In Algeria la peste fa strage di terroristi di Al Qaeda Stavano preparando un attentato batteriologico ?
Testata: La Stampa Data: 05 febbraio 2009 Pagina: 13 Autore: Domenico Quirico Titolo: «Al Qaeda in Algeria decimata dalla peste»
Da La STAMPA del 5 febbraio 2009, a pagina 13, "Al Qaeda in Algeria decimata dalla peste" di Domenico Quirico:
Fino a ieri era un giallo, uno dei tanti che circondano l’attività la composizione e i fini della sezione magrebina di Al Qaeda che ha portato la Jihad nei deserti tra la Mauritania, l’Algeria, la Libia, il Ciad, il Niger e il Mali: zone annegate in calure ardenti, schiacciate sotto livide distese di roccia, povere di uomini ma fitte di traffici, di banditismo antico, dove le frontiere sono permeabili e dove passano armi, droga ma anche infiammati e ascoltati richiami al fanatismo. In Kabylia dove le montagne offrono ai terroristi dell’emiro Abu Hozauifa al Asemi, luogotenente locale di Bin Laden, imprendibili santuari, l’ultimo doppio attentato risale all’agosto scorso. Poi, soltanto agguati a guardie della scombinata milizia locale o a sindaci di piccoli paesi, tattica tradizionale per fare il vuoto con la paura attorno alle forze di sicurezza. Terrorismo sanguinoso ma minore. E i gruppi di mujaheddin audaci, ben armati in grado di affrontare i militari o di portare micidiali autobombe nel cuore delle città dove sono scomparsi? Ad Algeri nessuno si è fatto illusioni: i nuovi contingenti spediti nella regione ribelle non avevano certo vinto battaglie decisive contro gli irriducibili. C’era dunque altro. Perché anche nella capitale dopo il terribile colpo inferto l’undici dicembre del 2007 con la strage alla missione dell’Onu e al Consiglio costituzionale, Al Qaeda sembrava di colpo paralizzata. E con l’avvicinarsi delle delicate e contestate elezioni presidenziali di aprile l’inattività del gruppo terrorista appariva ancor più inspiegabile. Poi, un giorno, hanno trovato i cadaveri. Secondo informazioni fatte filtrare dall’esercito, ma con ritardo, la spiegazione era nascosta in alcune caverne della regione di Yakourem, nel nord della Kabylia, una zona di foreste impenetrabili e di montagne aspre che da sempre offre rifugio a banditi e ribelli. Nel corso di una operazione di rastrellamento i militari hanno scoperto una trentina di terroristi. Impossibile sbagliare, armi, materiale di collegamento proclami, su tutto c’era il marchio della armata per la liberazione del Maghreb islamico. Il campo era abbandonato come per una fuga precipitosa. Non c’è stata battaglia, perché i mujaheddin erano già morti. Che cosa li aveva uccisi, così, tutti insieme? La fonte dell’esercito algerino la definisce «una sindrome infettiva folgorante». Altro non è che una antica dannazione della storia epidemiologica dell’uomo: la peste nera, sì, quella di Tucidite e di Manzoni. E di Camus che ad Orano ambientò la avventura del suo alter ego, il dottor Rieux. Al Qaeda avrebbe dunque un nemico più implacabile delle forze di sicurezza e dei satelliti americani. Fermenta e infetta negli abiti, nelle coperte, nelle armi, invisibile silenzioso non dà scampo. Si calcola che i miliziani di Al Qaeda in Algeria non siano più di 2-3000 uomini. La peste può sbriciolare e sbandare questo piccolo esercito in poche settimane. Immediatamente sono state adottate misure di sicurezza sanitaria, la voce della peste si è diffusa tra la popolazione kabila. La peste si può facilmente curare con gli antibiotici ma occorre una diagnosi tempestiva. Nella versione polmonare ha un periodo di incubazione di tre giorni e trasmettendosi per via aerea può uccidere migliaia di persone rapidamente. L’inverno particolarmente freddo e piovoso in Kabylia spiegherebbe il contagio. La peste in Algeria è endemica in numerose regioni: nel 2003 il bacillo fece la sua ricomparsa proprio nella regione di Orano che si trova a 600 chilometri da Yakourem. Al Qaeda, segno che la vicenda è grave e pericolosa ha sentito la necessità di reagire con un comunicato pubblicato su internet: sostiene che è una abile bugia inventata dai servizi di sicurezza per «far paura ai giovani algerini» affinché non si arruolino più nel maquis. Una spiegazione ancora più inquietante è quella diffusa dal «Movimento per la liberazione della Kabylia» impegnato in un aspro braccio di ferro con il governo per ottenere il riconoscimento dei diritti di questa regione fiera e perennemente ribelle a qualsiasi potere centrale, ma anche nemica dell’islamismo. Secondo i kabili i trenta guerriglieri stavano manipolando armi batteriologiche e sono rimasti vittime di un errore. Non solo: «I servizi di sicurezza sapevano tutto ma avrebbero lasciato fare per sradicare l’indipendentismo della regione».
Per inviare la propria opinione a La Stampa cliccare sulla e-mail sottostante direttore@lastampa.it