Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein".
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)
Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine.
Elie Wiesel - I miei maestri, gli amici L'intervista di Alessandra Farkas
Testata: Corriere della Sera Data: 08 febbraio 2009 Pagina: 30 Autore: Alessandra Farkas Titolo: «Elie Wiesel - I miei maestri, gli amici : Mosè, Mauriac, Levi»
Dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/02/2009, a pag. 30, l'articolo di Alessandra Farkas " Elie Wiesel - I miei maestri, gli amici : Mosè, Mauriac, Levi . Via il Giorno della Memoria se serve solo per attaccare Israele". Oggi a Venezia il convegno in memoria della Shoah durante il quale verrà proiettato il video dell'intervista a Elie Wiesel di Alessandra Farkas. Ecco l'intervista:
NEW YORK — È il più illustre sopravvissuto ad Auschwitz; il primo, secondo molti storici, ad avere attribuito alla parola Olocausto il significato moderno. Eppure Elie Wiesel non ama essere chiamato un autore dell'Olocausto. «Non è un tema di cui scrivo volentieri», racconta il premio Nobel dall'ufficio della «Elie Wiesel Foundation for Humanity » sulla Madison Avenue (vittima eccellente della maxitruffa di Bernard Madoff) impegnata da anni «contro l'indifferenza, l'intolleranza e l'ingiustizia», dal Darfur alla Bosnia, dal genocidio armeno al dramma dei desaparecidos argentini. «Ho scritto solo quattro libri sulla Shoah — racconta —. Non posso scrivere un romanzo su Auschwitz perché sarebbe un ossimoro. Un romanzo su Auschwitz o non è un romanzo oppure non parla di Auschwitz ». Anche il convegno che la comunità ebraica di Venezia gli dedica oggi è, soprattutto, una riflessione sul tema, attualissimo, della difesa dei diritti umani. Un'occasione per festeggiare gli 80 anni (compiuti il 30 settembre scorso) dello scrittore, attivista e docente di origine ungherese ma americano dal 1963, considerato il leader morale degli ebrei della diaspora. In questi giorni Wiesel celebra anche un'altra pietra miliare: il suo cinquantesimo romanzo, Le cas Sonderberg, acclamato dai critici francesi, dove affronta il lacerante conflitto tra vecchie e nuove generazioni nella Germania di oggi. «Che cosa ci avete fatto?», chiede al vecchio zio il giovane protagonista Werner Sonderberg, «a causa vostra siamo condannati a vivere nella colpa». A fornirgli l'ispirazione sono stati gli studenti tedeschi che frequentano con passione i suoi corsi di Storia e cultura ebraica alla Boston University. «Quasi tutti — racconta — sono assaliti da sensi di colpa così mostruosi che i loro compagni di corso debbono intervenire per consolarli. Ho scritto questo libro per dare ai giovani tedeschi il diritto di interrogare — e condannare — i loro padri. Non credo nella colpa collettiva e desideravo esonerarli da un peccato di cui, pur non essendosi macchiati, portano ingiustamente il peso mentre i veri colpevoli non provano alcun rimorso». Dal prossimo 17 febbraio arriva nelle librerie americane anche A Mad Desire to Dance («Un pazzo desiderio di ballare»): 288 pagine scritte d'un fiato subito dopo Le cas Sondenberg. È la storia di un anziano polacco sopravvissuto all'Olocausto, solo, litigioso e sull'orlo della follia, che dal lettino della psicanalista Therese Goldschmidt esplora il trauma incancellabile che lo ha condannato a una vita di angosciante e paranoico isolamento. Come Isaac Bashevis Singer e Abraham Joshua Heschel, anch'essi ebrei mitteleuropei emigrati in America, Wiesel s'ispira alla grande tradizione ebraica del Vecchio Continente, al contrario di autori come Saul Bellow e Philip Roth, preoccupati a descrivere i tic e le ubbie dell'ebreo nato e cresciuto nel Nuovo Mondo. «Isaac — ricorda — lavorava con me al Daily Forward ma non posso dire che fosse un amico. Come lo era invece Saul, mio collega alla Boston University. E Bernard Malamud, che vedevo poco ma al quale ero legato». E Philip Roth? «Non lo vedo da tantissimo tempo, anche se all'inizio della sua carriera ci frequentavamo regolarmente». Soltanto alcuni di questi autori avranno l'onore di finire in My Teachers and My Friends («I miei maestri e i miei amici») l'autobiografia di oltre mille pagine — un lungo percorso umano e culturale — che Wiesel spera di dare alle stampe entro due o tre anni al massimo. «Accanto a Mosè, Baruch Spinoza, Thomas Mann, Abraham Joshua Heschel e Saul Lieberman ci saranno tanti scrittori, musicisti e Protagonisti attivisti di cui nessuno ha mai sentito parlare». Un capitolo speciale sarà dedicato a Primo Levi. «Molto tempo dopo essere stati liberati — ricorda — scoprimmo di essere finiti nello stesso blocco e nella stessa baracca di Auschwitz. Primo già allora era una persona molto importante, mentre io non ero nessuno». La loro amicizia fu intensa e insieme spirituale. «Facevamo lunghissime discussioni su Dio e Israele: io li difendevo comunque, mentre lui era assai critico». La