Significativa l’analisi-monito alla comunità internazionale di Efraim Inbar - Direttore del BESA (Begin-Sadat Center of Strategic Studies dell’università di Bar Ilan) – affinché non ricostruisca Gaza. Non solo Inbar considera tale prospettiva strategicamente folle, ma “nelle condizioni attuali”, immorale. Altrettanto, è contraddittoria.
Dopo il cruento golpe di Gaza del giugno 2007, come ricorda Inbar, la maggior parte della comunità internazionale ha deliberato di rafforzare il più moderato leader dell’AP, Mahmoud Abbas, assicurandogli un sostegno economico per lo sviluppo del suo feudo in Cisgiordania. Una tale linea d’azione doveva chiarire ad ogni palestinese che Hamas è il “cattivo” incapace di assicurare qualsiasi prosperità e che non fosse saggio sostenere la radicale organizzazione islamista. In questa logica, l’Autorità Palestinese ha continuato a godere di un sostegno economico mondiale senza precedenti.
L’Operazione Cast Deal contro Hamas, oltre ad infliggere pesanti danni a Gaza, intendendo punire i lanci di razzi contro Israele, aveva come obiettivo il far capire ai palestinesi ragionevoli che gli attacchi di Hamas contro Israele non possono che arrecare loro che distruzione e sofferenze. In teoria, Cast Deal è complementare agli sforzi della comunità internazionale che ha migliorato la vita dei palestinesi di Mahmoud Abbas rispetto a quella dei gazani. Tuttavia, la logica sembra franare nell’acqua di rose della manipolazione sentimentale. Anziché usare le terribili foto provenienti da Gaza e dire ai gazani: “Ve l’avevamo detto che finché sosterrete il dominio di Hamas le cose andranno sempre peggio” (così come accade ovunque nei luoghi dove il radicalismo islamista ha preso il potere), i leaders occidentali sembrano aver deciso scriteriatamente che Gaza debba essere velocemente ricostruita.
Ecco come si convoglia il messaggio sbagliato. Per i palestinesi, significa l’impunità dei loro leaders, qualsiasi cosa essi facciano, tanto i creduloni occidentali continueranno a foraggiarli. Altrettanto, il messaggio invita Hamas a continuare a sparare contro Israele; tanto, se Israele ripeterà le sue azioni militari, i pietosi occidentali continueranno a riparare le distruzioni. Ci si meraviglia poi che Hamas non dichiari vittoria?
E’ inutile cercare alibi: non si può ricostruire Gaza se non si rafforza Hamas.
L’AP non ha più alcun ruolo nella Striscia. Anche Hamas beneficerà degli aiuti delle Nazioni Unite, anche se questi sono un po’ meno discutibili. Si ritorna al nodo principale, perché Hamastan non deve essere ricostruito dal mondo. La ricostruzione di Hamastan a Gaza – una base iraniana che minaccia Israele ed ogni regime moderato arabo – è una strategia senza senso perché manterrà lo status quo di guerra. Hamas è dittatoriale ed anti-occidentale. (Con gli aiuti) si assicurerebbe solo la continuazione del regime di Hamas.
Davvero crede l’illuminata comunità internazionale che Mahmoud Abbas sia interessato alla ricostruzione di Gaza e al consolidamento del regime di Hamas? E’ ciò che cercano l’Egitto e i sauditi? Non è ormai evidente che anch’essi preferiscano la caduta di Hamas e sarebbero pronti a collaborare contro i tentativi iraniani di incanalare il loro sostegno a Gaza?
Prosegue Inbar: se guardiamo alle dimostrazioni dello sviluppo economico palestinese, è altrettanto chiaro che la ricostruzione di Gaza è destinata a fallire. Dal processo di Oslo del 1993, i palestinesi hanno ricevuto miliardi di euro e di dollari, un record d’aiuti per capita al mondo. La maggior parte di questi finanziamenti è stata vanificata dalla corruzione e dall’inettitudine. Una minima parte ha raggiunto la popolazione. Così come molti paesi del terzo mondo, i palestinesi sono privi di infrastrutture legali ed istituzionali che sono necessarie per evitare l’effettiva dispersione degli aiuti economici. Gaza è lontana dallo sviluppo della Cisgiordania, e dimostra quanto sia inaffidabile nell’ottenere un aiuto economico internazionale. Tuttavia, lo standard di vita dei gazani rimane superiore a quello degli egiziani. Da quel che sappiamo sulle fortune erogate dagli aiuti economici umanitari trasferiti ai gazani negli anni recenti, è chiaro che la più ampia elargizione di tali benefici sono stati assorbiti dalla leadership di Hamas e dai loro attivisti; solo il residuo andava ai sottoposti. Gli uomini armati ottengono sempre il primo e maggior introito degli aiuti umanitari destinati a coloro che soffrono.
