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Fiamma Nirenstein ci parla della guerra antisemita contro l'Occidente

Riprendiamo da FORMICHE.net, la video-intervista di Roberto Arditti a Fiamma Nirenstein dal titolo: "A che punto siamo in Medio Oriente. Intervista a Fiamma Nirenstein". 
(Video a cura di Giorgio Pavoncello)

Intervista a tutto campo a Fiamma Nirenstein di Roberto Arditti, a partire dal suo ultimo libro: "La guerra antisemita contro l'Occidente". Le radici dell'antisemitismo e perché l'aggressione contro il popolo ebraico in Israele è un attacco a tutto campo contro la civiltà occidentale. E una sconfitta di Israele segnerebbe anche la nostra fine. 



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
08.02.2009 Da Arafat ad Hamas gli amori sbagliati della sinistra
Una serie infinita di errori, l'analisi di Paolo Lepri

Testata: Corriere della Sera
Data: 08 febbraio 2009
Pagina: 1
Autore: Paolo Lepri
Titolo: «La sinistra da Arafat ad Hamas e la causa che non esiste più»

Dal CORRIERE della SERA di oggi, 08/02/2009, a pag. 1-13, l'articolo di Paolo Lepri , dal titolo " La sinistra da Arafat ad Hamas e la causa che non esiste più ".

