L'ombra dell'atomica iraniana L'analisi di Benny Morris
Testata: Il Sole 24 Ore Data: 09 febbraio 2009 Pagina: 30 Autore: Benny Morris Titolo: «La bomba Khomeini»
Pubblichiamo un articolo di Benny Morris apparso domenica 8 febbraio nell’inserto culturale del SOLE 24 ORE dal titolo “La bomba Khomeini”. Trent’anni fa la caduta dello Scià schiudeva le porte alla Repubblica degli ayatollah. Le relazioni con Israele erano destinate a deteriorarsi, anche per le ambizioni nucleari del governo islamico.
“Una scena mi è rimasta impressa in mente dal mio breve viaggio a Teheran nel 1970, durante il periodo d’oro delle relazioni israelo-iraniane: il “rappresentante” israeliano – un uomo dalla carnagione scura, che pur in assenza del titolo formale svolgeva in tutto e per tutto il ruolo di ambasciatore – che, prima di recarsi in centro città per un pranzo a casa di una ricca famiglia ebrea, apriva con circospezione il primo cassetto della sua scrivania, tirava fuori una pistola nera semiautomatica e se la infilava nella cintura. Nel 1979, quando i fondamentalisti islamici guidati da Khomeini presero il potere in Iran, consegnarono l’edificio della legazione israeliana all’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) perché vi stabilisse la sua “ambasciata”. Per gli israeliani, l’Iran musulmano non era mai stato un posto sicuro, anche se dagli anni Cinquanta questo Paese era stato il principale fornitore di petrolio di Israele e il suo più grande alleato – sia pur dietro le quinte – nella regione. Insieme, i due Paesi avevano contribuito a orchestrare e armare la rivolta dei curdi contro Baghdad negli anni Sessanta, e avevano contrastato i venti del nazionalismo pan-arabo che spiravano dal Cairo di Nasser. Stando a quel che si dice, il servizio di sicurezza israeliano, lo Shin Bet, aveva addestrato la sua controparte iraniana agli ordini dello scià Pahlavi, la temibile Savak; e, ironicamente, erano state poste le basi – sempre stando a quel che si dice – per un piccolo programma di cooperazione nucleare. Per entrambe le parti, la loro relazione si basava sul vetusto principio secondo cui “il nemico del mio nemico è mio amico”. Per più di due decenni, il rapporto israelo-iraniano aveva rappresentato, dal punto di vista del Primo ministro israeliano David Ben-Gurion, la testata d’angolo della “Politica di periferia”, che a partire dagli anni Cinquanta – dopo che Israele ebbe perduto la speranza di arrivare alla pace con gli Stati arabi – aveva visto lo Stato ebraico impegnato a cercare di cementare delle alleanze con gli Stati e i gruppi non-musulmani e/o non-arabi (i maroniti libanesi, i cristiani del Sudan meridionale, i curdi iracheni, l’Etiopia) che circondavano gli immediati (e bellicosi) vicini di Israele. Ma poi arrivarono Khomeini e i suoi militanti messianici a mettere a fuoco il mondo sciita (e, più in generale, quello islamico), con una cosmologia che rappresentava Israele e gli Stati Uniti come, rispettivamente, “il Piccolo Satana” e “il Grande Satana”. A partire da allora, Teheran ha costantemente (anche se spesso velatamente, con una buona dose di astuzia e mendacità) continuato ad attaccare l’Occidente e Israele, di solito agendo per procura in modo che le sue impronte rimanessero invisibili e l’Iran stesso non corresse il rischio di subire rappresaglie. Così, negli anni Ottanta e Novanta, gruppi di militanti Hezbollah controllati dagli iraniani hanno assassinato degli agenti della Cia, hanno distrutto l’ambasciata americana a Beirut e hanno fatto saltare in aria l’ambasciata israeliana e il centro di ritrovo della comunità ebraica locale a Buenos Aires; e, dal 2003 in poi, gli irregolari sciiti hanno ripetutamente colpito le forze degli americani e dei loro alleati in Iraq. Pur trovandosi spesso ai ferri corti sul piano ideologico con l’organizzazione sunnita di Al Qaeda, anche il regime iraniano, al pari delle corti di Bin Laden, mira a distruggere l’Occidente (e Israele) e a instaurare il dominio islamico su tutta la Terra (per quanto ciò possa sembrare inverosimile agli attualmente potenti, prosperi e pacifici europei). Ma la sovversione e il terrorismo sono strumenti che hanno solo una portata e una finalità limitate. Il motore principale del cambiamento che Teheran vuole portare nello scenario internazionale è dato, ai suoi occhi, dalla Bomba islamica – o, più precisamente, iraniana – che, indipendentemente dal fatto che venga effettivamente usata oppure soltanto brandita, finirà per intimorire lo smidollato Occidente (e i suoi alleati nel Medio oriente) inducendolo alla sottomissione. Questa convinzione è la forza propulsiva che sta dietro all’inarrestabile procedere del programma di ricerca nucleare iraniano, messo in moto dall’ayatollah Khomeini già negli anni Ottanta. Oggi, a trent’anni di distanza, quel progetto atomico domina la realtà e le paure mediorientali, con il problema di come rispondere a questa minaccia – tolta l’opzione di un attacco nucleare preventivo contro l’Iran – che lascia nel più profondo sconcerto gli strateghi di Gerusalemme, Riyadh e Washington. Oggi gli americani possono anche trastullarsi con l’idea di come sganciare le proprie forze dal pantano iracheno, e gli israeliani possono combattere le loro battaglie quotidiane con i piccoli lanciatori di razzi della Striscia di Gaza. Nelle loro menti, però, al primo posto si staglia l’ombra minacciosa della bomba atomica iraniana. E’ questo il problema che dominerà la storia del Medio oriente, e forse del mondo intero, negli anni a venire. Traduzione di Daniele Didero