Infine, è discutibile la moralità di chi sostiene che distribuendo soldi ai gazani questi vivrebbero meglio, fintanto che Hamas non ferma il terrorismo contro Israele e contrabbanda armi. Purtroppo, Hamas era popolare presso i gazani e continua ad esserlo. In aggiunta, tutti i sondaggi rilevano il forte sostegno alla violenza contro Israele dei gazani. Quale giustificazione morale può sussistere nell’aiutare un popolo che sostiene l’obiettivo dichiarato di un’organizzazione a distruggere lo stato ebraico e che è del tutto impegnato ad uccidere innocenti cittadini israeliani?
La comunità internazionale deve valutare in modo strategico la questione di Gaza, e non annegare in giustificazioni sentimentali nel ricostruire e riprendere l’assistenzialismo umanitario minando gli obiettivi supremi. E’ ora di dimostrare un duro amore per Gaza.
Questo è il testo dell’analisi precisa ed indiscutibilmente corretta di Efraim Inbar, con qualche aggiunta e minima modifica. E’ difficile pensare che la comunità internazionale tenga conto di tale analisi, perché si è rafforzato il blocco dei Paesi Non Allineati contro Israele, blocco che comprende alcuni dei più forti produttori di petrolio, tra cui l’Iran e il Venezuela. Sul finire dell’Operazione Cast Deal, il 12 gennaio scorso a otto giorni dall’insediamento di Obama, la Russia inviava la sua forza navale nel porto siriano di Tartus, tra cui la portaerei Admiral Kuznetsov, dopo aver eseguito esercitazioni congiunte con la marina turca la settimana precedente. La Russia, da due anni, sta espandendosi nei porti siriani di Tartus e di Latakia quali basi per la sua flotta nel Mar Nero dispiegata a Sebastopoli in Ucraina, dopo lo scontro con la Georgia.
In qualsiasi analisi non è possibile ignorare l’intero contesto degli eventi e la questione geopolitica. L’effetto domino è sempre in agguato. Difficile non pensare che l’Operazione Cast Deal potesse avere luogo – in modo tanto dirompente quanto mirato – durante una presidenza americana effettiva e non di transizione come è accaduto. Al placet americano, ha replicato la Russia con la sua contromossa minacciosa benché dimostrativa. Un conflitto allargato, è l’ultimo dei desideri per tutti i paesi che si affacciano tra Mediterraneo, Mar Nero e Golfo Persico. Non è più questione di come, ma di quando. Da tre anni, via via, gli Stati Uniti hanno rafforzato la loro potentissima flotta nel Golfo Persico. La Nato è dislocata tra il Mar Rosso e il Mediterraneo. Guerre a bassa tensione come quella di Israele contro Hamas sono previste e tollerate, fintanto che non si amplifichino. La strategia ad oggi, è quella di formare un’opinione mondiale ostile ad Israele che porti alla cessazione del conflitto. Ma quanto può durare? Fino a che non si arrivi a quelle condizioni per cui Israele sia costretto al salto qualitativo che scateni un conflitto ben più ampio. L’alternativa, offerta da analisi come quelle di Inbar, è che mutino del tutto le condizioni di supino compromesso al petrolio e al terrorismo islamista, nonché la legittimazione della sua propaganda, da parte dell’Europa e delle piazze occidentali che contano in democrazia.
Danielle Sussmann
Di seguito, un'intervento di Emanuel Segre Amar sulla natura di Hamas
La discussione in atto da tempo su come considerare il gruppo di Hamas (e
altri movimenti simili), se cioè sia o non sia un gruppo terrorista, rischia
di allontanare il lettore dalla comprensione della realtà che stiamo
vivendo. La realtà di un conflitto globale, e non locale, alla fine del
quale, comunque, il mondo sarà completamente diverso da quello che era
prima.
Desidero iniziare il mio ragionamento citando il medico norvegese Gilbert
Mads, iscritto al partito comunista Rod Valgallianse, ed oggi fervente
sostenitore di Hamas; egli considerò lecito e corretto l'attacco contro
civili perpetrato l'11 settembre perché gli americani si erano anch'essi
macchiati di uccisioni di civili nelle loro guerre in Medio Oriente. Egli
elimina dunque qualsiasi discussione su che cosa sia giusto o ingiusto,
morale o immorale, e si lega chiaramente ad una delle due parti in guerra,
come da quel momento ha sempre fatto con le proprie azioni. La guerra è la
guerra. In fondo è una posizione quasi condivisibile, o almeno onesta e
chiara: se una persona si schiera apertamente con uno dei due contendenti,
ha il diritto di spiegare perché ritiene che quel contendente abbia ragione.
Il dottor Mads ha avuto almeno l'onestà di esprimere chiaramente la propria
posizione, sottoponendola al giudizio del mondo, ma senza volersi assumere
un ruolo super partes.
Diversa è la posizione di alcuni nostri intellettuali che quasi
quotidianamente ci spiegano le loro posizioni, oramai note a tutti, senza
tuttavia avere il coraggio di abbassare la maschera e di schierarsi
apertamente, senza mezzi termini, con i loro beniamini. E questo, infatti,
non lo possono fare perché perderebbero il diritto, loro concesso, di
ergersi ad osservatori neutrali, preparati, degni del titolo di maestri.
