea. La marcia, tenuto conto dell´ideologia che anima Marzel, sembra una provocazione. La polizia la vieta.
Ma ecco che, approssimandosi le elezioni, il partito Unione Nazionale, altro pianeta nella galassia dell´estrema destra, annuncia di aver dato a Marzel l´incarico di scrutatore al seggio N.12 di Umm el Fahem. E scatta l´allarme. Ricorsi, appelli, palleggiamenti di responsabilità. Alla fine, ancora una volta, la polizia ferma Baruch Marzel sulla strada per Umm el Fahem. Ma intanto le forze politiche locali si sono organizzate. Il movimento islamico chiama la popolazione a bloccare gli accessi alla città. Ma al posto di Marzel, arriva Eldad, il medico deputato, considerato un´autorità nel campo della chirurgia plastica e delle grandi ustioni, ex comandante del servizio sanitario dell´esercito, ex esponente di Moledet, un movimento che propugnava il «transfer» della popolazione araba e palestinese.
Ora, questa variegata compagnia di militanti dogmatici, nazionalisti e messianici sembra aver trovato una convergenza tattica nello slogan lanciato da Avigdor Lieberman, il leader di Israel Beitenu (la nostra casa Israele), «Nessuna cittadinanza senza lealtà», con cui, richiedendo un giuramento di fedeltà allo stato ebraico, si mette in causa la cittadinanza di un milione e 300 mila arabi-israeliani.
Alle 10,15, accompagnato da una nutrita scorta di polizia, Eldad si presenta alla scuola Razi. Fuori, lo aspettano cento manifestanti. Dentro, i rappresentanti dei partiti arabi sono molto irritati. Il vice presidente del seggio, Ibrahim Mahamid, gli grida in faccia che «la sua presenza è illegale». Segue battibecco. Eldad si siede al posto del presidente, osserva le operazioni di voto che non sono per nulla frenetiche. La folla dei manifestanti lancia sputi e improperi. I più infiammati travolgono le barriere. Le truppe speciali afferrano i più facinorosi e li portano via. Tre o quattro gli arrestati. Ma Eldad è costretto ad andarsene.
Umm el Fahem vive la sua giornata di gloria senza fanfare. Gli arabi israeliani sono un popolo diviso e in crisi d´identità. Cittadini di serie B, godono delle libertà fondamentali, ma, di fatto, vivono emarginati. «Non mi sento palestinese - dice Kraman - ma non mi sento neanche israeliano. Questo è il problema». E su questo malessere guadagna consensi il movimento islamico che, oggi chiede alla gente di non andare a votare. Ma gli altri partiti non ci stanno. La città è attraversata da macchine imbandierate. Prevale il vessillo rosso dei comunisti di Hadash, il Fronte democratico per la Pace e l´Eguaglianza, che qui contava molto prima di essere travolto dall´ondata islamista. «Non vedo cosa ci guadagniamo a non votare, se non che i nostri rappresentanti conteranno ancora meno», dice Kraman.
Arriva il deputato Jamal Zahalka del partito Balad, uno dei più polemici tra i rappresentanti arabi-israeliani alla Knesset. Vi accusano di essere la quinta colonna del nazionalismo palestinese. «Noi siamo gli indigeni. Eravamo qui prima di loro. Non siamo arrivati nel �78, come Lieberman. Non siamo venuti in Israele è Israele che è venuto da noi», risponde. Ma almeno vi sentite leali cittadini di questo Stato? «Non ci sentiamo leali cittadini di questo Stato. La lealtà verso uno Stato è un´idea fascista. Siamo leali verso la gente, gli esseri umani, i nostri valori. È lo Stato che deve essere leale verso di noi».

Il SOLE 24 ORE - A pagina 7 Ugo Tramballi continua a criticare il sistema proporzionale adottato in Israele.
Israele è uno stato di immigrati provenienti da ogni parte del mondo e, per questo, molto diversi tra loro. Da qui nasce l'esigenza, per ognuno dei gruppi, di avere un proprio partito che lo rappresenti al governo. Per questo ci sono così tanti partiti (e non solo due maggioritari). In questo modo ogni cittadino ha un  partito in cui può riconoscersi. ("Testa a testa Livni-Netanyahu")

Il MANIFESTO- Michele Giorgio a pagina 11, pur di criticare Israele, oggi si scaglia contro coloro che hanno deciso di non votare affermando che " il maggior astensionismo si è registrato tra gli israeliani ebrei che vivono nel sud del paese preso di mira dal lancio di razzi palestinesi, insoddisfatti dall'esito della recente offensiva militare a Gaza, nonostante l'uccisione nella Striscia di 1300 persone (tra i quali centinaia di donne e bambini) e la distruzione di migliaia di case". Chi viene attaccato è colpevole e non vittima, secondo Giorgio. Inoltre la sua frase lascia credere al lettore che ai cittadini israeliani piaccia la guerra in sè e che sia stato per loro un piacere colpire anche i civili di Gaza (Giorgio non specifica nemmeno una volta che, in realtà, gli attacchi erano diretti ai terroristi di Hamas) e non un'azione dovuto al bisogno di difendersi e li critica perchè ora non sono soddisfatti. D'altro canto i lanci di razzi qassam non sono del tutto cessati (proprio ieri ne è stato tirato uno da Gaza), ma a Giorgio questo non interessa. Ciò che importa è criticare Israele e demonizzare i suoi cittadini e, non potendolo fare per motivi reali, usa come pretesto l'astensionismo dei cittadini di Sderot. ("La  rimonta di Livni mette ko Netanyahu")

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