Il leader comunista spagnolo Julián Grimau, giustiziato dai franchisti, il deputato greco Gregoris Lambrakis, assassinato da estremisti di destra, i ragazzi anti-Tambroni di Reggio Emilia, la tomba di Gramsci a Testaccio, un paesaggio africano. Sfogliando quella Iconografia ingiallita che Pier Paolo Pasolini aveva messo insieme, poco prima di morire, come una sorta di «poesia visiva » , la memoria corre ad altre immagini-simbolo dell'intreccio tra passione e ideologia. Una, sicuramente, è quella scattata a New York, il 13 novembre 1974: Yasser Arafat parla all'Assemblea Generale dell'Onu offrendo di abbandonare il fucile per impugnare il ramoscello d'ulivo. In un'altra, meno nota, vicino a «Mr Palestine» si riconosce l'ex criminale nazista Kurt Waldheim, allora segretario generale delle Nazioni Unite.
Quella foto non avrebbe potuto trovare spazio nel piccolo quaderno illustrato di uno scrittore che già nel 1967 (in un articolo su
Nuovi Argomenti giustamente ripubblicato nel maggio scorso da Il Riformista)
aveva ammonito profeticamente il Pci a «non fingere di ignorare la volontà del mondo arabo di distruggere Israele ». Ma quella foto è ancora nell'album della sinistra italiana, incollata in un' epoca in cui nessuno o quasi ricordava alla sua coscienza che anche gli ebrei avevano il diritto di vivere in una patria sicura. E nessuno o quasi dava ascolto a Pasolini. Sarebbe forse il caso di toglierla, prima che diventi troppo ingiallita.
Nel 1989, mentre il mondo assisteva ad altri cataclismi storici (di fronte ai quali, forte dell'insegnamento berlingueriano, la stessa sinistra italiana nella sua maggioranza si dimostrò invece ben più preparata) Franco Fortini lanciava un appello ai suoi fratelli, ebrei italiani, invitandoli a non tacere sulla «repressione israeliana» perché «se ogni parola toglie una cartuccia dai mitra dei soldati dello Tsahal, un'altra ne toglie a quelli, ora celati, dei palestinesi». Erano gli anni della prima intifada. Quei mitra «celati», però, sarebbero presto usciti allo scoperto. Non certo per colpa di chi rimase in silenzio — anche sbagliando, forse, in alcuni drammatici momenti di questa guerra infinita — ma sulla base di scelte precise, maturate e volute lontano dalla Palestina: a Damasco, a Beirut, in Arabia Saudita, e, in particolare, nella spaventosa teocrazia degli ayatollah di Teheran. La crescita del fanatismo religioso, la furia degli attentati suicidi, festeggiata con macabra regolarità nelle piazze vicine e lontane, la mistica allucinante del «martirio»: il passamontagna nero al posto della kefiah, la cintura esplosiva al posto del sasso. Ma, soprattutto, la bandiera di Hamas al posto di quella palestinese.
Giorno dopo giorno, la questione palestinese come grande causa di liberazione nazionale, capace di coniugare passione e ideologia, ha cessato di esistere. E' finita. Già da tempo aveva perso la sua «spinta propulsiva». Ma venti anni dopo Fortini, la sinistra italiana (e per sinistra italiana, va detto, intendiamo quanto è sopravvissuto dell'incontro tra le componenti post-comunista, socialista e cattolico-democratica, lasciando al loro destino i segmenti nostalgici o minoritari che, quando hanno potuto, ne hanno volontariamente determinato la rovina) non se ne è accorta, preferendo continuare a parlare il linguaggio di prima della catastrofe. Nessuno ha pensato di mettere da parte le vecchie bandiere per impugnare quella dei diritti, dei diritti violati, anche e soprattutto dall'altra parte del mondo.
In questi anni è cambiato tutto. Sono cambiati gli obiettivi di una parte del movimento palestinese, è cambiata la percezione del nemico, che è diventato un nemico religioso, non solo politico. Chi non vuole la soluzione «due popoli due stati» è proprio la leadership di Hamas (una leadership, ricordiamolo, andata al potere a Gaza con un feroce colpo di Stato), convinta che Dio sia «contrario» alla presenza di uno Stato ebraico in Palestina. Una posizione non diversa da quella di Hezbollah, un cui dirigente, Hassan Izzedine, ha affermato - come riferisce Jeffrey Goldberg sul New York Times - che gli ebrei sopravvissuti alla «liberazione» islamica della Palestina «potranno tornare in Germania o nei Paesi da dove sono venuti». Hamas non parla mai di una nazione-stato palestinese, ma di «una terra sacra per le future generazioni islamiche fino al giorno del giudizio, una terra in cui Dio è l'obbiettivo, il Profeta il suo modello, il Corano la costituzione».
Un «regolamento» del conflitto israelo-palestinese è quindi materia, oggi, di un accordo pragmatico che isoli i nemici della pace, che metta con le spalle al muro chi dall'esterno, più che soffiare sul fuoco, fornisce infaticabilmente il combustibile. Gli interlocutori sono molti. Non ultimi, naturalmente, e fondamentali, i poco illustri eredi di quel leader ingiallito (tra cui sopravvivono ancora i vecchi elefanti che niente hanno fatto per combattere la corruzione, per eliminare le ambiguità) per cui avevamo anche pianto, a Beirut come alla Muqata. «Chiunque riuscirà a risolvere questo cubo di Rubik diplomatico — ha scritto Thomas Friedman — merita due Premi Nobel». Senza passione, senza ideologia.
Prima di Fortini e di Pasolini aveva parlato, nel 1965, Don Lorenzo Milani. Era la
Lettera ai cappellani militari:
«Reclamo il diritto di dividere il mondo in diseredati e oppressi da un lato, privilegiati e oppressori dall'altro. Gli uni son la mia patria, gli altri i miei stranieri ». Parole giuste, in generale, ma in un conflitto così complesso come questo è forse più semplice parlare di vittime che non di oppressi e oppressori. Le vittime sono i cittadini di uno Stato che cerca solo il diritto di esistere, le vittime sono gli immigrati poveri di Sderot, bersagliati notte e giorno dalla barbarie, le vittime sono i giovani della Cisgiordania che vogliono vivere senza obbedire al ricatto dell'integralismo religioso, le vittime sono i civili di Gaza, che, come ha scritto Amos Oz, «vengono utilizzati come sacchetti di sabbia da un manipolo di criminali». Queste vittime sono la patria.

crimini nazisti
Manifestazione in memoria dello sceicco Yassin, il capo di Hamas ucciso nel 2004.
13 novembre 1974. Yasser Arafat all'Onu. Dietro il primo a sinistra è Kurt Waldheim, segretario generale Onu, già accusato di crimini nazisti.
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