E la risposta di Sergio Romano al lettore Ottolenghi sul Corriere del 5.2
rientra proprio in questo ragionamento.
Romano scrive la sua "lezione", come suo solito, ma evita di apparire
schierato con la parte che oramai, da tempo, il lettore attento ha capito
essere la sua.
Egli parte dai dibattiti in corso da tempo alle Nazioni Unite. Cerca in tal
modo di dare un'aureola di santità ad un ente (e di riflesso a se stesso)
che ancora nell'ultimo conflitto ha dimostrato di non meritarsela (basti
pensare ai dichiarati morti procurati dagli israeliani all'interno di una
scuola dell'UN, salvo poi dover ammettere che NESSUNO di quei morti si
trovava nella scuola!).
Cerca poi Romano di spiegare perché Hamas non è una combriccola di
terroristi. Infatti, dice, Hamas non è clandestina, non è un'entità segreta,
ed i suoi attentati non sono imprevedibili.
Romano, anzi, si trasforma addirittura in un esperto militare (la lunga
esperienza nell'URSS militaresca lo avrà forse influenzato non poco)
osservando che Hamas combatte contro le forze israeliane (già, ma non ha
potuto dire che combatte APERTAMENTE, come un esercito nel quale i capi
valorosi stanno con le truppe, e non nascosti in un bunker sotto un ospedale
civile), si sposta dopo ogni lancio di missili (che cosa significa ciò? Il
movimento continuo dei soldati per sottrarli al nemico è una buona tattica
militare, come egli stesso deve riconoscere). Infine sposta il ragionamento
osservando che gli attacchi contro i civili sono iniziati con la Grande
guerra. E qui lo storico sbaglia, e non si limita a deviare il proprio
ragionamento, dimenticando gli infiniti attacchi contro civili che hanno
iniziato tante guerre fin dall'antichità.
A questo punto apprendiamo che, in fondo, Hamas ha vinto la sua battaglia,
perché gli attacchi su Sderot "hanno raggiunto il loro obiettivo", mentre
Israele, secondo il suo parere di osservatore lontano e distratto, no,
perché non ha saputo spingere "il popolo palestinese alla rivolta".
Chiude poi il nostro esperto militare con un ultimo affondo contro Israele
che accusa di "aver sostenuto una guerra doppiamente asimmetrica":
Israele ha usato armi superiori a quelle delle quali Hamas disponeva.
Peccato che quando Hamas riusciva ad infiltrare nelle città israeliane i
suoi kamikaze, altra arma della quale il nemico non disponeva, Romano non
avesse fatto un simile ragionamento. Né lo ha fatto quando la NATO
bombardava la Serbia dall'aria senza subire perdite. E neppure lo ha fatto
contro l'uso della bomba atomica fatto dagli alleati americani allo scopo di
chiudere il conflitto; anche in quel caso, come in infinite guerre della
storia, si sono usate da una parte armi non in possesso del nemico, proprio
per ottenere lo scopo di ogni guerra: la vittoria militare.
La seconda colpa di asimmetria rivolta contro Israele è nel "non riconoscere
Hamas come un combattente legittimo". Di nuovo il nostro maestro non ha
preparato bene la sua lezione. Tutti i dirigenti israeliani, infatti, hanno
dichiarato che questa guerra era contro Hamas e non contro il popolo
palestinese. Dichiarazione più chiara di così non è possibile. Eppure
Israele è andata perfino oltre. Telefonava perfino ai civili per
preannunciare i suoi attacchi, a dimostrazione del fatto che non era una
guerra contro i palestinesi.
In conclusione Sergio Romano dovrebbe riconoscere che:
- Se Israele fosse come lui vuole sostenere, avrebbe già raso al suolo Gaza.
Ne avrebbe le possibilità, ma a differenza di Hamas che proprio vuole
UCCIDERE TUTTI GLI EBREI (sic) i governi di Israele cercano solo di
raggiungere uno stato di normalità per i propri cittadini.
- Quella che è in atto è una vera guerra dove uno dei due contendenti si
difende senza andare, pur avendone le possibilità, oltre limiti ben precisi,
avendo presenti anche i concetti di moralità della cultura occidentale che,
in guerra, spesso finiscono nel dimenticatoio (e in questo i governanti di
Israele dimostrano di comportarsi meglio di tanti altri). L'altro
contendente invece non si pone alcun freno, né nelle parole, né negli atti,
siano questi nei confronti degli ebrei o dei propri concittadini, avversari
politici.
Sarebbe molto più corretto se il nostro esperto prendesse l'aereo ed andasse
a sentenziare dai media di Gaza. Certo là lo accoglierebbero a braccia
aperte. In fondo farebbe solo quello che il dottor Gilbert Mads ha avuto il
coraggio di fare.
Emanuel Segre Amar