religione li divideva. «Dopo l'orrore — ricorda — Primo Levi aveva rifiutato per sempre l'Onnipotente, diventando agnostico. Io invece continuavo a litigare con Dio, ma non potevo divorziare da lui. Primo si chiedeva come degli esseri umani avessero potuto fare questo ad altri esseri umani. Io mi chiedevo come avesse potuto Dio permettere a degli esseri umani di farlo». Wiesel fu uno degli ultimi amici che Levi chiamò prima del suicidio. «Intuii subito la disperazione che lo consumava. "Primo, lascia tutto e vieni da me a New York", lo supplicai. "Ti mando oggi il biglietto, annullo tutti i miei impegni e andremo noi due soli da qualche parte insieme". "È troppo tardi", mi rispose lui prima di riagganciare». Tra i maestri ci saranno anche Albert Camus, Henri Bergson e Jean-Paul Sartre, che l'hanno ispirato e guidato quando studiava Filosofia alla Sorbona, prima di diventare giornalista per il quotidiano francese L'Arche. Fu allora che conobbe François Mauriac, lo scrittore francese (premio Nobel per la letteratura nel 1952) che nel 1955 lo persuase a scrivere delle sue esperienze di internato nei campi di concentramento di Auschwitz e Buchenwald. «Gli debbo tutto: senza di lui non esisterebbero La notte e gli altri miei cinquanta libri. Fu lui, cristiano profondo e tormentato, il primo a voler sapere quando nessuno in Europa aveva sentito o voleva sentire parlare di Olocausto». Qualcuno ha scritto, erroneamente, che Wiesel si è arricchito con La notte, libro tradotto in oltre trenta lingue, di cui sono state vendute decine di milioni di copie. «In realtà quando finalmente nel 1957 trovai un editore, Les Editions de Minuit, ero talmente felice che firmai un contratto con il quale cedevo tutti i diritti. Più tardi ricevetti lettere di avvocati e luminari della giurisprudenza, da ogni parte del mondo, che volevano aiutarmi a riottenerli. Ma come potrei rinnegare la mia stessa firma? ». Appartenere all'ultima generazione in grado di testimoniare non lo preoccupa. «Libri, conferenze, seminari, articoli di giornale: l'Olocausto — sottolinea — non ha mai occupato un posto più grande nella memoria collettiva dell'umanità. Ricordo ancora di quando non riuscivi a trovare un solo corso su questo tema in alcuna università al mondo. Oggi, al contrario, non esiste college che non ne contempli almeno uno». Ciò non significa però che l'antisemitismo sia un fenomeno del passato. Nel febbraio del 2007 Wiesel fu aggredito in un hotel di San Francisco dal ventiduenne Eric Hunt, un negazionista dell'Olocausto che più tardi si vantò della bravata in un sito web di neonazisti. Da allora lo scrittore è costretto a girare con la scorta. «Concordo con Cynthia Ozick— tiene a precisare Wiesel — quando afferma che il Giorno della Memoria andrebbe annullato, se serve solo per attaccare Israele. Christopher Hitchens, Noam Chomsky e Norman Finkelstein mi disprezzano per questo motivo, perché io amo lo Stato d'Israele e loro lo odiano. Il problema è loro, non mio, e non m'interessa discutere con gente così». E gli antichi dissapori con Simon Wiesenthal? «Lui mi odiava per pura gelosia. Però debbo riconoscere che ha fatto molto di buono e con lui, al contrario degli altri tre, mi confrontavo». Nonostante questo amore per Israele, quando il primo ministro Ehud Olmert nel 2007 gli chiese di candidarsi alla presidenza del Paese con il sostegno del suo partito Kadima, Wiesel rifiutò. «Per due mesi fui assediato da gente che mi pregava di accettare. "Forse non siamo abbastanza importanti per lei?", mi chiese piccato un giornalista israeliano durante una conferenza stampa. L'ultima cosa che volevo fare era offendere gli israeliani — prosegue — e allora dovetti rispondere con chiarezza: perché venite da me? Non ho soldi, ma solo parole da offrire. Ma quelle parole sono mie, e nel momento stesso in cui diventassi presidente cesserebbero di esserlo».
Dopo il lager Primo Levi era diventato agnostico. Io al contrario non potevo divorziare da Dio
Sono debitore di Mauriac: era un cristiano tormentato e voleva sapere tutto quanto sulla Shoah
Gli intellettuali come Noam Chomsky mi disprezzano perché amo Israele che loro odiano
Giornata di studi a Venezia - Olocausto e diritti umani
In onore di Elie Wiesel (nella foto insieme ad altri deportati nel lager nazista di Buchenwald, dove era stato trasferito nel 1945 da Auschwitz) si tiene oggi a Venezia una giornata di studi organizzata dalla locale comunità ebraica. L'incontro ha come tema «Elie Wiesel: ricordare la Shoah nella difesa dei diritti umani» e si svolge presso il centro comunitario ebraico della città lagunare (Cannaregio, Ghetto Vecchio 1189). Intervengono Roberto Della Rocca, Daniel Vogelmann, Antonio Papisca, Antonio Cassese, Riccardo Di Segni e Amos Luzzatto. All'inizio del convegno verrà proiettato il video di un'intervista a Wiesel realizzata da Alessandra Farkas.
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